00 23/02/2009 00:04
L’agonia di Gerusalemme

Dopo la cattura di Antiochia, gli eredi dei crociati veneziani erano riusciti a costituire una vasta colonia che, pur con inevitabili scontri con turchi ed egiziani, aveva prosperato per oltre un secolo; ma, nell’ultima decade del secolo tredicesimo, le cose volsero al peggio per questo mirabile avamposto cristiano.
La modesta guarnigione di Nicea era stata costretta a capitolare per fame sotto l’impietoso assedio bizantino, Antiochia e Damasco dovettero essere evacuate in tutta fretta per salvare gente e beni dall’immensa orda mongola, i difensori di Acri abbatterono due generali nomadi, ma nessuno di loro sopravvisse al secondo assalto..
Blasio Selvo aveva preparato al meglio le difese della città santa; le baliste delle torri erano ben provviste di munizioni e i sergenti lanceri di Gaza avevano sostituito le fanterie miliziane, i numerosi balestrieri pavesi e la compagnia di artiglieri addetti alla catapulta erano veterani di molte battaglie, così come il piccolo nucleo di cavalieri crociati appiedati; la casa maggiore degli ospitalieri aveva fornito due compagnie di cavalieri montati; altri centoventi cavalieri di Gaza si disposero a sud della città, quando l’armata di Hulegu pose l’assedio alla sua porta settentrionale.
Il tiro delle torri rallentò a malapena l’assalto nemico, ma Blasio aveva previsto questa eventualità: il grosso dei suoi era schierato in piazza, dove una impenetrabile linea di schiltron bloccava la via sfociante presso la chiesa proteggendo i pavesi, gli artiglieri e gli ospitalieri disposti alle sue spalle. Contro questo dispositivo si infranse la marea di cavalieri nomadi, mentre il tiro della catapulta e delle balestre ne sfoltiva i ranghi; e fu proprio un quadrello ben diretto a spegnere la vita del loro condottiero. Notando la sua caduta, Blasio lanciò una carica di cavalleria, che non tardò ad espellere ogni nemico dalle vie cittadine; non prese, invece, nessuna misura per espellere i duecento fanti mongoli rimasti padroni di un settore delle mura, bastandogli che sgattaiolassero via di soppiatto al calar delle tenebre. La lotta aveva impegnato, approssimativamente, milleseicento guerrieri cristiani e millequattrocento nomadi; gli uni piansero 472 commilitoni, gli altri ne lasciarono sul campo 977.
Non vi fu tempo per festeggiare la vittoria che una seconda armata mongola pose l’assedio a sud; una buona scelta che, estromettendo dal prossimo combattimento gli uomini di Gaza, assicurò ai mongoli un buon vantaggio numerico sugli stanchi difensori.
Blasio attuò fondamentalmente la stessa tattica difensiva, disponendo i suoi schiltron presso il municipio, ma la scarsità di uomini gli consentì di attivare solo le torri del posto di guardia; qui prese posto la superstite compagnia di crociati senza cavallo, e nessuno riuscì a sloggiarla.
Nelle sue prime fasi, questa battaglia somigliò molto a quella precedente; l’unica variante fu dovuta all’iniziativa di un grosso contingente di cavalleria pesante mongola che, eludendo il carnaio e l’attenzione di Blasio, percorse una via laterale; questo gruppo impattò contro il fianco degli ospitalieri, ma non riuscì a sopraffarli. I cristiani riportarono una bella vittoria, ma la loro schiera si era ridotta a soli cinquecentosettanta combattenti.
Anche il terzo assedio iniziò prima che le perdite venissero colmate; questa volta si sarebbe potuto fare affidamento su consistenti rinforzi da Gaza, ma si sarebbero anche affrontate nuova armi micidiali: i lanciarazzi.
Fu ancora questione di arroccamento i piazza, stavolta con fronte ad ovest, e di pochi crociati sul posto di guardia; sola variante fu il posizionamento dei due manipoli di cavalieri superstiti presso le mura, per attivare il tiro di un paio di torri aggiuntive.
La cosa servì a poco, perché pochi minuti di fuoco infernale bastarono ad aprire tre brecce, verso le quali l’intera cavalleria nemica si lanciò subito al galoppo. A questo punto, fra quei prodi cavalieri ai lati dei varchi corse uno sguardo d’intesa; anziché correre verso la piazza, caricarono disperatamente i primi venuti prendendoli in mezzo.
Fortuna volle che il primo caduto nel corpo a corpo fosse proprio il capitano nemico, che non prevedeva di correre rischio alcuno prima di raggiungere il centro cittadino. Ciò non fermò l’avanzata dei suoi, ma creò ritardi e scompiglio; quando raggiunsero il centro cittadino, ottocento combattenti freschi si erano schierati a fianco dei difensori.
Anche i mongoli, però, avevano in serbo qualche sorpresa; visto il fallimento della carica, preferirono allungare le distanza e scoccare nubi di frecce. Questa nuova tattica si rivelò molto più pericolosa, perché i cristiani iniziarono a cadere a grappoli. Vista la mala parata, Blasio ordinò l’avanzata dei fanti pesanti veneziani, che iniziarono a scendere inesorabili lungo la strada falciando gli aggressori come spighe con i loro martelli da guerra; recuperarono anche il controllo delle mura, mentre la cavalleria si dedicava allo sterminio dei fuggiaschi.
Solo novanta mongoli scamparono all’eccidio, ma non era ancora finita; già un’altra armata era pronta all’assalto, in vista delle brecce aperte dai loro sfortunati commilitoni,