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Cronache Bizantine

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2008 16:19
26/03/2008 22:56
 
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Regno dell’Imperatore Alessio

Asceso al trono nell’anno del Signore 1080, Alessio I mostra subito di preferire il maneggio dei fiorini e della cazzuola a quello della spada.
La sua priorità è quella di portare a nuovo splendore la città fondata da Costantino, sviluppandone le potenzialità commerciali, le difese, e dotandola financo di terme.
Alla magnificenza di Bisanzio faranno eco quello delle vicine città di Tessalonica e Nicosia, sulle quali l’imperatore riversa, sia pur più lentamente, un altro fiume di denaro.
Alessio si dimostra valido combattente sgominando una truce armata di tagliagole che imperversa nel cuore dell’impero ma, tolto questo solo episodio, preferisce lasciare ad altri i fatti d’arme.
Non manca di accogliere le istanze dei nobili dell’impero, allestendo le richieste spedizioni per la conquista di Smirne prima, e di Rodi poi; queste imprese sono affidate all’impetuoso principe John, ma con l’ordine tassativo di attendere la capitolazione per fame, o la disperata sortita, del nemico
La sicurezza dei confini orientali dell’impero viene ottenuta mediante una alleanza coi Turchi; con scorno degli scettici, il trattato si rivela un successo duraturo.
Assai meno tranquilla è la situazione sui confini occidentali, ove la rivalità col cristianesimo romano viene acuita dall’espansione verso Bucarest, Sofia e Iasi, provincie ribelli ambite anche per i Magiari; il conflitto latente esplode quando, con abile colpo di mano, le armate bizantine si impossessano del castello di Sofia, mirabile per struttura ma assai scarsamente difeso.
Visti i nuovi sviluppi strategici, Alessio vuol ripetere coi Veneziani il colpo diplomatico così ben riuscito coi Turchi; ma, pur ottenendo preziose informazioni geografiche, il risultato è ben lungi da quello sperato.
Il Principe John, temporaneamente preso nelle cure di governo di Rodi, assiste allo sbarco a di un’armata veneziana sull’isola; insospettito da questa mossa, si precipita a reclutare i pochi arcieri mercenari disponibili nei dintorni. Grazie a questi inaspettati rinforzi, il successivo attacco a tradimento di quei perfidi figuri, forti di fanti ma con pochissimi balestrieri, volge rapidamente al disastro; non uno di quelli che si erano apprestati a cingere l’assedio fa ritorno alle navi.




27/03/2008 22:30
 
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Il racconto storico è forte!
Vai avanti col racconto,per ora è troppo poco,l'unica cosa che ti posso dire è che starei attento anche al fronte orientale:le fazioni musulmane sanno essere tremende!



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"Lasciate che i miei eserciti siano le rocce, gli alberi e i pennuti nel cielo", Carlo Magno
28/03/2008 12:47
 
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bello il racconto...facci sapere come finisce!

PS prima o poi una storia sulla mia campagna la scrivo anchre io!
31/03/2008 16:11
 
