"Perché i Talebani stanno vincendo (per adesso)" di Kimberly Kagan

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
XXI Rapax Britannicus
00martedì 18 agosto 2009 09:58
Stamattina su Il Sole 24 Ore mi sono imbattuto in questo interessante articolo di Kimberly Kagan, consulente del comandante Usa in Afghanistan

Ne posto il link: www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/08/Afghanistan-talebani-kimberly-kag...
Ne riporto anche il testo.

La guerra in Afghanistan non sta andando bene e non c'è da stupirsi che gli americani si sentano frustrati. Molti osservatori giustamente mettono l'accento sui segnali di progresso: la funzionalità di determinati ministeri e programmi pubblici, la lenta crescita dell'Esercito nazionale afghano, la realizzazione di infrastrutture importanti come strade e dighe e i miglioramenti dell'agricoltura.
Questi successi, tuttavia, non hanno creato le condizioni che gli Stati Uniti puntavano a realizzare: uno Stato afghano con un Governo competente, giudicato legittimo dalla popolazione e in grado di difendersi, perché l'Afghanistan non sia più un santuario protetto per gruppi terroristici islamisti. Al contrario, come ha lasciato intendere recentemente Stanley McChrystal, il comandante delle forze della coalizione, la situazione mostra segnali di deterioramento: i gruppi nemici mantengono una forza considerevole, sono più audaci di prima e hanno esteso la loro area di operazioni. Gli attacchi contro le forze della coalizione sono in aumento. Perciò la domanda è: perché non stiamo vincendo in Afghanistan?

Pur avendo fatto parte della squadra di analisti del generale McChrystal, non so come rispondere a questa domanda, e nemmeno mi sento di fare ipotesi su quali saranno le sue raccomandazioni sulla strategia da seguire in futuro. Ma, dopo molte ricerche e due visite in Afghanistan nel corso di quest'anno, personalmente ritengo che il motivo dell'inefficacia delle operazioni militari sia la mancanza di una strategia antiguerriglia unica, coerente.

Nonostante la strategia "Af-Pak" annunciata recentemente dal presidente Barack Obama, la campagna militare che i soldati americani e degli altri Paesi della coalizione stanno conducendo quest'estate rappresenta un prosieguo delle malprogrammate operazioni del 2008. E la pura e semplice forza d'inerzia delle operazioni militari fa sì che sarà difficile invertire la rotta di questa nave prima della fine dell'anno. Ma un'inversione di rotta è necessaria, a cominciare dai punti deboli della strategia che vado ad elencare, e che McChrystal e la sua squadra hanno ereditato dai loro predecessori.

1. Combattiamo nei posti sbagliati
Le forze Nato sono sparpagliate in tutto l'Afghanistan, anche nelle aree pashtun del Sud e dell'Est, invece di concentrarsi su una o due priorità. Una possibile eccezione è la provincia di Helmand, l'unica dove sono dispiegate due brigate, il contingente britannico e il corpo di spedizione della marina americana, appena arrivato. In Iraq, invece, le forze americane, quando hanno mandato i rinforzi per la surge predisposta dalla precedente amministrazione, hanno concentrato circa la metà delle loro forze a Bagdad e dintorni.
Bagdad era il centro gravitazionale del conflitto: se fossimo riusciti a metterla sotto controllo, avremmo vinto; se il nemico fosse riuscito ad assumerne il controllo, avremmo perso. E quindi sono state schierate cinque brigate da combattimento (circa 25mila soldati più le truppe di supporto) a protezione di una città da 8 milioni di abitanti. Altre quattro brigate controllavano le vie d'accesso da sud e almeno un'altra brigata, in certi casi due, sorvegliava i sobborghi settentrionali.

Non esiste un corrispettivo di Bagdad in Afghanistan. Qui gran parte della popolazione - e della guerriglia - è sparpagliata nelle zone rurali. Tuttavia, alcune aree, come la città di Kandahar e i distretti circostanti, sono più importanti di altre, per il nemico, per il Governo afghano e per noi. E nonostante questo solo in due dei distretti intorno a Kandahar sono presenti in misura significativa soldati della coalizione, e sono totalmente assenti nella stessa Kandahar, presidiata solamente da un numero inadeguato di militari delle forze di sicurezza nazionali afghane.

