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Cronache di Guerra - Fatti d'arme

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    Bokk@Roll
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    Servo della gleba
    00 12/01/2009 16:18
    Veramente bravo!!!!
    Ottime narrazioni...
    Mai pensato di scrivere un libro?!!! :) [SM=x535679]
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    Bertavianus
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    00 12/01/2009 22:24
    Qualche volta ci ho pensato, ma senza metterci molto impegno; se mai ne verrà fuori qualcosa, sarete i primi a saperlo.

    Per ora, è in preparazioe solo la prossima puntata di questa rassegna.




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    Bertavianus
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    00 17/01/2009 01:03
    Danze Ilrlandesi
    Re O’ Connor desiderava rinvigorire lo spirito indipendentista della sua gente con un risultato sensazionale: liberare Derry simultaneamente alla dichiarazione di guerra all’Inghilterra.
    Aveva forze sufficienti per riuscire nell’impresa, ma doveva risolvere un altro problema.
    Le due compagnie di catapulte, necessarie per infrangere le mura lignee della città, appesantivano molto l’incedere dell’armata; l’intero esercito poteva giungere immediatamente in vista del nemico, ma poi gli sarebbe mancato il tempo per approntare l’assedio e lanciarsi all’assalto.
    Non tollerando alcun genere di ritardi, il sovrano inaugurò quella che poi sarebbe stata la sua prassi costante nella rapida campagna di liberazione dell’isola: la marcia scaglionata.
    Un singolo contingente di fanteria corse a mettere Derry sotto assedio, senza curarsi di allestire arieti o altro; il grosso ne seguì il percorso, raggiungendolo di lì a poco. Aggregandosi ad un assedio già in atto, le pur lente catapulte riuscirono a mettersi rapidamente in posizione e a svolgere il proprio ruolo di distruzione.
    Anche il castello di Trim fu preso a questo modo, ma alla logistica degli spostamenti si aggiunse un’altra sottigliezza.
    Il castello era difeso da un’esile guarnigione, oltre ad un esercito inglese poco fuori le mura. Dopo aver infranto i cancelli con le catapulte, e aver travolto i difensori con una possente carica di cavalleria, O’ Connor si guardò bene dall’innalzare il suo orifiamma in segno di vittoria; si apprestò a sbaragliare i rinforzi nemici.
    Messa al sicuro l’artiglieria, e schierati gli arcieri sugli spalti, dispose tutti i suoi fanti nei pressi della soglia; le schiere dell’invasore tentarono vanamente di forzare il passaggio, e man mano che si sbandavano andarono incontro a sorte orrenda; i fuggiaschi cercavano scampo proprio in quella piazza d’armi saldamente tenuta dal Re. Al termine della giornata, si contarono oltre settecento inglesi morti, al costo di una quarantina di perdite.
    Vi fu appena il tempo per riorganizzare i ranghi prima che Dublino cadesse in mano agli insorti e due eserciti inglesi si affacciassero alla vista; uno, proveniente dall’interno dell’isola, minacciava il castello; l’altro, più numeroso, era sbarcato sulla costa e pareva intenzionato a riprendersi la città.
    Un accenno di sortita bastò a far retrocedere i primi verso ovest, e fu chiaro che non sarebbe stato difficile sbaragliarli del tutto; ma non era questo che aveva in mente O’ Connor, lui voleva Dublino, senza perdere Trim.
    Fu ancora questione di accurata pianificazione degli spostamenti. Il Re prese con sé tutta la cavalleria e appena quel tanto di giavellottisti deisi e fanti ceitherne necessari ad ingaggiare il nemico che ancora minacciava il castello; gli diede una sonora batosta, contentandosi di vederlo ritirarsi malconcio in un vicino fortino.
    A quel punto fece rientrare a Trim gli uomini appiedati coinvolti nella battaglia, mandando ad assediare Dublino quelli che erano rimasti a presidio del castello. In questo caso si trattò di una doppia marcia scaglionata, perché ai primi arrivati dovettero aggregarsi sia le catapulte che gli uomini al seguito del Re. I ranghi vennero completati con alcune compagnie di mercenari, e questa improvvisata forza d’assalto fece sua la città.
    Gli inglesi sbarcati sulla costa ritennero prudente reimbarcarsi in tutta fretta.
    Più tardi il re avrebbe commentato ridendo: “ho liberato l’Irlanda combattendo coi piedi”


    [Modificato da Bertavianus 17/01/2009 01:05]




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    Jean de Avallon
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    00 17/01/2009 15:25
    Si, coi piedi ma sempre collegati alla massa contenuta nella scatola cranica !!!





