L'impero aveva assunto dimensioni troppo vaste per essere governato con efficienza, in tempi in cui la diffusione delle informazioni procedeva alla velocità di un cavallo o di una barca a vela; di qui il bipolarismo oriente/occidente, che alleviò il problema senza risolverlo.
Secondo la storiografia classica, la diffusione del cristianesimo e la corruzione dilagante avrebbero minato le basi della società romana, creando i presupposti per il crollo dell'impero d'occidente; ma studi più recenti fanno giustamente notare che, pur soffrendo in modo anche più esasperato degli "stessi mali", Costantinopoli resse ancora per circa un millennio.
Questa nuova scuola di pensiero individua il vero fattore di crisi nell'enorme calo di entrate tributarie dell'impero, per effetto delle invasioni barbariche e di perdite territoriali definitive. Per farla breve, una dinamica "meno soldi = meno soldati" iniziata in sordina, e poi aggravatasi sino al collasso di Roma.