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Strategie di battaglia

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 19:58
19/04/2005 21:48
 
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Posso aggiungere qualcosa?
Vorrei aggiungere qualcosa che tenti - e ripeto "tenti" - di approfondire un po' la materia senza sconfinare nel trattato noioso. Ci provo qui, ma per la mole di quel che c'è da dire - pur in estrema sintesi - lo dividerò in puntate (non mi viene un termine più attraente!).

Se non prevedete già di addormentarvi, parto con la prima puntata.

Le tattiche base in battaglia degli eserciti dell'antichità si sono modificate più volte nel corso dei secoli, in particolare nell'arco temporale che interessa RTW.

Provo quindi a farne una brevissima sintesi, del tutto incompleta, ma spero utile per godersi meglio RTW.

Tralasciamo le tattiche ittite e pre ittitiche (antico Egitto incluso). Non ci interessano, non è un periodo cui il gioco si riferisca. Ci basti sapere che inventarono l'uso dei carri da guerra così come li troviamo nelle civiltà orientali di RTW.

Partiamo dunque dalla Grecia.
Tutte le città stato (come Atene, Sparta, Corinto, Tebe, giusto per citare quelle storicamente più rilevanti) mandavano in battaglia eserciti non "professionistici" di cittadini. L'esercizio delle armi non era per nessuno un'occupazione a tempo pieno, e gli eserciti che si affrontavano erano fatti di cittadini medio-abbienti che abbandonavano temporaneamente le proprie attività per il supremo interesse della città. Fa eccezione Sparta, ove la rigida suddivisione in classi vedeva una minoranza al potere - gli Spartiati - i cui membri maschi si dedicavano sin da piccoli all'affinamento dell'arte guerriera e costituivano quindi una classe di soldati dalla capacità e resistenza straordinariamente maggiori rispetto a quelle dei soldati di tutte le altre città stato. Torniamo agli eserciti cittadini. Essi venivano costituiti e mantenuti per brevi periodi (primavera-estate) con dotazioni di armi il cui costo era sostenuto da ogni singolo soldato. La "panoplia" - ovvero il set di armi da difesa e da offesa - comprendeva elementi standardizzati ma comunque costosi: un grosso scudo (appunto "oplon"), una lancia di poco più di 2 metri, una corta spada, una eventuale corazzatura (i tipi variano a seconda del periodo, della città, della capacità di spesa del singolo cittadino, e vanno dal lino spesso, al cuoio, alla rara maglia metallica o più frequentemente piastre metalliche, alla corazza in due conchiglie anatomiche davanti e dietro tipiche dei filmacci di serie B, ma molto rare perché molto costose, scomode e pesanti), spesso dei gambali di cuoio o metallo, e quasi sempre un elmo. Non entro nemmeno nella trattazione sui vari tipi di elmi. Da sola meriterebbe un romanzo. Tornando alla panoplia, la dotazione a cura dei singoli faceva sì che un esercito cittadino fosse caratterizzato da una varietà di livree e di aspetti, pur nella sua complessiva omogeneità strutturale.

Orbene - se non vi siete addormentati - questi eserciti utilizzavano tattiche estremamente statiche. Poiché le città stato sorgevano in territori costieri o comunque scoscesi e montuosi (monti di roccia e sassi, con coltivazioni a terrazze, mica dolci colline senesi), i quadrupedi più allevati erano capre, pecore ed asini. Va da sé che i cavalieri fossero cosa assai rara. Ancor di più trattandosi in genere di cittadini (mercanti, marinai, artigiani, politici, scrivani, etc. etc.). Quindi uso minimo di cavalleria (non ce n'era quasi, e non partecipava allo scontro principale). Le truppe venivano schierate in ranghi lineari su più righe, con i soldati allineati fronte al nemico, l'uno a fianco all'altro, tenendo con il braccio sinistro il grande e pesante scudo e puntando la lancia in avanti in orizzontale con la destra. I ranghi si serravano - braccio destro contro lo scudo del vicino più a destra - così da ripararsi il più possibile, anche reciprocamente, ed in questa formazione si marciava contro il fronte nemico. Si marciava lentamente, a passi singoli e cadenzati (nulla che assomigli ad un'avanzata veloce), fronte verso fronte, sino a venire a contatto. Gli scudi paravano i colpi di lancia vibrati dal nemico (le lance non venivano scagliate, ma vibrate più o meno orizzontalmente), e contro il nemico si vibravano i propri colpi. Insomma, la falange di opliti.

Quasi nessuna tattica creativa movimentava la battaglia. Piuttosto, piccoli squilibri nelle forze (il numero di righe, l'estenzione in larghezza del fronte, la forza e la capacità dei soldati schierati, dardi scagliati da dietro la falange) decidevano il prevalere di un fronte sull'altro. Quando un fronte arretrava, la battaglia si trasformava in una vittoria per l'altro. Raramente erano massacri.

Nelle guerre persiane, in breve, le falangi cittadine greche ressero l'urto con le mobili ma più leggere schiere persiane, avendo i generali greci la capacità (e questa è strategia) di portarle in teatri di battaglia dove la mobilità era inutile e l'aggiramento precluso.

