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Cronache Bizantine

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2008 16:19
01/04/2008 17:35
 
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Regno dell’Imperatore Costantino

Nell’anno 1232, nella quiete della fortezza di Corinto, dopo breve malattia legata all’età avanzata, John il Sanguinario rende l’anima a Cristo.
Gli insonni bastioni del castello di Iasi si confermano, invece, come luogo dell’estremo riposo della miglior gioventù magiara e polacca, lì insensatamente mandata al macello dai suoi signori.
Retto dall’integerrimo Valsamon il Santo, il remoto avamposto tiene dapprima l’urto di crociati polacchi che si suppone diretti a Tunisi; di seguito respinge un secondo ed un terzo assalto di quelle stesse genti, le cui spoglie ingrassano la terra ed i cui scampati impinguano i forzieri.
In quegli scontri si distingue anche il nobile Emanuele l’Onesto, secondo in comando, che con gli uomini suoi supporta devastanti sortite degli arcieri a cavallo contro le altrui macchine da getto; con tale successo che a stento queste possono sbreccare la merlatura dei bastioni.
Il nuovo imperatore, Costantino, giudica opportuno non muoversi dalla capitale, che già aveva bravamente difeso dalli Turchi di cui aspetta il ritorno; ordina la smobilitazione di sparse truppe che gravano sull’erario senza giovamento per la sicurezza del regno; ne fa arruolare altre, e di migliori, nella fortezza di Bran; persuaso, infine, ad attuare un blocco navale a Ragusa, sfrutta il viaggio della flotta anche per insediar governatori a Rodi e a Cipro, troppo lungamente lasciate a sé stesse.
Solo Tessalonica appare al tempo minacciata, ma poi ne trae profitto; una sortita del generale Trifyllos contro assedianti veneziani procura a quelli lutti, e molte spese per evitar la prigionia. L’impresa riesce così bene che si decide di aggregare all’armata anche cavalieri e fanti di stanza a Corinto, onde inseguir il nemico che ripiega verso Durazzo; raggiuntolo, poi, su un passo montano a sudest di quella pieve, se ne fa pastura per i corvi. Ad un sol tiro di balestra da quel sito Trifyllos deve poi difendersi da altre due formazioni veneziane; il che non gli procura alcun incomodo, perché si attesta su un’erta rupe da cui fa piovere tal pioggia di dardi che lo nemico è sfatto ancor prima di veder la cima. Durazzo è persa alla Serenissima su quelle cime; di lì a poco viene espugnata al prezzo di un solo caduto, e si dice che sia uno sventurato caduto da una scala.
Mentre hanno luogo questi eventi, Andronico Comneno lascia Bran per avventurarsi nella sconosciuta regione di Budapest; ha con sé ottimi arcieri e fanti, ma scarsa cavalleria. A questa carenza devono supplire gli armigeri di tre nobili di belle speranze, mai sperimentati nel comando.
L’armata ingaggia le forze del nuovo Re magiaro giusto a meridione della famosa città; si spera di catturar vivo il monarca per farne ricco mercato, ma quegli cerca la morte in battaglia; e quando la trova trascina con sé il giovin signore che lo trafigge, che mai saprà di aver, lui solo, mandato in rotta l’avversa schiera.
Non si può prendere la città entro la stessa sera, essendovisi asserragliati gli scampati all’eccidio della giornata. Ma quegli uomini son talmente pochi che basta scalar le mura, ed è cosa fatta; la presa di Budapest non costa a Bisanzio nemmeno una vita.
E’ stagione di trionfi in terraferma, ma non in mare; dopo aver sbarcato i nuovi governatori, e affondato qualche legno turco, la flotta imperiale viene annientata dai veneziani al largo di Ragusa.
Novelle minacce, infine, si addensano sul cielo della capitale; queste minacce hanno il volto di vecchi nemici, son crociati magiari che sbarcano sulle rive del Bosforo.
Giunge notizia che la crociata è vinta, e non certo da codesti armati fuor dalla retta via; i ceffi ripiegano le insegne della santa impresa, nulla tentano ma nemmeno fan mostra di nostalgia di casa.
Si dovrà per certo dargli battaglia, occorre chiamare all’armi ogni uomo in età.




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