Ancora peggio: il rapporto tra soldati antiguerriglia e popolazione nei due distretti intorno a Kandahar sopra citati è approssimativamente di 1 a 44, vicino ai requisiti minimi. Una valutazione adeguata delle nostre priorità in Afghanistan porterebbe a una distribuzione molto diversa, e più efficace, delle forze della coalizione. È sicuramente per questo motivo che recentemente il generale McChrystal ha detto ai giornalisti che intende concentrare le forze intorno a Kandahar.

2. Combattiamo nei modi sbagliati
Un altro problema è che le forze della Nato descrivono la dottrina antiguerriglia meglio di come la mettono in pratica. Quasi tutte le unità Nato nelle aree pashtun sostengono di proteggere la popolazione impegnandosi in una sequenza di operazioni militari nota come "shape, clear, hold and build" [che più o meno consiste in: preparare le condizioni, combattere fino a bonificare il territorio dalla guerriglia, stabilizzare la situazione garantendo una sicurezza prolungata alla popolazione e infine costruire le infrastrutture]. Ma la sequenza si svolge in tempi troppo rapidi. In base alle recenti esperienze in Iraq, per preparare le condizioni ci vogliono dai 30 ai 45 giorni, per eliminare la resistenza dai tre ai sei mesi e per stabilizzare la situazione tempi ancora più lunghi.

Le forze Nato in Afghanistan, tranne pochissime eccezioni, non hanno mai operato rispettando queste tempistiche. Condensano le operazioni di shaping e clearing in poche settimane, e poi passano prematuramente a quella che percepiscono come la fase di stabilizzazione. Il risultato è che raramente le forze Nato riescono ad acquisire un controllo permanente dell'area, o se vi riescono è su aree talmente limitate da produrre un impatto modesto sulla guerriglia o sulla popolazione. Il nemico semplicemente scompare e poi ritorna.

C'è di più: la coalizione e le forze afgane si preoccupano troppo di garantire le linee di approvvigionamento e di contenere la minaccia rappresentata dagli ordigni improvvisati ricorrendo a sforzi tattici invece di mettere in campo un'azione di contrasto alla guerriglia. La conseguenza è che molte forze - in particolare dell'esercito afghano -sono distribuite lungo il corridoio stradale che corre tutto intorno al Paese. Posizioni statiche come queste sono uno spreco di soldati.

Ovviamente le nostre forze devono poter manovrare lungo i corridoi strategici, ma il modo migliore per farlo è mettere in sicurezze le aree popolate e spostare le truppe dalla ring road alle aree dove il nemico si rifugia e trova supporto, per sconfiggerlo.
In altre aree, le forze da combattimento cercano di fare le cose giuste, ma, ancora una volta, nei posti sbagliati. Come dimostrato dall'esperienza irachena, per contrastare efficacemente la guerriglia spesso bisogna ridislocare le forze, dalle basi più grandi a quelle più piccole, per stare in mezzo alla popolazione. Ma in certe aree remote dell'Afghanistan orientale, come il Nuristan, dove il nemico ha uno scarso peso, sia dal punto di vista operativo che strategico, le forze da combattimento sono troppo sparpagliate: hanno lasciato le basi operative avanzate più importanti, spingendosi in aree strategicamente insignificanti e creando piccoli avamposti da combattimento con un numero di soldati troppo ridotto per poter fare qualcosa di più che proteggere l'avamposto stesso. È meglio concentrare le forze destinate alle operazioni antiguerriglia e correre qualche rischio in più in posti meno importanti.