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    Bertavianus
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    00 23/02/2009 00:04
    L’agonia di Gerusalemme

    Dopo la cattura di Antiochia, gli eredi dei crociati veneziani erano riusciti a costituire una vasta colonia che, pur con inevitabili scontri con turchi ed egiziani, aveva prosperato per oltre un secolo; ma, nell’ultima decade del secolo tredicesimo, le cose volsero al peggio per questo mirabile avamposto cristiano.
    La modesta guarnigione di Nicea era stata costretta a capitolare per fame sotto l’impietoso assedio bizantino, Antiochia e Damasco dovettero essere evacuate in tutta fretta per salvare gente e beni dall’immensa orda mongola, i difensori di Acri abbatterono due generali nomadi, ma nessuno di loro sopravvisse al secondo assalto..
    Blasio Selvo aveva preparato al meglio le difese della città santa; le baliste delle torri erano ben provviste di munizioni e i sergenti lanceri di Gaza avevano sostituito le fanterie miliziane, i numerosi balestrieri pavesi e la compagnia di artiglieri addetti alla catapulta erano veterani di molte battaglie, così come il piccolo nucleo di cavalieri crociati appiedati; la casa maggiore degli ospitalieri aveva fornito due compagnie di cavalieri montati; altri centoventi cavalieri di Gaza si disposero a sud della città, quando l’armata di Hulegu pose l’assedio alla sua porta settentrionale.
    Il tiro delle torri rallentò a malapena l’assalto nemico, ma Blasio aveva previsto questa eventualità: il grosso dei suoi era schierato in piazza, dove una impenetrabile linea di schiltron bloccava la via sfociante presso la chiesa proteggendo i pavesi, gli artiglieri e gli ospitalieri disposti alle sue spalle. Contro questo dispositivo si infranse la marea di cavalieri nomadi, mentre il tiro della catapulta e delle balestre ne sfoltiva i ranghi; e fu proprio un quadrello ben diretto a spegnere la vita del loro condottiero. Notando la sua caduta, Blasio lanciò una carica di cavalleria, che non tardò ad espellere ogni nemico dalle vie cittadine; non prese, invece, nessuna misura per espellere i duecento fanti mongoli rimasti padroni di un settore delle mura, bastandogli che sgattaiolassero via di soppiatto al calar delle tenebre. La lotta aveva impegnato, approssimativamente, milleseicento guerrieri cristiani e millequattrocento nomadi; gli uni piansero 472 commilitoni, gli altri ne lasciarono sul campo 977.
    Non vi fu tempo per festeggiare la vittoria che una seconda armata mongola pose l’assedio a sud; una buona scelta che, estromettendo dal prossimo combattimento gli uomini di Gaza, assicurò ai mongoli un buon vantaggio numerico sugli stanchi difensori.
    Blasio attuò fondamentalmente la stessa tattica difensiva, disponendo i suoi schiltron presso il municipio, ma la scarsità di uomini gli consentì di attivare solo le torri del posto di guardia; qui prese posto la superstite compagnia di crociati senza cavallo, e nessuno riuscì a sloggiarla.
    Nelle sue prime fasi, questa battaglia somigliò molto a quella precedente; l’unica variante fu dovuta all’iniziativa di un grosso contingente di cavalleria pesante mongola che, eludendo il carnaio e l’attenzione di Blasio, percorse una via laterale; questo gruppo impattò contro il fianco degli ospitalieri, ma non riuscì a sopraffarli. I cristiani riportarono una bella vittoria, ma la loro schiera si era ridotta a soli cinquecentosettanta combattenti.
    Anche il terzo assedio iniziò prima che le perdite venissero colmate; questa volta si sarebbe potuto fare affidamento su consistenti rinforzi da Gaza, ma si sarebbero anche affrontate nuova armi micidiali: i lanciarazzi.
    Fu ancora questione di arroccamento i piazza, stavolta con fronte ad ovest, e di pochi crociati sul posto di guardia; sola variante fu il posizionamento dei due manipoli di cavalieri superstiti presso le mura, per attivare il tiro di un paio di torri aggiuntive.
    La cosa servì a poco, perché pochi minuti di fuoco infernale bastarono ad aprire tre brecce, verso le quali l’intera cavalleria nemica si lanciò subito al galoppo. A questo punto, fra quei prodi cavalieri ai lati dei varchi corse uno sguardo d’intesa; anziché correre verso la piazza, caricarono disperatamente i primi venuti prendendoli in mezzo.
    Fortuna volle che il primo caduto nel corpo a corpo fosse proprio il capitano nemico, che non prevedeva di correre rischio alcuno prima di raggiungere il centro cittadino. Ciò non fermò l’avanzata dei suoi, ma creò ritardi e scompiglio; quando raggiunsero il centro cittadino, ottocento combattenti freschi si erano schierati a fianco dei difensori.
    Anche i mongoli, però, avevano in serbo qualche sorpresa; visto il fallimento della carica, preferirono allungare le distanza e scoccare nubi di frecce. Questa nuova tattica si rivelò molto più pericolosa, perché i cristiani iniziarono a cadere a grappoli. Vista la mala parata, Blasio ordinò l’avanzata dei fanti pesanti veneziani, che iniziarono a scendere inesorabili lungo la strada falciando gli aggressori come spighe con i loro martelli da guerra; recuperarono anche il controllo delle mura, mentre la cavalleria si dedicava allo sterminio dei fuggiaschi.
    Solo novanta mongoli scamparono all’eccidio, ma non era ancora finita; già un’altra armata era pronta all’assalto, in vista delle brecce aperte dai loro sfortunati commilitoni,