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John il sanguinario

Il tradimento veneziano deve essere punito; per questo il Principe John viene inviato ad assediare Cipro, alla testa di quegli stessi uomini protagonisti della trionfale sortita di Rodi.
L'assedio è appena agli inizi, quando giunge la ferale notizia della morte dell'imperatore.
Incoronato sotto le mura nemiche, John inaugura subito un nuovo stile di comando e di governo. La città che si sarebbe potuto conquistare sol facendo prova di pazienza diviene un immane carnaio di cavalleggeri e fanti; gli ultimi difensori, asserragliati nella piazza centrale, vengono sterminati uno ad uno dal tiro degli arcieri bizantini e mercenari, unici uomini validi rimasti all'Imperatore.
Conclusa questa impresa, John si trasferisce nel castello di Corinto, col proposito di renderlo il pilastro della sua forza militare.
Nell'entroterra dell'Impero, tuttavia, le cose volgono al peggio.
Magiari e Polacchi assediano Iasi, che può ricevere soccorso solo da Sofia; gli imperiali cadono nel tranello e, quando i loro rinforzi sono giunti a metà strada, un'altra più numerosa armata riesce a sopraffare il valoroso, ma esiguo, presidio rimasto a Sofia.
Iasi viene, dunque, lasciata al suo destino, mentre ogni uomo atto alle armi vien fatto frettolosamente convergere su Sofia.
L'avanguardia bizantina incontra le prime forze nemiche a sud del castello, e qui si accende l'epico scontro oggi ricordato come la battaglia dei tre generali; gli alti ufficiali di entrambe le fazioni trovano morte in battaglia, ed è un oscuro capitano dei cavalleggeri bizantini a salvare la giornata guadagnandosi la promozione sul campo.
Lo stesso castello sarebbe facilmente preso, visto che neppure la sua guarnigione sopravvive alla mattanza, ma una ennesima formazione magiara impone il ripiegamento alle esauste forze di Bisanzio.
Ad ogni buon conto, la ritirata strategica consente ai bizantini di riorganizzarsi e di congiungersi a truppe fresche in arrivo da Tessalonica; l'armata così ricostituita incontra nuovamente il nemico sullo stesso campo di battaglia, e ne fa orrido e definitivo scempio, insediandosi poi fra le deserte mura.
Mentre si svolgono questi eventi, i Veneziani colgono l'occasione propizia e, con ingenti forze, travolgono le difese di Tessalonica; nè si riesce a sloggiarli con un primo, forse prematuro, assalto alle mura cittadine.
Iasi dimostra di saper resistere valorosamente, e più di un generale nemico trova la morte appena al di qua, o al di là, dei suoi cancelli ripetutamente infranti; non così Bucarest, che vanamente tenta la difesa contro gli inesauribili e meglio equipaggiati magiari.
Stante la penuria di armati e di finanze, quei teatri secondari vengono forzatamente trascurati, mentr le migliori forze dell'impero nuovamente si concentrano sotto le mura di Tessalonica; questa volta la città è rapidamente ripresa, e con essa i tesori che Venezia vi aveva incautamente trasferito.
Le nuove risorse consentono di far di Corinto fortezza, ma ancora non si ha modo di reclutare, lì o altrove, valide fanterie.
Alle già molte disgrazie che si abbattono sull'Impero viene, ora, ad aggiungersi, la guerra santa islamica per la cattura di Bisanzio. I primi ad assediare la capitale sono gli "alleati" turchi; tuttavia, la flotta domina gli stretti e, grazie ai rinforzi prontamente traghettati dall'opposta sponda, il Principe Costantino ne ha facilmente ragione. Sotto le mura di Bisanzio viene catturato il generale Derya di Damasco, poi passato per le armi quando il sultano rifiuta di pagarne il riscatto. I guerrieri scampati trovano la morte in mare, in una con i marinai che gli avean dato rifugio.
La sortita del Principe prosegue poi con la cattura del veneziano Barbo il Pazzo, che incautamente si aggirava nei paraggi con scarse forze; anche lui viene giustiziato, giacchè la serenissima rifiuta di versare i miseri cinquemila fiorni occorrenti per il riscatto.
Nel settentrione dell'Impero si distingue il generale Andronico Comneno; è lui il protagonista della riconquista di Bucarest e della successiva campagna contro l'esercito del re Magiaro che, sconfitto in campo aperto, trova rifugio nella fortezza di Bran.
Le possenti mura incutono timore, nè i modesti lancieri e mercenari a disposizione del valente generale paiono in grado di affrontar le lame dei suoi formidabili cavalieri appiedati; ha inizio così l'assedio, che si preannuncia lungo e laborioso.
L'inaspettato arrivo di una spedizione di soccorso abbrevia, tuttavia, la snervante attesa.
Comneno ignora bellamente la nuova, e non impressionante, armata, scagliando tutti i suoi uomini contro le forze del Re, che vanamente tenta di congiungere a questa le sue truppe; i suoi terribili fanti, già provati dall'assedio e decimati dal nutrito tiro degli arcieri, non reggono l'urto; il Re stesso cade sul campo di battaglia; lo stesso accade per il troppo zelante capitano accorso in aiuto. Il resto è solo inseguimento e scannatoio.
Finalmente Bisanzio dispone di una fortezza mirabilmente provvista di tutto ciò che occorre all'offesa ed alla difesa, ma Tessalonica è nuovamente in pericolo.
La garnigione cittadina è costretta ad abbandonare le mura, tempestate dal tiro delle artiglierie, e può tenere la città sol combattendo casa per casa con l'ausilio dei pochi armati che si son fatti strada attraverso regioni infestate da ribelli.
Le strade sono ancor lorde di sangue veneziano che già una seconda armata della serenissima si appressa alle crivellate mura; lo stato delle finanze è tale che sol svendendo e demolendo ogni ben di Dio si può racimolar il denaro occorrente per apprestarsi a difesa.
La drastica scelta consente, bene o male, di reggere anche il secondo urto; è nuovamente disperata lotta per vie e vicoli, e ancora una volta è strage; nell'inseguire il nemico in rotta cade anche, vittima delle superstiti artiglierie nemiche, il vero eroe della battaglia, il valente generale accorso a difesa coi suoi mercenari.
Bisanzio si appresta a tributargli funerali degni di un monarca, giacchè per una volta le sue casse rigurgitano di fiorini incamerati per il riscatto dei moltissimi che furono presi grazie al suo valore.
[Modificato da Bertavianus 31/03/2008 16:54]




