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Entro il 1195 venne aggiunta una seconda cerchia di mura a Lugano e a Pola, e tutti i confini italici della repubblica risultarono vigilati da una rete di punti di osservazione; ulteriore garanzia di sicurezza veniva dalle vecchie alleanze con tutti i confinanti, che peraltro inibivano ogni decente possibilità di ulteriore espansione. Fu questa la ragione che indusse a ricercare anche l'alleanza con i Castigliani, che avrebbe potuto portare ad onorevole rottura dei trattati con i Francesi o i Normanni.
In attesa che si verificasse l'incidente sperato, si ricominciò a pensare al nemico bizantino.
Dapprima vi furon solo azioni di disturbo ai suoi traffici marittimi, condotte dalla flottiglia di Monamvassia, che con poco sforzo compiacquero i desideri del Concilio; poi, nel 1197, dal porto di Pola partì la spedizione di Blasio Calzo, Marchese di Verona, e del Consigliere Pietro l'Afflitto, che si era spogliato del titolo di Marchese d'Istria contando di assumerne altro nei futuri possedimenti; costui però, per acciacchi e bizzarria di carattere volea navigar come colui che non ha fretta, per cui venne poi convinto a trasbordare su altra nave per proceder da solo coi ritmi suoi.
Blasio decise di ignorare la facile, ma irrilevante, preda di Durazzo per sferrare nuovamente il primo colpo a Nafpaktos, che espugnò all'inizio del 1200; non volendo correre il rischio di restarvi bloccato, vi lasciò solo modestissima guarnigione e fece vela prima per Monamvassia, ove reintegrò i ranghi, e poi per Creta, che riconquisto al prezzo di soli dieci caduti. Il nemico riprese il castello appena perduto, ma lo trovò spogliato di ogni cosa di valore militare.
A Creta Blasio venne infine raggiunto da Pietro l'Afflitto, che vi si installo da Doge, e lo autorizzò a ripartire alla volta di Tessalonica; peraltro, avuta notizia di forte concentrazione di truppe nemiche intorno a quella città, Blasio preferì attaccare i bizantini sull'opposta sponda, togliendo loro la poco guarnita fortezza di Smirne.
Nell'anno 1204 il concilio caldeggiò la riconquista di Atene, ma non era destino che si seguisse il suo volere: un esercito bizantino era sbarcato presso Chandax, e minacciava il Doge in persona.
Blasio fu lesto a tornar sull'isola e ad ingaggiare il nemico, che si ritirò sulle alture occidentali; poi egli vestì la croce per la liberazione di Antiochia, ma la prima impresa del suo esercito crociato fu quella di spazzar via la minaccia bizantina.
Nella battaglia della rupe ombrosa trovò il nemico attestato a difesa in una eccellente posizione sopraelevata, ove null'altro avea a temere se non l'assideramento; fosse per quello, o per timore della manovra aggirante iniziata da alcuni cavalleggeri, i bizantini rinunciarono al proprio vantaggio e scesero a combattere ai piedi del pendio, ove furon massacrati quasi sino all'ultimo uomo.
Assicurata la sicurezza del suo Doge, Blasio si affrettò all'imbarco prendendo seco anche le artiglierie che avea preferito lasciare in città, non essendo suo costume utilizzarle in campo aperto.
Essendo salpato da ottima base di partenza Blasio confidava di arrivar per primo nella regione interessata alla crociata, e di avere il tempo per una piccola digressione su Tripoli o su Adana.
Così non fu, perché avvicinandosi alla costa scoprì che gli alleati magiari già cingevano d'assedio Antiochia, a rischio di restar stritolati fra le sue mura ed un esercito siriano giunto alle loro spalle.
Il marchese di Verona fu lesto a sbarcare e a lanciare l'assalto alle mura meridionali; infranta la porta e neutralizzate le caditoie del posto di guardia, travolse la guarnigione cittadina senza altro aiuto dagli alleati che una breccia sulle mura settentrionali, di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
Il fatto che Antiochia conservasse ancora una forte impronta cristiana, ed una casa minore degli ospitalieri, lo indusse ad autorizzare il sacco ma a vietare il massacro degli inermi, onde conservarla il più possibile intatta alla vera fede.
Senza il minimo indugio distaccò poi la propria cavalleria per ingaggiare l'esercito siriano in avvicinamento; quegli uomini combatterono con grande valore, facendo strage di arcieri ed artiglieri, e col sopraggiungere delle truppe magiare sopraffecero una forza numericamente superiore a quella messa in campo dell'alleanza. Di lì a poco i magiari si dileguarono, e Blasio ricevette un emissario turco col quale accettò di stipulare una alleanza.
Due anni dopo, nell'estate del 1209, Uberto Camerlenghi raggiunse via mare Costantinopoli con truppe reclutate nell'Egeo; a seguito di vicissitudini non note la storica capitale bizantina si era proclamata grande città indipendente; il Camerlenghi la sottomise senza difficoltà, e ne divenne il primo Eparkos veneziano.
Passò ancor un anno ed Antiochia, che pareva avviata a nuova prosperità, piombò nel caos allorchè mano assassina armata dai siriani stroncò la vita del carismatico marchese di Verona. I capitani del suo seguito, temendo di non poter sedare i tumulti, decisero espugnare la fortezza Siriana di Adana, onde disporre di più solide difese e di più valide installazioni militari. Lo stesso Blasio aveva concepito un progetto similare, ma ne avea differito l'esecuzione per cogliere occasione propizia a catturare quei bastioni senza rinunciare al controllo di Antiochia. L'urgenza del momento impose, invece, sia una evacuazione quasi totale della città, sia di tentar l'assalto contro forze superiori al desiderabile; un unico lancio di dadi contro il demonio avrebbe deciso tutto.
Disponendo di buone baliste e catapulte, non fu problema forzare il passaggio del cancello esterno orientale ma, una volta dentro, i veneziani dovettero affannarsi a quello meridionale, per contrastare l'afflusso di rinforzi che da lì tentavano di raggiungere i commilitoni arroccati nel mastio. I fanti ed i cavalieri della Serenissima ne ebbero alfine ragione, ma a costo di perdite devastanti. Tutto rischiò di andare letteralmente in fumo quando il tiro delle torri interne riuscì ad attingere le artiglierie in avvicinamento; come Dio volle, il fuoco risparmiò una balista ed una catapulta; quei due pezzi bastarono a schiantare l'ultima grata, ma non le difese del posto di guardia.
Ancora una volta fu ordalia per cavalieri e fanti, che dovettero aprirsi il passaggio contro lance e pioggia ustionante; uno sforzo che esaurì le ultime energie di quegli ardimentosi, or tormentati dal tiro incessante di arcieri a cavallo che correvano in circolo. Di questi ultimi ebbero ragione solo gli arcieri appiedati di Venezia, che si eran faticosamente guadagnati il controllo dei bastioni interni, resistendo caparbiamente ad ogni tentativo che il nemico fece sloggiarli; non vinsero però col tiro ma col pugnale, sostenuti dagli artiglieri, perché fu necessario invadere in massa la piazza d'armi per sottrarne il possesso in tempo utile agli ultimi difensori.
Questo successo pel rotto della cuffia procurò ai superstiti della pugna sia i benefici sperati che le conseguenze temute; Antiochia si ribellò, e anche il suo presidio si rifugiò nella fortezza.