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    Bertavianus
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    00 24/02/2009 10:30
    L'agonia di Gerusalemme - parte II
    L'armata di Kitbuga l'iracondo, forte di quasi 1500 guerrieri, scattò all'assalto attraverso le brecce con la certezza della vittoria.
    Perse solo pochi minuti per sopraffare la cinquantina di balestrieri che, dall'alto delle mura, la infastidiva col tito proprio e delle baliste; poi si avventò contro i centosettantacinque lancieri e cavalieri crociati che tentavano di negarle l'accesso in piazza.
    Lo schieramento predisposto da Blasio iniziò subito a vacillare sotto quella spinta incontenibile, sicchè il generale veneziano lo fece subito rinforzare dai superstiti uomini montati; lui stesso ovette impegnarsi nel corpo a corpo contro i cavalieri nemici che, filtrando fra i difensori, minacciavano di mettere a tacere per sempre il tiro della catapulta e degli ultimi arcieri.
    Non vi fu tempo per alcuna finezza; man mano che arrivavano i rinforzi, settecento uomini esausti per la corsa a perdifiato, si gettavano tutti nella caotica mischia. Solo agli arcieri venne risparmiata tale ordalia, e poterono svolgere il loro naturale ruolo.
    Come Dio volle, le loro saette riuscirono infine a cogliere Kitbuga, e l'impeto del nemico andò scemando; fu colpo provvidenziale, perchè le forze cristiane erano già allo stremo, e non vi era quasi più uomo in grado di impugnare lancia o spada.
    Due artiglieri continuarono impavidi il tiro fino a che l'ultimo rimasto si trovò impossibilitato a proseguire; a quel punto, estrasse il pugnale e si gettò nella mischia, dove morì da prode.
    Infine non rimasero che Blasio, unico uomo a caallo, e i 130 tiratori superstiti di quattro unità; ma i mongoli non erano messi meglio e, dopo aver tentato un'ultima carica, si diedero alla fuga.
    Sopravvissero alla pugna duecentoottantotto cristiani figli della serenissima, cui toccò il triste compito di seppellire i commilitoni e smantellare le opere che sarebbero presto cadute in mano al nemico.
    Il quinto assalto li vide cadere tutti sul sagrato della chiesa.




  • Shivos91
    00 24/02/2009 11:59
    Mi complimento per l'abilità narrativa, ma...questo topic parla di cronache di diverse campagne?
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    Bertavianus
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    00 24/02/2009 12:55
    Esatto, è una sorta di antologia di episodi (spero) interessanti verificatisi nel corso di campagne diverse.