3. Combattiamo sulla base dei presupposti sbagliati
Troppo spesso le operazioni shape, clear, hold and build delle forze della coalizione sono tarate sulla prospettiva di realizzare progetti di sviluppo, non sull'esigenza di garantire la sicurezza della popolazione. Questo atteggiamento tende a privilegiare l'importanza rispetto all'urgenza, il possibile rispetto al necessario. Ad esempio, le principali operazioni di combattimento nell'area controllata dalle forze britanniche a Helmand sono state condotte nell'ottica di agevolare lo sviluppo economico.
La concentrazione di forze all'interno della provincia, e in generale nel Sud, è stata trainata dalla realizzazione della diga di Kajaki e della zona di sviluppo agricolo vicino a Lashkar Gah. Nell'Afghanistan orientale, le forze Usa hanno condotto operazioni militari per poter realizzare delle strade, come quella che porta da Khost al passo di Gardez. Questi progetti sono importanti per lo sviluppo sul lungo termine, ma solo occasionalmente sono importanti anche per il conseguimento dei nostri obbiettivi militari e non si dovrebbe lasciare che condizionino l'impiego delle scarse risorse militari disponibili.
Inoltre, gli sforzi miliari e civili in Afghanistan sono fondati su presupposti sbagliati riguardo allo sviluppo. Troppo spesso si enfatizza l'importanza di un progetto di sviluppo come modello, come dimostrazione della competenza del Governo afghano e della buona volontà degli occidentali. Completare una certa diga, ad esempio, dimostra alla popolazione che il Governo afghano è in grado in generale di fornire servizi; "bonificare" un certo villaggio dimostra che le forze di sicurezza nazionali afghane sono in grado teoricamente di garantire la sicurezza della popolazione. Ma se il modello non viene replicato con rapidità e accortezza resta semplicemente una dimostrazione di quello che si potrebbe ottenere.
Gli effetti dimostrativi non basteranno a sconfiggere la guerriglia. O una località è sicura e ha un'amministrazione operativa, oppure no. Un buon piano di contrasto alla guerriglia ha successo se genera sinergie fra progetti validi e localizzati, non se individua mille punti di luce e spera che si trasformino in una rete elettrica.

4. Combattiamo efficacemente… oppure no?
I parametri di misurazione sono importanti in qualsiasi guerra e sulla base dei recenti rapporti l'amministrazione Obama sta preparando una nuova serie di indicatori per valutare se i combattimenti in Afghanistan producono risultati oppure no. Usare parametri adeguati è importante, ma altrettanto importante è non usare parametri inadeguati. Gli attacchi contro le forze della coalizione, ad esempio, non sono un indicatore affidabile del successo della missione.
Se non altro perché, come abbiamo visto in Iraq, gli attacchi possono aumentare all'inizio di una controffensiva per riconquistare il controllo di aree presidiate dal nemico. La totale assenza di attacchi, per contro, può significare che un'area è sotto il completo controllo del nemico. La misurazione del successo non è semplicemente una questione di statistica e non può andare disgiunta da un piano di campagna, che fissi una gerarchia dei compiti e degli obbiettivi.

5. Possiamo vincere?
Alcuni rispondono con un chiaro e semplice no, sostenendo che l'Afghanistan non ha mai avuto un Governo centrale (cosa non vera) e che è sempre stato la "tomba degli imperi" (cosa vera solo in pochi casi specifici). La sconfitta non è affatto inevitabile. La guerra in Afghanistan ha sofferto fin dall'inizio di una carenza di risorse, specialmente in termini di tempo e attenzione da parte dei grandi leader politici.
Dal 2007 al 2009 gli Stati Uniti hanno dato la priorità alla guerra in Iraq, per fondate ragioni strategiche. Parte della parsimonia dimostrata sul fronte afghano deriva anche da teorie sbagliate sulla guerra antiguerriglia: il segretario alla Difesa Robert Gates, ad esempio, ha interpretato in modo errato l'esperienza sovietica in Afghanistan, arrivando alla conclusione che incrementare il numero dei soldati era qualcosa da evitare perché avrebbe accresciuto il rischio di un fallimento.

Possiamo vincere in Afghanistan, ma solo riorganizzando la campagna militare e fornendola di risorse adeguate. Aggiungere ulteriori risorse allo sforzo militare così come è stato condotto negli ultimi anni, senza modificarne radicalmente la concezione, il progetto e l'esecuzione servirebbe a poco. Era così anche in Iraq prima della surge, e il cambiamento di strategia e il nuovo piano militare che è seguito sono stati fondamentali quanto le risorse aggiuntive messe in campo per il successo della campagna. Ecco perché forse McChrystal adotterà un piano militare differente, magari con la richiesta di risorse aggiuntive, quando presenterà la sua valutazione ufficiale al segretario alla Difesa del Governo degli Stati Uniti e al segretario generale della Nato, dopo le elezioni in Afghanistan.

