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"Perché i Talebani stanno vincendo (per adesso)" di Kimberly Kagan

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2009 09:00
18/08/2009 09:58
 
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Stamattina su Il Sole 24 Ore mi sono imbattuto in questo interessante articolo di Kimberly Kagan, consulente del comandante Usa in Afghanistan

Ne posto il link: www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/08/Afghanistan-talebani-kimberly-kag...
Ne riporto anche il testo.

La guerra in Afghanistan non sta andando bene e non c'è da stupirsi che gli americani si sentano frustrati. Molti osservatori giustamente mettono l'accento sui segnali di progresso: la funzionalità di determinati ministeri e programmi pubblici, la lenta crescita dell'Esercito nazionale afghano, la realizzazione di infrastrutture importanti come strade e dighe e i miglioramenti dell'agricoltura.
Questi successi, tuttavia, non hanno creato le condizioni che gli Stati Uniti puntavano a realizzare: uno Stato afghano con un Governo competente, giudicato legittimo dalla popolazione e in grado di difendersi, perché l'Afghanistan non sia più un santuario protetto per gruppi terroristici islamisti. Al contrario, come ha lasciato intendere recentemente Stanley McChrystal, il comandante delle forze della coalizione, la situazione mostra segnali di deterioramento: i gruppi nemici mantengono una forza considerevole, sono più audaci di prima e hanno esteso la loro area di operazioni. Gli attacchi contro le forze della coalizione sono in aumento. Perciò la domanda è: perché non stiamo vincendo in Afghanistan?

Pur avendo fatto parte della squadra di analisti del generale McChrystal, non so come rispondere a questa domanda, e nemmeno mi sento di fare ipotesi su quali saranno le sue raccomandazioni sulla strategia da seguire in futuro. Ma, dopo molte ricerche e due visite in Afghanistan nel corso di quest'anno, personalmente ritengo che il motivo dell'inefficacia delle operazioni militari sia la mancanza di una strategia antiguerriglia unica, coerente.

Nonostante la strategia "Af-Pak" annunciata recentemente dal presidente Barack Obama, la campagna militare che i soldati americani e degli altri Paesi della coalizione stanno conducendo quest'estate rappresenta un prosieguo delle malprogrammate operazioni del 2008. E la pura e semplice forza d'inerzia delle operazioni militari fa sì che sarà difficile invertire la rotta di questa nave prima della fine dell'anno. Ma un'inversione di rotta è necessaria, a cominciare dai punti deboli della strategia che vado ad elencare, e che McChrystal e la sua squadra hanno ereditato dai loro predecessori.

1. Combattiamo nei posti sbagliati
Le forze Nato sono sparpagliate in tutto l'Afghanistan, anche nelle aree pashtun del Sud e dell'Est, invece di concentrarsi su una o due priorità. Una possibile eccezione è la provincia di Helmand, l'unica dove sono dispiegate due brigate, il contingente britannico e il corpo di spedizione della marina americana, appena arrivato. In Iraq, invece, le forze americane, quando hanno mandato i rinforzi per la surge predisposta dalla precedente amministrazione, hanno concentrato circa la metà delle loro forze a Bagdad e dintorni.
Bagdad era il centro gravitazionale del conflitto: se fossimo riusciti a metterla sotto controllo, avremmo vinto; se il nemico fosse riuscito ad assumerne il controllo, avremmo perso. E quindi sono state schierate cinque brigate da combattimento (circa 25mila soldati più le truppe di supporto) a protezione di una città da 8 milioni di abitanti. Altre quattro brigate controllavano le vie d'accesso da sud e almeno un'altra brigata, in certi casi due, sorvegliava i sobborghi settentrionali.

Non esiste un corrispettivo di Bagdad in Afghanistan. Qui gran parte della popolazione - e della guerriglia - è sparpagliata nelle zone rurali. Tuttavia, alcune aree, come la città di Kandahar e i distretti circostanti, sono più importanti di altre, per il nemico, per il Governo afghano e per noi. E nonostante questo solo in due dei distretti intorno a Kandahar sono presenti in misura significativa soldati della coalizione, e sono totalmente assenti nella stessa Kandahar, presidiata solamente da un numero inadeguato di militari delle forze di sicurezza nazionali afghane.

Ancora peggio: il rapporto tra soldati antiguerriglia e popolazione nei due distretti intorno a Kandahar sopra citati è approssimativamente di 1 a 44, vicino ai requisiti minimi. Una valutazione adeguata delle nostre priorità in Afghanistan porterebbe a una distribuzione molto diversa, e più efficace, delle forze della coalizione. È sicuramente per questo motivo che recentemente il generale McChrystal ha detto ai giornalisti che intende concentrare le forze intorno a Kandahar.