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    Eraclio Imperatore Romano
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    Conte
    00 24/02/2009 14:20
    veramente bravo bertavianus, straordinario davvero [SM=g27811]

    mi hai anche suggerito una buona idea, io spesso inyerrompo cornache perchè quella determinata fazione non mi entusiasma più ma questo "mix di cronache" se così si può chiamare, è davvero una buona idea in quanto risparmia nache molti topic...



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    « So che avrei vantaggi se abbandonassi la città, ma via non posso andare... Non vi lascerò mai. Ho deciso di morire con voi! »

    « Da oggi Latini e Romani sono lo stesso popolo, uniti in Dio, e con l'aiuto di Dio salveremo Costantinopoli. »



    « Darti la città, non è decisione mia né di alcuno dei suoi abitanti; abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere, e non risparmieremo la vita. »



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    Jean de Avallon
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    00 24/02/2009 16:16
    Ciao cavaliere una domanda: " io tra le mura amiche non ho mai adottato l' artiglieria se non nelle torri, ma è efficacie ???"

    Complimenti, imparo sempre qualcosa di nuovo visto la mia scarsità nelle battaglie.

    [SM=g27811]





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    Bertavianus
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    00 24/02/2009 22:49
    Io trovo molto utile un pezzo d'artiglieria che, dalla piazza cittadina, tiri sulla strada da cui arriva il nemico; lo tengo in posizione arretrata, come i tiratori, protetto dalla fanteria.

    In qualsiasi altra posizione mi sembra più dannoso che altro; nella maggior parte dei castelli preferisco farne a meno.




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    Bertavianus
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    Barone
    00 25/02/2009 08:16
    Ho dimenticato di dire una cosa.

    L'artiglieria usata in questa maniera non è sempre letale in termini di uccisioni, ma è altamente demoralizzante per gli assalitori: in fondo, quella folla stretta fra le case non ha modo di disperdersi per evitare le palle infuocate che gli piovono in testa.




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    Willy il Peyote
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    Nobile
    00 05/03/2009 21:03
    Spero che Bertavianus non s'offenda, ma penso che questo sia il 3D adatto.

    Prologo

    Berna, anno dominii 1155

    Quando Adolf [SM=g27828] , guardia semplice su una delle molteplici torri difensive del castello, vide in lontananza un grosso esercito pensò che dovessero essere le armate del Signore che si dirigevano verso la Terra Santa, nell'ennesima crociata indetta dal Papa imperiale.
    Quando poi quella massa s'avvicino Adolf [SM=g27828] [SM=g27828] s'accorse che quella non era un'armata di Dio, ma bensì del Demonio.
    Essa vestiva il giglio di Francia, simbolo del Delfino, acerrimo nemico dell'Impero, che più volte aveva tentato di prendere le terre d'Italia, senza riuscirci.
    Adolf [SM=g27828] [SM=g27828] [SM=g27828] corse immediatamente dal suo superiore, per riferire dell'imminente pericolo, poi torno sugli spalti, per suonare con tutta la forza che aveva in corpo la campana d'allarme, per avvisare i contadini ad affrettarsi verso i cancelli, lasciando le loro case, al di fuori della cittadella, in mano al nemico sempre più vicino.
    Il suono della campana svegliò Ugo, messaggero e araldo del vassallo. Costui, Ugo, era un poltrone, ma adempiva con gran volontà ai suoi doveri, tanto che nemmeno pagò la prostituta con la quale giaceva, ma subito corse alle stalle, balzò in sella ad Argo, suo fidato destriero, e con gran celerità partì di gran carriera verso Stauffen, vicina roccaforte imperiale, per chiedere aiuto.
    Berna era quasi sguarnita, poteva contare su due reparti di balestrieri pavesi, altrettanti di Zweihander e sulla guardia di Otto Bassen, uno dei molti discendenti della famiglia reale.
    Il destino del feudo svizzero era nelle mani di un semplice messaggero, che doveva avvisare a tutti i costi del pericolo, e guidare i rinforzi tra le incantevoli valli del posto.