Il fatto che negli ultimi anni non abbiamo fatto le cose giuste in Afghanistan in realtà è una buona notizia in questo momento, perché vuol dire che a fallire non è stata una strategia antiguerriglia valida e fornita di risorse adeguate, che non è mai stata tentata. C i sono ragioni valide, pertanto, per ritenere che una strategia di questo tipo ora possa avere successo. Ma bisogna muoversi rapidamente, perché, come succede spesso in questo tipo di guerra, se non stai vincendo vuol dire che stai perdendo.

Kimberly Kagan è la presidente dell' Institute for the Study of War ed è autrice di The Surge: A Military History. Quest'anno si è recata due volte in Afghanistan per analizzare le operazioni militari, la seconda volta come parte della squadra di valutazione strategica del generale Stanley McChrystal. Le opinioni espresse in questo articolo sono le sue e non riflettono necessariamente le opinioni del generale McChrystal, del team di strateghi o della valutazione ufficiale.


Cosa ne pensate?







Giorgio.94
00martedì 18 agosto 2009 10:29
Perché i Talebani stanno vincendo?

Io ho sempre la solita risposta: governo americano (più in alto di Obama) corrotto....
LordHarald
00martedì 18 agosto 2009 10:33
Secondo me è un' analisi parziale, l' ottica è incentrata solo sugli aspetti prettamente militari, per altro solo americani, mentre si dovrebbe osservare la situazione da un punto di vista geopolitico anzitutto, quindi economico e culturale.

Il problema è che sicuramente gli analisti americani lo hanno fatto, ma nonostante sapessero di ficcarsi in un vespaio hanno caricato a testa bassa.

Cos'è che attira tanto dell' Afganistan ??
Rispondendo a questa domanda si scoprono tutte le possibilità di vittoria degli USA.

Vi do 2 aiuti:
1) il terrorismo è solo uno spauracchio.

2) qual'è la prima voce di bilancio nelle esportazioni afgane ??
memphe
00martedì 18 agosto 2009 10:45
Alessandro Magno riuscì a sottomettere l'Afganistan, sterminando metà della popolazine maschile dell'epoca [SM=g27820]
Non credo sia un opzione possibile (giustamente) x gli USA, ma gli afgani hanno da sempre una fama di irriducibili, e per me non credo sia possibile sottometterli dall'esterno, bensì cercare ci cambiare dall'interno.
XXI Rapax Britannicus
00martedì 18 agosto 2009 10:53
La penso come te Harald.

Vorrei però che il dibattito vertesse proprio sull aspetto PURAMENTE militare (sia tattico che strategico), proseguendo sul falsariga di quello dell'articolo.

Per collegarmi all'articolo, qualcuno di voi ha visto il film "Leoni per Agnelli"? E' un ottimo spunto da accostare all'articolo della Kagan e discuterne.






memphe
00martedì 18 agosto 2009 11:16
Re:
XXI Rapax Britannicus, 18/08/2009 10.53:


Per collegarmi all'articolo, qualcuno di voi ha visto il film "Leoni per Agnelli"? E' un ottimo spunto da accostare all'articolo della Kagan e discuterne.




Visto, bel film.
Cmq secondo me non ci sono molte speranze x gli americani, appariranno sempre come invasori finchè restano lì, e faranno la fine del Vietnam. L'unica è dare aiuto a un qualche governo democratico, ma non con soldati e carri armati dappertutto.
LordHarald
00martedì 18 agosto 2009 11:24
Ok e militare sia.

Ecco come la vedo:

Dal punto di vista militare sono in una situazione difficilissima.

L' esercito americano è attrezzatissimo nonchè potentissimo, ma tutta quella potenza senza un bersaglio serve a poco.

Nell' articolo si parla di guerriglia, ma c' entra poco con la guerriglia sudamericana.

Io la definirei + popolazione armata, quindi l' esercito si trova a dover agire tipo polizia, le stesse operazioni "shape, clear, hold and build" , sanno molto di retata nell' intenzione, ma all' atto pratico si ridurranno a semplici incursioni in territorio nemico.
Perchè un' esercito non è in grado di espletare questa funzionalità al meglio, non essendo in grado di radicarsi sul territorio, divenendo un punto di riferimento per la popolazione, in pratica danno una spazzata e basta, senza neanche preoccuparsi di avere un' apparenza di legalità.