31/03/2008 19:33
 
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Racconto semplicemente favoloso! [SM=x535693]
Mi hai fatto percorrere un brivido sulla schiena:davvero epico!
Complimenti per la strategia adoperata,la situazione era davvero delicata.
Lascio a te di continuare,terrò conto delle tue mosse in una futura campagna...
Grazie! [SM=x535694]



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"Lasciate che i miei eserciti siano le rocce, gli alberi e i pennuti nel cielo", Carlo Magno
01/04/2008 17:35
 
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Regno dell’Imperatore Costantino

Nell’anno 1232, nella quiete della fortezza di Corinto, dopo breve malattia legata all’età avanzata, John il Sanguinario rende l’anima a Cristo.
Gli insonni bastioni del castello di Iasi si confermano, invece, come luogo dell’estremo riposo della miglior gioventù magiara e polacca, lì insensatamente mandata al macello dai suoi signori.
Retto dall’integerrimo Valsamon il Santo, il remoto avamposto tiene dapprima l’urto di crociati polacchi che si suppone diretti a Tunisi; di seguito respinge un secondo ed un terzo assalto di quelle stesse genti, le cui spoglie ingrassano la terra ed i cui scampati impinguano i forzieri.
In quegli scontri si distingue anche il nobile Emanuele l’Onesto, secondo in comando, che con gli uomini suoi supporta devastanti sortite degli arcieri a cavallo contro le altrui macchine da getto; con tale successo che a stento queste possono sbreccare la merlatura dei bastioni.
Il nuovo imperatore, Costantino, giudica opportuno non muoversi dalla capitale, che già aveva bravamente difeso dalli Turchi di cui aspetta il ritorno; ordina la smobilitazione di sparse truppe che gravano sull’erario senza giovamento per la sicurezza del regno; ne fa arruolare altre, e di migliori, nella fortezza di Bran; persuaso, infine, ad attuare un blocco navale a Ragusa, sfrutta il viaggio della flotta anche per insediar governatori a Rodi e a Cipro, troppo lungamente lasciate a sé stesse.
Solo Tessalonica appare al tempo minacciata, ma poi ne trae profitto; una sortita del generale Trifyllos contro assedianti veneziani procura a quelli lutti, e molte spese per evitar la prigionia. L’impresa riesce così bene che si decide di aggregare all’armata anche cavalieri e fanti di stanza a Corinto, onde inseguir il nemico che ripiega verso Durazzo; raggiuntolo, poi, su un passo montano a sudest di quella pieve, se ne fa pastura per i corvi. Ad un sol tiro di balestra da quel sito Trifyllos deve poi difendersi da altre due formazioni veneziane; il che non gli procura alcun incomodo, perché si attesta su un’erta rupe da cui fa piovere tal pioggia di dardi che lo nemico è sfatto ancor prima di veder la cima. Durazzo è persa alla Serenissima su quelle cime; di lì a poco viene espugnata al prezzo di un solo caduto, e si dice che sia uno sventurato caduto da una scala.
Mentre hanno luogo questi eventi, Andronico Comneno lascia Bran per avventurarsi nella sconosciuta regione di Budapest; ha con sé ottimi arcieri e fanti, ma scarsa cavalleria. A questa carenza devono supplire gli armigeri di tre nobili di belle speranze, mai sperimentati nel comando.
L’armata ingaggia le forze del nuovo Re magiaro giusto a meridione della famosa città; si spera di catturar vivo il monarca per farne ricco mercato, ma quegli cerca la morte in battaglia; e quando la trova trascina con sé il giovin signore che lo trafigge, che mai saprà di aver, lui solo, mandato in rotta l’avversa schiera.
Non si può prendere la città entro la stessa sera, essendovisi asserragliati gli scampati all’eccidio della giornata. Ma quegli uomini son talmente pochi che basta scalar le mura, ed è cosa fatta; la presa di Budapest non costa a Bisanzio nemmeno una vita.
E’ stagione di trionfi in terraferma, ma non in mare; dopo aver sbarcato i nuovi governatori, e affondato qualche legno turco, la flotta imperiale viene annientata dai veneziani al largo di Ragusa.
Novelle minacce, infine, si addensano sul cielo della capitale; queste minacce hanno il volto di vecchi nemici, son crociati magiari che sbarcano sulle rive del Bosforo.
Giunge notizia che la crociata è vinta, e non certo da codesti armati fuor dalla retta via; i ceffi ripiegano le insegne della santa impresa, nulla tentano ma nemmeno fan mostra di nostalgia di casa.
Si dovrà per certo dargli battaglia, occorre chiamare all’armi ogni uomo in età.