    La corte di Stauffen (una divagazione, nulla d'importante)

    Ugo scese da cavallo, aveva le gambe indolenzite dal viaggio, che aveva percorso a rotta di collo senza sostare a nessuna stazione di cambio, sempre e solo sul proprio destriero, Argo.
    Arrancando fino alle porte del palazzo signorile, notò che il castello era zeppo di soldati dell'Impero, ma non aveva tempo per soffermarsi a mirare le splendide armature ricche di elaborate decorazioni in stile gotico, o i minacciosi spadoni a due mani degli Zweihander o ancora i fieri stalloni cavalcati dai migliori cavalieri di Germania. Ebbe però il tempo di pensare che Argo non avrebbe sfigurato tra quei cavalli, anche se di stazza inferiore. Lo aveva comprato da un ricco mercante d'Oriente, costui racconto a Ugo dei popoli della steppa, che cavalcavano questi cavalli bassi e veloci, discendenti degli Unni e degli Avari.
    Giunto in fronte ai portoni del palazzo, Ugo venne accompagnato da un paggio di corte, che lo condusse in fronte all'Imperatore in persona, Wolkmir.
    L'imperatore era ormai anziano, s'avvicinava ai 50 anni e aveva lo sguardo spento di chi aveva troppe volte incrociato la morte, che fosse sui campi di battaglia o a tavola, tra vivande avvelenate e complotti di corte.
    Tanta era la sua autorità, che con un gesto del capo fece intendere al proprio ciambellano di occuparsi del messaggero, e rimase seduto sul proprio trono a scrutare il nuovo venuto.
    Ugo ormai a corto di fiato, fece appello a tutte le sue forze, ma riuscì soltanto a proferire le parole "Berna, Francesi", poi gettò il viso in un catino d'acqua piovana e bevve finchè questo non conteneva più alcuna goccia. I cavalieri presenti alla scena si misero a ridere, ma il re li interrupè, si alzò dal suo seggio, avanzò con passo marziale fino al messaggero e gli tese il proprio calice.
    Tutti i presenti erano stupiti di ciò, un semplice messaggero che beveva dal calice dell'imperato? Nulla del genere s'era mai visto.
    Anche Ugo rimase stupito ma tanta era la sete che bevve ancora, e questa volta nessuno si mise a ridere.
    L'imperatore aveva compreso il grande sforzo compiuto da Ugo, si era dimostrato molto più cortese e umano dei suoi stessi cavalieri, portatori degli ideali di giustizia e amor cortese.
    Dopo un breve colloquio tra Ugo, l'imperatore e la sua corte, si decise che la celerità era essenziale, pertanto da Stauffen sarebbero partiti soltanto uomini a cavallo, per velocizzare gli spostamenti fino a Berna, assediata ormai da qualche giorno.
    Ugo pensava di aver adempiuto a gran parte del proprio compito, ora restava il ritorno a Berna, dove avrebbe assistito al massacro dell'armata francese da parte dei molti cavalieri gotici che aveva intravisto nel castello.
    Ma quando tutto era pronto,, vide che avrebbe fatto da guida a ben pochi dei molti cavalieri che già immaginava caricare i francesi.
    Precisamente lasciarono Stauffen 78 uomini, l'imperatore con la sua guardia, mentre il resto dell'esercito stava di guarnigione al castello.
    Ugo era incredulo, ma tacque, nessuno osava mettere in discussione il volere dell'imperatore, tantomeno un semplice messaggero come lui.
    Le nuvole del Destino gravavano su Berna, ed erano nubi nere come la notte...

    Rinforzi dall'Italia

    Steffen Bergen aveva appena lasciato Milano, diretto ad una stretta valle alpina, dove avrebbe dovuto edificare un forte e stare a guardia del passo, per impedire che le canaglie francesi tentassero ancora di scendere in Italia.
    Era furente, aveva appena 21 anni, era nel pieno delle sue forze e aveva voglia di combattere, di versare sangue, di massacrare, non di certo di stare a fare la guardia ad un passo freddo e inospitale sulle Alpi.
    Al suo seguito c'erano 4 compagnie mercenarie di lancieri e 3 compagnie di balestrieri, anch'essi mercenari.
    Secondo Steffen, era un esercito di fuorilegge e possibili disertori, che non avrebbero esitato a tagliargli la gola nel sonno, o ancora peggio ad abbandonarlo sul campo di battaglia, sempre che ci fosse stata una battaglia tra le vette innevate su cui facevano marcia.