Ed, in effetti, il fatto che le forze armate siano ampiamente distribuite sul territorio dimostra un tentativo di svolgere un compito di controllo tipico delle forze di polizia.

Ma come dice giustamente l' articolo, sarebbe il caso che si concentrassero su delle posizioni chiave, che è quello che l' esercito sa fare meglio.

Ciò avrebbe il sapore di una sconfitta e li constringerebbe a difendersi e basta, d' altro canto sarebbe sempre meglio che cercare di prendere le mosche al volo, con un carro armato.

MA c' è anche il rovescio della medaglia, essedo distribuita su tutto il territorio quando viene attaccata, la forza di occupazione, vengono attaccati anche i villaggi, il che fa gioco agli USA, se si concentrassero solo sulle posizioni chiave la popolazione avrebbe l' impressione che, dove gli occupanti si ritirano, ci sia anche una diminuzione degli scontri, il che sarebbe un grave danno di immagine.

Isomma un casino assoluto [SM=x535696] .
Dilust
00giovedì 27 agosto 2009 00:49
Essendo bloccato a casa a causa di un raffreddore caustato dall'abuso di aria condizionata, cercherò di passare il tempo leggendo questa interessantissima analisi e commentandola:


Un altro problema è che le forze della Nato descrivono la dottrina antiguerriglia meglio di come la mettono in pratica. Quasi tutte le unità Nato nelle aree pashtun sostengono di proteggere la popolazione impegnandosi in una sequenza di operazioni militari nota come "shape, clear, hold and build" [che più o meno consiste in: preparare le condizioni, combattere fino a bonificare il territorio dalla guerriglia, stabilizzare la situazione garantendo una sicurezza prolungata alla popolazione e infine costruire le infrastrutture]. Ma la sequenza si svolge in tempi troppo rapidi. In base alle recenti esperienze in Iraq, per preparare le condizioni ci vogliono dai 30 ai 45 giorni, per eliminare la resistenza dai tre ai sei mesi e per stabilizzare la situazione tempi ancora più lunghi.



Iniziamo bene: si vuole mettere a confronto l'Iraq con l'Afghanistan... due territori e due situazioni geo-politiche completamente diverse... persino le popolazioni differiscono per lingua e cultura e non possono essere messe a confronto... ma va bé, per gli americani sono tutti mussulmani e quindi non c'è differenza...



Le forze Nato in Afghanistan, tranne pochissime eccezioni, non hanno mai operato rispettando queste tempistiche. Condensano le operazioni di shaping e clearing in poche settimane, e poi passano prematuramente a quella che percepiscono come la fase di stabilizzazione. Il risultato è che raramente le forze Nato riescono ad acquisire un controllo permanente dell'area, o se vi riescono è su aree talmente limitate da produrre un impatto modesto sulla guerriglia o sulla popolazione. Il nemico semplicemente scompare e poi ritorna.


Mi ricorda il Vietnam... arrivavano con gli elicotteri, distruggevano qualunque cosa e ripartivano... puntualmente i vietcong nella notte riprendevano il villaggio o quello che ne rimaneva... Non è che gli statunitensi abbiano fatto molti passi avanti nelle tattiche antiguerriglia...


C'è di più: la coalizione e le forze afgane si preoccupano troppo di garantire le linee di approvvigionamento e di contenere la minaccia rappresentata dagli ordigni improvvisati ricorrendo a sforzi tattici invece di mettere in campo un'azione di contrasto alla guerriglia. La conseguenza è che molte forze - in particolare dell'esercito afghano -sono distribuite lungo il corridoio stradale che corre tutto intorno al Paese. Posizioni statiche come queste sono uno spreco di soldati.


Voglio vedere se non presidiavano le vie di comunicazione quanti soldati morti ci sarebbero stati, considerando anche il fatto che la maggior parte dei morti si è avuta durante i movimenti via terra...
Uniche possibili soluzioni sono l'impiantare le basi vicino ai villaggi (infatti più giù ne fa un accenno) e potenziare il trasporto eliportato


Ovviamente le nostre forze devono poter manovrare lungo i corridoi strategici, ma il modo migliore per farlo è mettere in sicurezze le aree popolate e spostare le truppe dalla ring road alle aree dove il nemico si rifugia e trova supporto, per sconfiggerlo.