02/04/2008 14:31
 
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complimenti Bertavianus! ottimo racconto!



LA MIA GALLERIA DI IMMAGINI EDITATE E ORIGINALI DI MEDIEVAL 2: TOTAL WAR

09/04/2008 23:14
 
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Regno dell’Imperatore Giovanni

I magiari accampati alle porte orientali davan pensiero, ma la vera minaccia è portata da titanica armata turca che improvvisamente sbarca presso le mura occidentali e pone l’assedio.
Sopraffatto da mille angosce, fra cui la perdita della bella flotta che una volta gli portò soccorso, Costantino rende l’anima al Signore. E quelli subito attaccano la capitale parata a lutto; la crisi di comando impone pegno, il tiro dalle torri e dai bastioni è sì impreciso che neppure li rallenta; son presto sulle mura ed entro i cancelli, ed in un lampo sopraffanno i difensori. Bisanzio è perduta.
Valsamon il Santo lascia Iasi raccogliendo per via esercito che mai l’Impero d’Oriente vide; ed al grande condottiero nulla resiste, né il turco che osò profanare la città, né il vil magiaro che ancor si attarda nei pressi. Ma quella che fu superba capitale, è ormai derelitta rovina.
Sì grande è il suo sdegno che passa il Bosforo, fa macello di un esercito turco in Anatolia, raggiunge Iconio, la cinge d’assedio e la espugna; ma qui si spegne quel prode, che troppi son stati gli strapazzi per uomo non giovine ed avvezzo a tutt’altro clima. Ma il suo insegnamento non è spento, e presto si prende anche Cesarea.
L’Imperatore Giovanni risiede nella fortezza di Bran, e da qui provvede a rafforzar nuovamente le provincie settentrionali, che si eran sguarnite per consentir l’impresa.
Comneno abbandona Budapest dopo averne fatto scempio, che non interessa tenerla, e come fiume in piena che nulla ferma toglie Zagabria alla Serenissima; da qui vuol cominciar la marcia finale su Venezia, e liquidare il conto con le sue odiate genti. Ma è subito messo sotto assedio, nè li scaccia con sfortunata sortita che solo riesce ad abbruciar una torre. Il talento e la fama del condottiero sono però intatti e, quando il nemico osa l’assalto e giunge in forza sin nel cuore della città, prima lo volge in fuga ributtandolo oltre le mura, poi di persona l’insegue e ne fa strage.
Purtroppo, ad altri condottieri arride minor fortuna. Trifyllos parte da Durazzo per Ragusa, pensando di trovarvi poca opposizione; il calcolo sarebbe giusto, ma non mette in conto una nascosta schiera, che pria lo costringe ad arretrar, poi lo massacra.
Meglio va a Glycos, che si sgombra la strada e sotto quelle mura giunge in gran forze e pone l’assedio. Quegli però non ha stoffa di gran duce; sfondati i cancelli con i tiri, è troppo lesto a lanciar l’assalto, col risultato che i suoi vengono miseramente presi in mezzo quando tentano il passaggio; fanti e cavalieri che scampano son ributtati fuori, e assai malconci; pochi armigeri nemici vengon crivellati di frecce quando escono per inseguirli, e questo è il meglio della giornata. Si ripiega, e così ha da far anche Comneno, che non potendo più ricever quei rinforzi di cui avea pressante bisogno lascia Zagabria alle fiamme e agli sciacalli.
Le forze del generale invitto e di quello sconfitto si ricongiungono e marciano alla volta di Sofia, che nel frattempo è stata raggiunta e assediata dal polacco.