Dopo le guerre persiane, l'ateniese Ificrate aumentò la lunghezza della lancia a circa 4 metri (le fonti, le fonti! non ce n'è una che concordi: c'è chi scrive 3 metri e 1/2 e chi più di 4!), diminuì il diametro dello scudo a 50 o 60 cm (sovente ovale), e raddoppiò la lunghezza della spada: chiamò "peltasti" questa nuova fanteria. Avevano un vantaggio di un metro sugli opliti tradizionali, ed infatti furono vittoriosi. Anni dopo, lo stesso Ificrate avrebbe reso celebri altri "peltasti", a quel punto divenuti fanteria leggera da schermaglia, portandoli a vincere nella guerra del Peloponneso (e di nuovo si passa dalla tattica alla strategia).

Tra Greci e Greci, tutto resta invece - di fondo - tatticamente uguale fino al 371 a.C., quando lo "strategòs" tebano Epaminonda rinforza in modo asimmetrico la propria falange, aumentandone enormemente la profondità solo su un lato, così da trasformarla in un elemento di pressione insostenibile contro il fronte nemico. Diverrà nota come "ordine obliquo". Sfonda. E vince. E' la battaglia di Leuttra. Tebe sconfigge in campo aperto l'esercito spartano. E' la prima volta nella storia della Grecia che gli Spartani vengono battuti in campo aperto da una falange. Per la cronaca, Epaminonda vincerà di nuovo a Mantinea, 9 anni dopo. Morendo sul campo.

Quindi, semplificando, la tattica della falange oplitica è talmente statica che basta gonfiarne la profondità su un lato per vincere una battaglia contro i migliori soldati dell'Ellade. Peccato che RTW non consenta l'ordine obliquo.

What's next, then?
Un giovane principe macedone, ostaggio a Tebe, ebbe modo di studiare e comprendere la lezione di Epaminonda e del suo ordine obliquo.

Il suo nome era Filippo. Tornato in Macedonia, paese agricolo di pianure e colline, con ordinamento sociale del tutto dissimile da quello delle poleis greche, Filippo riprodusse la falange tebana, aggiungendovi 4 elementi di vero genio:

1) i suoi soldati non erano abbienti cittadini ma agricoltori qualunque; Filippo si fece quindi carico del loro equipaggiamento, introducendo un armamento standard pagato dal re ed uguale per tutta la falange, con conseguente garanzia della qualità e delle caratteristiche dell'armamento.

2) i contadini non brillavano per ardore patriottico e spirito di sacrificio; per tenerli lontani dalle punte delle lance nemiche, Filippo aumentò quindi la lunghezza delle lance dei suoi falangiti, inventando la "sarissa", lunga dai 5 ai 6 metri (dai 12 ai 14 cubiti!): una vera "picca".

3) la lunghezza della sarissa richiedeva di impugnarla a due mani, cosa incompatibile con il peso e l'ingombro dell'"oplon"; Filippo introdusse quindi l'uso di uno scudo più piccolo, agganciabile all'avambraccio sinistro e soprattutto dotato di una cinghia per appenderlo al collo liberando del tutto le braccia destinabili così solo alla sarissa.

4) la forza della falange non poteva risiedere nel vigore e nel coraggio del singolo contadino, ma nella pressione complessiva che era in grado di sviluppare in avanti, lentamente ma costantemente; Filippo aumentò quindi la profondità a 16 righe (16 uomini di profondità costituivano un "sintagma"), sfalsando tra loro gli allineamenti, consentendo così alle prime 5 righe di affiancare orizzontalmente in avanti le proprie sarisse, e puntando obliquamente in alto quelle delle righe successive (una foresta di picche che fermava in parte i dardi nemici); 16 file di 16 righe costituivano un reparto base; l'intera falange veniva allineata in 6 o 7 reggimenti affiancati (le "taxeis"). I falangiti furono detti "pezeteri". Il risultato fu un fronte ineguagliato irto di punte come mai prima, relativamente mobile, con una potenza di pressione senza eguali.

Mancava un quinto elemento per rendere straordinaria questa macchina bellica. Ed il quinto elemento venne ancora concepito in armonia con la natura della Macedonia, terra di cavalli e cavalieri. Filippo costituì infatti una potente cavalleria nobiliare, motivata perché elitaria e denominata "compagni" (gli "etairoi"), mobilissima e pesantemente armata, con il compito di muoversi lateralmente alla falange, agire come un maglio contro i fianchi delle formazioni nemiche, aggirarle e spingerle contro l'incudine imbattibile della sua falange.

Ultimo, ma non da meno, Filippo impiegò stabilmente corpi di fanteria leggera e mobile, armata di un piccolo scudo, elmo e spada curva (gli "agrianos") o corta lancia (gli "ispapisti"), con il compito di proteggere lateralmente la falange, ma all'occorrenza anche con ruoli di aggiramento e inseguimento. Un battaglione di ispapisti diverrà la guardia del re sotto Alessandro (l'"agema).

Insomma, un formidabile mix di massiccio fronte falangitico, duttile fanteria leggera e poderosa cavalleria. La potenza macedone era nata. E avrebbe sbaragliato ogni esercito oplitico che le si fosse opposto. In tessaglia, in Tracia nonché e Cheronea. Fu proprio a Cheronea che un giovane principe, di nome Alessandro, diede la prima prova di sé.

Fine della prima puntata...

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Il mio sangue tinge gli stendardi d'Italia
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