In altre aree, le forze da combattimento cercano di fare le cose giuste, ma, ancora una volta, nei posti sbagliati. Come dimostrato dall'esperienza irachena, per contrastare efficacemente la guerriglia spesso bisogna ridislocare le forze, dalle basi più grandi a quelle più piccole, per stare in mezzo alla popolazione. Ma in certe aree remote dell'Afghanistan orientale, come il Nuristan, dove il nemico ha uno scarso peso, sia dal punto di vista operativo che strategico, le forze da combattimento sono troppo sparpagliate: hanno lasciato le basi operative avanzate più importanti, spingendosi in aree strategicamente insignificanti e creando piccoli avamposti da combattimento con un numero di soldati troppo ridotto per poter fare qualcosa di più che proteggere l'avamposto stesso. È meglio concentrare le forze destinate alle operazioni antiguerriglia e correre qualche rischio in più in posti meno importanti.



Invece è proprio la parte orientale del paese che bisogna controllare. Impedire qualsiasi comunicazione con il Pakistan è l'unico modo per tagliare i rifornimento alle forze guerrigliere e impedire un estendersi del conflitto anche a quest'ultimo stato.
Presidiare la capitale non ha alcun senso. Kandahar non conta niente, in un territorio in cui ogni signore della guerra ha un proprio feudo...

Sta bene voi direte e come blocchiamo un confine lungo migliaia di miglia e perdipiù montuoso... Siete voi che ci siete andati in Afghanistan... avreste dovuto almeno dare uno sguardo alla cartina geografica prima di intervenire a portare la democrazia nel mondo...
Mai a anessuno è venuto in mente che la democrazia non è sempre il migliore delle forme di stato?


Troppo spesso le operazioni shape, clear, hold and build delle forze della coalizione sono tarate sulla prospettiva di realizzare progetti di sviluppo, non sull'esigenza di garantire la sicurezza della popolazione. Questo atteggiamento tende a privilegiare l'importanza rispetto all'urgenza, il possibile rispetto al necessario. Ad esempio, le principali operazioni di combattimento nell'area controllata dalle forze britanniche a Helmand sono state condotte nell'ottica di agevolare lo sviluppo economico.
La concentrazione di forze all'interno della provincia, e in generale nel Sud, è stata trainata dalla realizzazione della diga di Kajaki e della zona di sviluppo agricolo vicino a Lashkar Gah. Nell'Afghanistan orientale, le forze Usa hanno condotto operazioni militari per poter realizzare delle strade, come quella che porta da Khost al passo di Gardez. Questi progetti sono importanti per lo sviluppo sul lungo termine, ma solo occasionalmente sono importanti anche per il conseguimento dei nostri obbiettivi militari e non si dovrebbe lasciare che condizionino l'impiego delle scarse risorse militari disponibili.


La guerra per gli statunitensi ha da sempre un unico percorso: prima distruggiamo e poi ricostruiamo... così girano soldi e i capitalisti sono contenti. Ora se ci sono guerriglieri in giro è logico che qualcuno deve proteggere gli investimenti e chi meglio dell'esercito.


Inoltre, gli sforzi miliari e civili in Afghanistan sono fondati su presupposti sbagliati riguardo allo sviluppo. Troppo spesso si enfatizza l'importanza di un progetto di sviluppo come modello, come dimostrazione della competenza del Governo afghano e della buona volontà degli occidentali. Completare una certa diga, ad esempio, dimostra alla popolazione che il Governo afghano è in grado in generale di fornire servizi; "bonificare" un certo villaggio dimostra che le forze di sicurezza nazionali afghane sono in grado teoricamente di garantire la sicurezza della popolazione. Ma se il modello non viene replicato con rapidità e accortezza resta semplicemente una dimostrazione di quello che si potrebbe ottenere.
Gli effetti dimostrativi non basteranno a sconfiggere la guerriglia. O una località è sicura e ha un'amministrazione operativa, oppure no. Un buon piano di contrasto alla guerriglia ha successo se genera sinergie fra progetti validi e localizzati, non se individua mille punti di luce e spera che si trasformino in una rete elettrica.