Quel borgo ha mura di legno, scarse truppe e nessun governatore; deve fronteggiare l’esercito di un gran generale che dispone di tante catapulte, baliste e trabucchi. Nulla si può fare per salvar le mura, che vanno in briciole con tutto il quartiere occidentale. Un drappello di tiratori a cavallo tenta di ostacolarne il tiro, ma con ben modesti risultati; fa, però, infuriare il generale nemico, che si lancia all’inseguimento con tanta foga da restare impalato sulle lance dei difensori che attendono saldi all’imbocco della piazza. La sua armata sbanda, ma è solo un momento; tosto si riprende, ed ottiene crudele vendetta sugli armati e sugli inermi.
Gli infami han ben poco da esultare, perché Comneno presto gli rende la pariglia; indi si appressa, col seguito ingrossato dai figli suoi, a difesa di Tessalonica; la nuova capitale, infatti, ha ricevuto l’insulto di ripetuti, e vani, attacchi degli uomini del falso Patriarca di Roma.
Questi non ne hanno saputo infranger le difese, ma han preso la rocca di Corinto; uno dei figli di Comneno, Loubertos, libera dall’invasore la vecchia residenza di John il sanguinario.
Il padre suo parte da Tessalonica alla volta di Durazzo, anch’essa caduta in mano ai papisti; ma morte lo coglie sui passi innevati, e Loubertos accorre a prender comando dell’armata.
Or conviene volger lo sguardo all’opposto fronte, e ai suoi fatti d’arme, di cui dico in una fiata.
Nuova stella d’Oriente è un giovin generale, che lo destino suo porta nel nome: Vulcano s’appella, e potenza indomita si dimostra.
Si fa conoscer appena muove da Iconio; come lava infuocata i suoi armati devastano i turchi che volean riprender Cesarea; prende d’impeto Adana; con accresciute schiere di turcopoli ed altri mercenari travolge il possente esercito di Mih a nord di Antiochia; senza attender rinforzi assedia e assalta pure la città, mettendola a ferro e fuoco; vi sosta un poco, poi travolge El Aziz e li suoi, che gli volean sbarrar la via di Aleppo, che presto è sua; si volge ad Edessa, che sottomette; dagli spalti di quella città fa strage di immensa armata che la volea riprendere al culto di Maometto, e riempie pure li forzieri con pingue riscatto; poi la lascia, ed è perduta, ma riprende Aleppo, che non avea saputo resistere all’invasore; da lì con un balzo è a Damasco, che mette a sacco ed abbandona; torna ad Aleppo, nelle cui sabbie lascia a marcir le carcasse di 1300 turchi che s’eran fatti sotto; lascia quella rocca per affrontare l’esercito guidato dal Sultano turco in persona, che ingaggia e massacra fra le dune; è di nuovo ad Edessa, e di nuovo la fa sua; seguente tappa è la possente cittadella di Mosul, che cinge d’assedio. Qui peste lo coglie, e si spegne fra i tormenti pria di vederne i cancelli infranti da un modesto capitano dei cavalleggeri, che bene ha appreso la lezione sua.
Or si fa un passo indietro.
Subito dopo il sacco di Antiochia, giunge notizia buona e cattiva da altre lande; di buono c’è che i magiari più non daranno noia; men bello è saper che sono stati annientati da orribile orda nomade nomata Mongolica. V’è da temer che quelle genti presto si affaccino ai confini dell’Impero.
Poco si può far per questo, poiché armati occorrono in ogni dove.