    Una speranza

    Adolf guardava l'accampamento francese, dove le truppe del Delfino stavano facendo baldoria con i rifornimenti catturati.
    Mentre quei figli di cane bevevano vino, mangiavano selvaggina e giacevano con le loro sgualdrine, lui, semplice guardia, era costretto a mangiare un misero tozzo di pane, razione giornaliera per via dell'assedio.
    Si stava assopendo nel proprio mantello quando sentì un gran tumulto nella piazza del castello.
    Si sporse dagli spalti e vide un grande calca attorno a un contadinotto, simile a tutti gli altri che vedeva ogni giorno varcare i cancelli per andare a lavorare le terre circostanti la fortezza.
    Non potendo abbandonare il posto di guardia, cercò di cogliere qualcosa dal gran vociare sottostante, ma non comprese parola alcuna, finchè d'improvviso non si levò un urlo che spezzo le tenebre.Erano urla di gioia, un esercito dell'Impero era stato avvistato a un giorno di marcia da Berna, arrivavano i rinforzi tanto sperati!
    Confortato dalla notizia, Adolf tornò di guardia e si lascio prendere dal sonno, sicuro che i Francesi non avrebbero attaccato.

    La battaglia (finalmente direte voi [SM=g27824] )

    Quando Adolf aprì gli occhi vidè le truppe del nemico già schierate, ma non in formazione d'assedio, ma bensì da battaglia.
    Non comprendeva il perchè, ma ciò lo rallegrava.
    Mentre anche la misera guarnigione di Berna si allineava davanti ai cancelli, una guardia vicina ad Adolf lo informò che i rinforzi giungevano da Est, e che comprendevano un gran numero di fanti e balestrieri, capitanati dall'imperatore.
    Le truppe francesi sembravano non essersi accorte del pericolo che giungeva da Est, i rinforzi infatti si erano allineati tra le file d'alberi che scendevano dalle montagne, protetti da sguardi indiscreti.
    Solo il generale di quella armata si era posizionato in un corridoi di terra che correva dalle montagne fino alla posizione del nemico, corridoio di terra piano e fiancheggiato ai lati dalle abitazioni dei contadini e da un bosco, un ottimo punto da cui prendere la rincorsa per una carica di cavalleria.
    Ma i cavalieri erano troppo pochi, tant'è che il nemico non si curò di loro, e rimase stabile in fronte alle mura di Berna.
    Adolf guardava le fila nemiche, tra di loro vi erano contadini e cavalieri appiedati, picchieri con lunghe picche e molti balestrieri.
    Ma il vero pericolo, almeno per la fortezza, erano le tremende macchine d'assedio.
    I francesi avevano abbandonato arieti e torri su un lato dello schieramento, e ora stavano lì a fissare Berna, pronti a distruggere le sue mura con catapulte, trabocchi e qualche balista.Una potenza di fuoco terrificante.
    D'un tratto i cancelli s'alzarono, e Adolf vide con stupore il signore del castello, con il suo seguito di cavallerizzi, puntare dritto al cuore di quell'armata.
    La guardia era scioccata da ciò, caricare con cinquanta uomini più di mille avversari, un'impresa suicida!
    Poi d'un tratto la guardia del generale compì un giro su se stessa di 90 gradi, e puntò su quei cavalieri che attendevano ai piedi delle montagne.
    A quanto pare il vassallo andava a dar man forte ai rinforzi e a guadagnarsi l'onore di fronte agli occhi dell'imperatore.
    Ma il vassallo ebbe una sorpresa quando abbastanza vicino ai rinforzi non vide svettare le araldiche di Wolkmir, suo imperatore, ma bensì quelle imperiali, assegnate ai generali dell'impero che non facevan parte dell'albero genealogico della famiglia reale.
    E si stupì ancor più quando vide in lontananza, giungere da Sud, proprio lo stemma dell'imperatore tanto atteso.
    Quando anche Adolf s'avvide di tutto ciò comprese che le sorti della battaglia si erano rovesciate, ora l'impero poteva contare su 3 generali, e su più di duemila uomini, mentre i francesi, i miseri francesi, fin'ora temuti nelle loro corazze e alle loro macchine infernali, erano in inferiorità numerica di quasi un migliaio di uomini.