È l'unico modo per fidelizzare la popolazione, anche se in un paese che rimane comunque anarchico non vedo quale possa essere una possibile soluzione. La sicurezza dovrebbe essere annoverato tra i servizi basilari. Io fortificherei i villaggi, vi impianterei un presidio stabile che sia in grado di fare veloci sortite nelle fattorie intorno in caso di attacchi o di presenze ostili... Dispendiosissimo... non se ne andranno mai dall'Afghanistan ma è l'unica soluzione secondo me.


I parametri di misurazione sono importanti in qualsiasi guerra e sulla base dei recenti rapporti l'amministrazione Obama sta preparando una nuova serie di indicatori per valutare se i combattimenti in Afghanistan producono risultati oppure no. Usare parametri adeguati è importante, ma altrettanto importante è non usare parametri inadeguati. Gli attacchi contro le forze della coalizione, ad esempio, non sono un indicatore affidabile del successo della missione.
Se non altro perché, come abbiamo visto in Iraq, gli attacchi possono aumentare all'inizio di una controffensiva per riconquistare il controllo di aree presidiate dal nemico. La totale assenza di attacchi, per contro, può significare che un'area è sotto il completo controllo del nemico. La misurazione del successo non è semplicemente una questione di statistica e non può andare disgiunta da un piano di campagna, che fissi una gerarchia dei compiti e degli obbiettivi.


Stanno cercando il giusto linguaggio burocratichese per infinocchiare l'elettore medio? Obama sa benissimo che la guerra non è vinta e non può essere vinta a breve. Io credo fermamente che Obama preferirà lasciare la patata bollente al prossimo presidente (che arriverà tra quattro anni: che presidente è uno che dice noi smantelleremo Guantanamo e manderemo i prigionieri nei paesi nostri alleati? O è un genio... incompreso... o i suoi elettori sono degli idioti).



Alcuni rispondono con un chiaro e semplice no, sostenendo che l'Afghanistan non ha mai avuto un Governo centrale (cosa non vera) e che è sempre stato la "tomba degli imperi" (cosa vera solo in pochi casi specifici). La sconfitta non è affatto inevitabile. La guerra in Afghanistan ha sofferto fin dall'inizio di una carenza di risorse, specialmente in termini di tempo e attenzione da parte dei grandi leader politici.


Quali leader? È rivolto agli alleati NATO? Cioé dovremo essere noi a combattere le guerre degli USA?
L'Afghanistan "ora" non ha un governo centrale, forse era meglio attaccarlo quando c'è l'aveva...



Dal 2007 al 2009 gli Stati Uniti hanno dato la priorità alla guerra in Iraq, per fondate ragioni strategiche. Parte della parsimonia dimostrata sul fronte afghano deriva anche da teorie sbagliate sulla guerra antiguerriglia: il segretario alla Difesa Robert Gates, ad esempio, ha interpretato in modo errato l'esperienza sovietica in Afghanistan, arrivando alla conclusione che incrementare il numero dei soldati era qualcosa da evitare perché avrebbe accresciuto il rischio di un fallimento.


Piccoli presidi nei villaggi... adeguati all'importanza del villaggio e delle vie di comunicazioni circostanti... il confine pakistano dovrebbe essere la priorità, magari con l'aiuto delle altre forze della coalizione.
XXI Rapax Britannicus
00martedì 1 settembre 2009 09:00
"Per vincere in Afghanistan occorre una nuova strategia" di F. Rampini

www.repubblica.it/2009/08/sezioni/esteri/afghanistan-18/nuova-strategia/nuova-strategia....

NEW YORK - La guerra in Afghanistan si può vincere solo cambiando strategia, la situazione sul terreno è "grave". Parola del generale capo delle forze Nato, l'americano Stanley McChrystal, che ieri ha consegnato un rapporto molto atteso. Che non fa sconti a nessuno, e prelude a nuove richieste anche per gli alleati europei. "La guerra si può ancora vincere", è il massimo dell'ottimismo che il generale è riuscito a infilare nel rapporto. Per il resto dipinge una situazione critica, come preludio alla richiesta imminente di nuove truppe. Un serio problema per Barack Obama: l'Afghanistan è ormai diventata la "sua" guerra e non più un semplice lascito di George Bush da liquidare. Da quando l'attuale presidente l'ha definita "un conflitto di necessità", ha fatto propria la tesi secondo cui combattere i Taliban è indispensabile per proteggere l'America da nuovi attacchi terroristici di Al Qaeda. In questo modo Obama si è esposto in prima persona, diventando il prossimo bersaglio dei movimenti pacifisti, che già annunciano mobilitazioni nelle prossime settimane.