Loubertos Comneno affronta i papisti ad est di Durazzo, e fa 450 prigionieri; come anni prima, la città è poi facilmente presa al nemico; da lì esce e sbaraglia una spedizione di veneziani, poi fa contento il concilio bloccando il porto di Ragusa per via di terra. Da lì muove per quella piazza, ed il Doge ed il Consiglier veneziano lo affrontano in campo aperto; errore che pagano col sangue, poiché nessuno scampa alla battaglia, e si può varcarne cantando le formidabili porte.
Rodi e Cipro cadono senza soccorso quando Venezia vi fa sbarcar nemmeno troppo grosse armate, mentre sono i Tedeschi ad assediare Sofia; si tenta di aiutarla, ma non si giunge in tempo.
E questo è il meno, che già l’orda minaccia Iasi con esercito guidato dal suo principe ereditario. Glykos tenta di soccorrerla portandovi quanti sottrae a più sicure piazze, ed altri che recluta per via, e nel far ciò lo sconfitto di Ragusa vive l’ora sua più bella.
I Mongoli assaltano lui e prima lo ricacciano indietro, poi lo costringono a battaglia.
Fra quelle spoglie colline non avrebbe scampo al dilagar di arcieri e lancieri a cavallo su ogni lato; l’unica è correr su per un clivo, per addossar le spalle dell’armata ad inaccessibile rupe; qui forma un semicerchio di skiltron che racchiude gli arcieri e la scarsa cavalleria, prega il Signore ed attende saldo la Nera Signora; quelli restano interdetti, gli chiudono ogni via di fuga ma non han cuore di tentar l’assalto del modesto pendio presidiato da selva impenetrabile di lance; restano sotto urlanti e minacciosi, e molti cadono sotto i dardi che piovono dall’alto; dopo il tramonto si fa la conta di trecentoottantatre cadaveri; Glycos non ha perduto un solo uomo.
Battuti ma non domati, i Mongoli convergono rapidamente su Iasi, e riescono ad assaltarla prima che vi giunga l’armata di soccorso; Emanuele il Tirchio e i suoi la difendon con valore, ma il cancello cede e tutti cadono sotto la furia di quegli scatenati, salvo un pugno di arcieri che nessun si cura di stanare dai bastioni.
Ma questa vittoria gli costa cara; sopraggiunge Glycos, che ha raddoppiato la sua schiera; pone l’assedio, prima che quelli abbian colmato le perdite; attende un poco e poi li assale, ed han pochi uomini atti a presidiar le mura; sono ancora fortissimi in cavalieri, ma quelli non sono adusi a sì ristretti spazi; sembran dapprima prevalere, ma poi possenti schiltron li chiudono in piazza d’arme, e dietro a questi archi e balestre seminano morte sino a che le faretre son vuote; è un gran macello, e per la pugna finale si deve marciar su corpi d’uomini e bestie. E’ trionfo a caro prezzo, perchè ognun di quei demoni porta con sé due o più dei nostri.
Grandi imprese compiono i fratelli Comneno in occidente; Loubertos prende Zagabria, e la tiene; Panagiotes arriva sino a Venezia, l’espugna e vi si insedia. Quivi è oggetto di ripetuti attacchi del vil Tedesco, che appena lo cacci subito si ripresenta con nuove armate e sicari; tutto sembra perduto quando in duemila attaccano i men di cinquecento rimasti atti alle armi, ma vince ancor; lascia sguarnite le mura, e tutto s’arrocca in piazza; l’attaccante è accolto da tal pioggia di dardi e di palle di bombarda che si acquatta dietro l’ultimo dosso e più non muove; i pochi animosi che tentano il passo per altra via son dispersi dal generale stesso. Giunti alla fine della giornata, men di duecento sopravvissuti vedon la fuga di un numero triplo di armati, e deve badare ad un numero doppio di prigionieri; questo, però, per poco, che tutti li si scanna.