2. Combattiamo nei modi sbagliati
Un altro problema è che le forze della Nato descrivono la dottrina antiguerriglia meglio di come la mettono in pratica. Quasi tutte le unità Nato nelle aree pashtun sostengono di proteggere la popolazione impegnandosi in una sequenza di operazioni militari nota come "shape, clear, hold and build" [che più o meno consiste in: preparare le condizioni, combattere fino a bonificare il territorio dalla guerriglia, stabilizzare la situazione garantendo una sicurezza prolungata alla popolazione e infine costruire le infrastrutture]. Ma la sequenza si svolge in tempi troppo rapidi. In base alle recenti esperienze in Iraq, per preparare le condizioni ci vogliono dai 30 ai 45 giorni, per eliminare la resistenza dai tre ai sei mesi e per stabilizzare la situazione tempi ancora più lunghi.

Le forze Nato in Afghanistan, tranne pochissime eccezioni, non hanno mai operato rispettando queste tempistiche. Condensano le operazioni di shaping e clearing in poche settimane, e poi passano prematuramente a quella che percepiscono come la fase di stabilizzazione. Il risultato è che raramente le forze Nato riescono ad acquisire un controllo permanente dell'area, o se vi riescono è su aree talmente limitate da produrre un impatto modesto sulla guerriglia o sulla popolazione. Il nemico semplicemente scompare e poi ritorna.

C'è di più: la coalizione e le forze afgane si preoccupano troppo di garantire le linee di approvvigionamento e di contenere la minaccia rappresentata dagli ordigni improvvisati ricorrendo a sforzi tattici invece di mettere in campo un'azione di contrasto alla guerriglia. La conseguenza è che molte forze - in particolare dell'esercito afghano -sono distribuite lungo il corridoio stradale che corre tutto intorno al Paese. Posizioni statiche come queste sono uno spreco di soldati.

Ovviamente le nostre forze devono poter manovrare lungo i corridoi strategici, ma il modo migliore per farlo è mettere in sicurezze le aree popolate e spostare le truppe dalla ring road alle aree dove il nemico si rifugia e trova supporto, per sconfiggerlo.
In altre aree, le forze da combattimento cercano di fare le cose giuste, ma, ancora una volta, nei posti sbagliati. Come dimostrato dall'esperienza irachena, per contrastare efficacemente la guerriglia spesso bisogna ridislocare le forze, dalle basi più grandi a quelle più piccole, per stare in mezzo alla popolazione. Ma in certe aree remote dell'Afghanistan orientale, come il Nuristan, dove il nemico ha uno scarso peso, sia dal punto di vista operativo che strategico, le forze da combattimento sono troppo sparpagliate: hanno lasciato le basi operative avanzate più importanti, spingendosi in aree strategicamente insignificanti e creando piccoli avamposti da combattimento con un numero di soldati troppo ridotto per poter fare qualcosa di più che proteggere l'avamposto stesso. È meglio concentrare le forze destinate alle operazioni antiguerriglia e correre qualche rischio in più in posti meno importanti.

3. Combattiamo sulla base dei presupposti sbagliati
Troppo spesso le operazioni shape, clear, hold and build delle forze della coalizione sono tarate sulla prospettiva di realizzare progetti di sviluppo, non sull'esigenza di garantire la sicurezza della popolazione. Questo atteggiamento tende a privilegiare l'importanza rispetto all'urgenza, il possibile rispetto al necessario. Ad esempio, le principali operazioni di combattimento nell'area controllata dalle forze britanniche a Helmand sono state condotte nell'ottica di agevolare lo sviluppo economico.
La concentrazione di forze all'interno della provincia, e in generale nel Sud, è stata trainata dalla realizzazione della diga di Kajaki e della zona di sviluppo agricolo vicino a Lashkar Gah. Nell'Afghanistan orientale, le forze Usa hanno condotto operazioni militari per poter realizzare delle strade, come quella che porta da Khost al passo di Gardez. Questi progetti sono importanti per lo sviluppo sul lungo termine, ma solo occasionalmente sono importanti anche per il conseguimento dei nostri obbiettivi militari e non si dovrebbe lasciare che condizionino l'impiego delle scarse risorse militari disponibili.
Inoltre, gli sforzi miliari e civili in Afghanistan sono fondati su presupposti sbagliati riguardo allo sviluppo. Troppo spesso si enfatizza l'importanza di un progetto di sviluppo come modello, come dimostrazione della competenza del Governo afghano e della buona volontà degli occidentali. Completare una certa diga, ad esempio, dimostra alla popolazione che il Governo afghano è in grado in generale di fornire servizi; "bonificare" un certo villaggio dimostra che le forze di sicurezza nazionali afghane sono in grado teoricamente di garantire la sicurezza della popolazione. Ma se il modello non viene replicato con rapidità e accortezza resta semplicemente una dimostrazione di quello che si potrebbe ottenere.
Gli effetti dimostrativi non basteranno a sconfiggere la guerriglia. O una località è sicura e ha un'amministrazione operativa, oppure no. Un buon piano di contrasto alla guerriglia ha successo se genera sinergie fra progetti validi e localizzati, non se individua mille punti di luce e spera che si trasformino in una rete elettrica.