Il generale McChrystal ha assunto il comando delle truppe americane e della Nato in Afghanistan a giugno, con l'esplicita missione di operare una svolta nel conflitto. Nel frattempo Obama aveva autorizzato l'invio di altri 21.000 soldati americani. Ma dall'arrivo di McChrystal la gravità della situazione sul terreno si è accentuata. Luglio ha segnato un record storico di vittime: 44 soldati americani uccisi, il massimo in un solo mese dall'inizio del conflitto nel novembre 2001. L'escalation è proseguita in agosto: un nuovo record con 47 morti solo fra gli americani. In parallelo è cresciuta nei sondaggi la maggioranza degli americani contrari alla guerra. Un'analoga escalation di vittime ha colpito il contingente britannico, il secondo più numeroso, creando serie difficoltà politiche in patria anche a Gordon Brown.

"La situazione è grave ma il successo può essere alla nostra portata" si legge nel rapporto McChrystal. A quali condizioni? "Richiede una revisione strategica nell'applicazione degli obiettivi, nell'impegno e nella determinazione, e più compattezza negli sforzi". La gran parte del contenuto del rapporto è rimasta riservata, nota per adesso solo alla Casa Bianca e ai vertici del Pentagono. Si sa però che il generale capo ha fatto proprie le raccomandazioni più volte espresse dagli alleati Nato, compresa l'Italia: in particolare l'idea che la sfida in Afghanistan non può essere vinta solo con mezzi militari, ma richiede un maggiore sforzo per innescare lo sviluppo economico, dare sicurezza alla popolazione, porre le fondamenta per uno Stato di diritto e una società civile funzionante. Sono compiti di "nation-building" per i quali sono necessarie vocazioni e specialismi diversi da quelli delle forze armate. Usare meno forza, concentrarsi di più sullo sviluppo e il buongoverno, è uno dei pilastri del rapporto McChrystal. Che però si scontra con la dura realtà messa a nudo dalle elezioni afgane: uno spettacolo di brogli, irregolarità e corruzione. Lo scrutinio ha messo a nudo l'inadeguatezza del governo Karzai, il cui bilancio nel creare condizioni di normalità è disastroso.

Anche sul piano della sicurezza il rapporto McChrystal evidenzia carenze e ritardi del governo afgano. Tra le conclusioni del documento c'è la richiesta di un sostanziale potenziamento delle forze armate e di polizia locali. Attualmente ci sono sulla carta 134.000 poliziotti e 82.000 soldati afgani. La maggioranza sono male addestrati e poco armati. Come si è visto durante le elezioni, non hanno la capacità di assicurare condizioni minime di sicurezza contro gli attacchi dei Taliban. E spesso la principale occupazione degli uomini in divisa è l'estorsione di tangenti alla popolazione.

In questo quadro pare inevitabile che al rapporto McChrystal faccia seguito da parte del Pentagono una prossima richiesta di nuove truppe, sia americane che degli altri paesi Nato. A fine anno - includendo i 21.000 soldati Usa aggiuntivi già previsti - l'insieme delle forze alleate arriverà a quota 110.000, di cui 68.000 americani. Dai vertici del Pentagono è filtrata in via ufficiosa la seguente stima: per avere buone chances di successo nella strategia di contro-insurrezione, cioè per poter conservare il controllo delle aree riconquistate ai Taliban, garantendo alla popolazione condizioni di sicurezza, ci vorranno 32.000 soldati in più. Il segretario generale della Nato, Anders Rasmussen, da Bruxelles ieri non ha escluso che una quota di questo sforzo aggiuntivo debba essere fornito dagli alleati europei: sia sotto forma di militari che di finanziamenti e contributi all'addestramento. Anche se Rasmussen ha precisato che prima deve essere il governo afgano a fare la sua parte. Un auspicio che nelle condizioni attuali sembra poco più che retorico.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 13:26.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com