12/04/2008 20:46
 
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Servo della gleba
Bellissimo racconto, complimenti!!!
13/04/2008 10:38
 
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Meraviglioso,come al solito! [SM=x535693]
Ti nomino Gran Bardo delle Cronache:da oggi la tua fama di cantore arriverà alle stelle [SM=x535694]



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"Lasciate che i miei eserciti siano le rocce, gli alberi e i pennuti nel cielo", Carlo Magno
15/04/2008 16:19
 
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Il tardo Impero

I tempi che vo a narrar son tristi e bui, eppur illuminati da sprazzi di gloria imperitura.
Muore l’Imperator Giovanni e quasi nessuno se ne avvede, anche perché il suo successor porta lo stesso nome. Giovanni II, che molti ritenevano stolto, per lungo tempo avea amministrato Tessalonica, con opera silente e senza gloria. Negli ultimi anni del suo principato raggiunge Sofia, la toglie al nemico, e poi la difende con aspro combattimento fra le case; ed è ancor intento a dar nuova vita a quel conteso municipio, quando vien chiamato a regger le sorti dell’impero tutto.
Ma altre sono le notizie che scaldano, o turbano, i cuori.
Si è in pensiero per Zagabria, dove la peste ha ragion dell'impavido Loubertos Comneno; e con buon motivo perchè, sepolto lui, presto il nemico la fa sua senza grande opposizione.
Or Venezia è isolata, e più non sarebbe saggio rimanervi; Panagiotes Comneno la evacua via mare portando seco ogni tesor atto all’imbarco, e lasciando a chi verrà vuota carcassa.
Egli fa scalo a Ragusa per prender più truppe e munizioni, poi va a cercar il veneziano ove ancora si nasconde, nelle perdute isole di Cipro e Rodi; il navigar è periglioso, due volte rischia il disastro, ma sbarca alfin nell’uno e l’altro posto, e li recupera alla corona di Bisanzio; al Doge, che tenta colpo su Cipro mentre Rodi cade, null’altro resta che vita da bandito.
Il settentrione più non conosce pace, il mongolo imperversa senza posa.
Gli resiste orgogliosa Iasi per un poco, senza il suo duce che peste s’è portato, e vien punita con orrido massacro; al Khan in persona deve sottomettersi Bucarest; solo a Bran l’orda viene più volte umiliata, che per guadagnar le esterne mura perde ogni uomo atto a sfondar l’ultima grata.
Ancora una volta è da oriente che vengono le migliori nuove, par che sia nato un novello Vulcano.
Partitosi da Iconio con quella che doveva esser solo armata di rincalzo, Alessio il Bello ingaggia e vince il turco nord di Adana, poi quella piazza toglie nuovamente al nemico; giunge a Mosul ove visita la tomba del gran generale; sulla via di Baghdad aggiunge alla sua schiera mercenaria truppa che mai s’era vista pria, maestosi elefanti che sulla groppa portano artiglieria; son quelle bestie che prima fan carnaio nella piazza con il tiro, poi spiaccicano sotto le zampe il gran Sultano; identico trattamento riserva al successor suo, e con minor fatica, che le porte di Yerevan gli son spalancate dall’abile opera di spia; da lì minima forza di arcieri e fanti vien distaccata per assediar Tblisi, gran piazzaforte mal guarnita, che subito cade quando suo difensor tenta improvvida sortita; con soli cavalli e liofanti muove veloce per Adana, nuovamente in mano all’ottomano. Quivi è più ardua impresa, perché vi è forte presidio all’interno, ed altra armata guidata dal sovrano appena fuori le mura; ad evitar che si congiungano, la guarnigione è neutralizzata dalla piccola forza di Stefano Milo che, con catapulta e pochi fanti, pone l’assedio sull’opposto lato; or il nemico fugge quando Alessio lo provoca a battaglia, poi ai due non costa gran fatica espugnare i bastioni.
Tale vittoria è mista a delusione, perché errando la si pensava definitiva, ma si palesa che il nemico ancor dispone di altro ignoto baluardo; ed ancor forte ha da esser il suo casato, che non si estingue quando Alessio esce a forze pari, ma col vantaggio dei suoi terribili mercenari, e per terza volta spedisce un Sultano al falso Dio.