4. Combattiamo efficacemente… oppure no?
I parametri di misurazione sono importanti in qualsiasi guerra e sulla base dei recenti rapporti l'amministrazione Obama sta preparando una nuova serie di indicatori per valutare se i combattimenti in Afghanistan producono risultati oppure no. Usare parametri adeguati è importante, ma altrettanto importante è non usare parametri inadeguati. Gli attacchi contro le forze della coalizione, ad esempio, non sono un indicatore affidabile del successo della missione.
Se non altro perché, come abbiamo visto in Iraq, gli attacchi possono aumentare all'inizio di una controffensiva per riconquistare il controllo di aree presidiate dal nemico. La totale assenza di attacchi, per contro, può significare che un'area è sotto il completo controllo del nemico. La misurazione del successo non è semplicemente una questione di statistica e non può andare disgiunta da un piano di campagna, che fissi una gerarchia dei compiti e degli obbiettivi.

5. Possiamo vincere?
Alcuni rispondono con un chiaro e semplice no, sostenendo che l'Afghanistan non ha mai avuto un Governo centrale (cosa non vera) e che è sempre stato la "tomba degli imperi" (cosa vera solo in pochi casi specifici). La sconfitta non è affatto inevitabile. La guerra in Afghanistan ha sofferto fin dall'inizio di una carenza di risorse, specialmente in termini di tempo e attenzione da parte dei grandi leader politici.
Dal 2007 al 2009 gli Stati Uniti hanno dato la priorità alla guerra in Iraq, per fondate ragioni strategiche. Parte della parsimonia dimostrata sul fronte afghano deriva anche da teorie sbagliate sulla guerra antiguerriglia: il segretario alla Difesa Robert Gates, ad esempio, ha interpretato in modo errato l'esperienza sovietica in Afghanistan, arrivando alla conclusione che incrementare il numero dei soldati era qualcosa da evitare perché avrebbe accresciuto il rischio di un fallimento.

Possiamo vincere in Afghanistan, ma solo riorganizzando la campagna militare e fornendola di risorse adeguate. Aggiungere ulteriori risorse allo sforzo militare così come è stato condotto negli ultimi anni, senza modificarne radicalmente la concezione, il progetto e l'esecuzione servirebbe a poco. Era così anche in Iraq prima della surge, e il cambiamento di strategia e il nuovo piano militare che è seguito sono stati fondamentali quanto le risorse aggiuntive messe in campo per il successo della campagna. Ecco perché forse McChrystal adotterà un piano militare differente, magari con la richiesta di risorse aggiuntive, quando presenterà la sua valutazione ufficiale al segretario alla Difesa del Governo degli Stati Uniti e al segretario generale della Nato, dopo le elezioni in Afghanistan.

Il fatto che negli ultimi anni non abbiamo fatto le cose giuste in Afghanistan in realtà è una buona notizia in questo momento, perché vuol dire che a fallire non è stata una strategia antiguerriglia valida e fornita di risorse adeguate, che non è mai stata tentata. C i sono ragioni valide, pertanto, per ritenere che una strategia di questo tipo ora possa avere successo. Ma bisogna muoversi rapidamente, perché, come succede spesso in questo tipo di guerra, se non stai vincendo vuol dire che stai perdendo.

Kimberly Kagan è la presidente dell' Institute for the Study of War ed è autrice di The Surge: A Military History. Quest'anno si è recata due volte in Afghanistan per analizzare le operazioni militari, la seconda volta come parte della squadra di valutazione strategica del generale Stanley McChrystal. Le opinioni espresse in questo articolo sono le sue e non riflettono necessariamente le opinioni del generale McChrystal, del team di strateghi o della valutazione ufficiale.


Cosa ne pensate?







[Modificato da XXI Rapax Britannicus 18/08/2009 09:59]




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