Restano impressionati gli egiziani, che si affrettano a dichiararsi alleati; ne è impressionato pure il nuovo imperator, Romano impropriamente detto il Tirchio, che dalla capitale fa saper che l’erario di Tessalonica nulla risparmierà per lo sforzo finale contro l’odiato vicino.
Il prode generale muove dunque per Cesarea, che più non da notizia dopo improvvisa ribellione; ma non è questa la nuova capitale turca, anzi il Principe nemico l’assedia per farla sua; lo affronta e lo ricaccia, ed inseguendolo giunge in vista di Trebisonda; qui finalmente lo costringe a battaglia, in splendido palmizio che si affaccia sul mare; col nobile nemico cadon tutti i difensori della città, indarno corsi in suo soccorso; ma neppure la serena marcia entro la bella città basta a chiudere il conto, che flotte turche ancor solcano i mari e sue truppe tentano fiacchi assalti sulle due sponde del Bosforo.
Per risolver l’enigma si sguinzagliano spie in ogni contrada, ma le notizie tardano e sul patrio suol si consumano tanti drammi.
Si spegne Romano, e gli succede Giorgio, che come lui ha fama di avaro, e peggio ancor non ha fortuna alcuna.
Ottiene modesta vittoria contro i Polacchi, che subito lo umiliano rendendogli pariglia; così son presto perdute Sofia e Bucarest, e tanti armati. Fa richiamare forte contingente da Ragusa, che potrebbe essergli prezioso, ma quello diserta in massa appena varcate le mura. Torna a Tessalonica per curar gli affari di governo, e non sa difenderla dai milanesi; lì cade, e ben pochi sono i pianti che per lui s’odono nel regno.
Si piange invece, e molto, per fulgido eroe che nel medesimo anno funesto cade.
Le spie di Alessio hanno scovato il turco dove meno te lo aspetti, in modesto borgo sul mar nigro a nome Caffa, confinante con lande dominate dall’orda mongolica. Questa però non nuoce, par che sia in lotta con altri e più terribili nomadi dilagati nelle steppe. Il generale muove con veloce colonna montata, e raggiunge il sito seguendo la via delle sponde orientali; conta di reclutar sul posto maggior forza, ma non ne trova, e anche la trovasse il tesoro sarebbe troppo malmesso; il nemico lo sfida con pochi più armati dei suoi, e lui stima di poterlo sopraffare grazie a cannoni e zanne delle immense bestie che ancora porta seco; i fatti sembran dargli ragione, quando è abbattuto il Principe e ultima speranza di Turchia resta il Sultano; ma or i pachidermi son terrorizzati dalle avverse artiglierie, e fuggendo fanno più danni del nemico; Alessio tenta la via del singolar tenzone, e mena terribili fendenti sino a che lama da tergo lo trapassa.
Modesto è il nuovo imperator, ma sol nel nome.
Il mongolo ha fatto di Iasi possente fortezza, il tartaro gli impone di sguarnirla per combattere chissà dove; lui fa svuotare Bran, e assedia l’altra piazza, che presto torna terra di Bisanzio.
Similmente fa fare in medio oriente; Aleppo e Adana son lasciate, per toglier Antiochia a ciò che resta di forze crociate.
I frutti della gloria son secondi a quelli del sacco, che porta quattrini bastanti sia a reclutar esercito che sbarra ai milanesi la via per Costantinopoli, sia ad allestire possente flotta nel Mar Nero, la cui missione è investire Caffa con travolgente sbarco.
Nulla vien lesinato per tale impresa; parton da Trebisonda i legni e molti armati; accostano alla sponda occidentale per imbarcarvi veterani di Bran e di Iasi, oltre a Filippo, generale dalla scarsa nomea e dal grande acume; costui ha scovato e porta con sé due unità mercenarie con nuovo e terribile armamento; gli uni sono artiglieri che brandeggiano gigantesca bombarda, gli altri hanno uno schioppo che, con stupor di tutti, buca le meglio armature; alla prova del fuoco non danno delusione, i primi sbriciolano le mura, i secondi spargono noncuranti morte e sgomento; alle lame di antica tradizione resta, però, l’onore di fare lo scempio final che chiude questa storia.




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