    Ciò nonostante rimanevano dei nemici ardui, forse poco addestrati e arditi, ma sicuramente ben equipaggiati e dotati di quei maledetti picchieri che avrebbero potuto infilzare la cavalleria come un porco sullo spiedo.
    Quei 200 uomini a cavallo erano nati per combattere, erano la guardia di 3 uomini di potere, protetti dalle migliore armature, addestrati nella migliore accademia, la guerra!
    Ma erano pur sempre 200 uomini, contro 1500...
    Quando questi impavidi eroi partirono alla carica del fianco destro francese, sugli spalti di Berna calò il silenzio.
    Quegli uomini andavano a morire, e lo sapevano, ma ciò non li fermava, anzi dava loro un impeto da invasati che li spingeva a spronare i loro cavalli.
    Quando i francesi tentarono di fermare la carica spostando i picchieri sul lato, fu troppo tardi, i cavalieri dell'impero caricarono con una ferocia inaudita il fianco scoperto, entrarono tra la formazione del nemico e la aprirono come un mollusco svuotato dalle abili mani di un cuoco.
    Fecero scempio dei serventi alle macchine d'assedio e dei balestrieri nelle retrovie, poi si ritirarono nei boschi a lato e scamparono al tiro dei balestrieri posti in prima linea.
    L'azione era stata rapidissima, tanto che i fanti francesi non ebbero nemmeno il tempo di ingaggiare le truppe dell'impero.
    Le cariche si ripeterono più volte, il nemico sembrava imbambolato di fronte all'audacia di quel manipolo di cavalieri che a ogni affondo perivano sempre più.I soppravvisuti lasciavano i compagni a terra e ripiegavano per poi tornare e cadere al loro fianco.
    Quando tutti i tiratori francesi perirono o fuggirono, i cavalieri si ritirarono all'interno del castello, ma proprio mentre Steffen s'attardava indietro, bloccato dai cavallieri appiedati di Francia, egli venne ferocemente ucciso.
    Colui che aveva disobbedito agli ordini dell'imperatore, che era andato in cerca di battaglia e infine aveva trovato la morte a pochi metri dallo stesso imperatore di cui avevo ignorato i comandi, venne celebrato in seguito ed ottenne da tutti l'appellativo di "Disobbediente".
    Steffen il Disobbediente, un semplice generale, aveva salvato Berna assieme al suo imperatore e ad un secondo familiare reale.
    Dopo che i francesi rimasero senza tiratori, l'Impero schierò i balestrieri di Berna, quelli portati da Steffen e i pochi reclutati dall'imperatore tra le valli svizzere.
    Essi a distanza di sicurezza scatenarono un tiro straordinario, che osservai dall'alto degli spalti, spossato dalla battaglia a cui avevo appena preso parte, a cavallo del mio fiero Argo.
    Ebbene sì, io, Ugo il messaggero, dopo aver guidato da Stauffen a Berna l'imperatore e i suoi uomini, mi son gettato nella mischia, pronto a dar la mia vita per i miei concittadini.
    Quest'oggi, noi pochi che abbiam preso parte a quella che ancor oggi viene ricordata come la "carica dei 200", siamo onorati e ricordati da tutti ad ogni occasione, le voci delle nostre gesta sono arrivate fino alle terre di Danimarca, e vengono tutt'oggi raccontate alle corti di Palermo e Costantinopoli.

    Ugo il Messaggero

    Berna

    Anno Dominii 1198

    [SM=x535728] vado a farmi una birra



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    Willy il Peyote
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    Città: MORETTA
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    Sesso: Maschile
    Nobile
    00 05/03/2009 21:07
    Dimenticavo...

    Truppe mie: 2342

    Uomini perduti: 24

    Truppe Francesi: 1505

    Nemici Uccisi: 1359 (di cui 600-650 fatti prigionieri)





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    Bertavianus
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    Barone
    00 05/03/2009 22:35
    Bella battaglia e magnifica descrizione.




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    Willy il Peyote
    Post: 254
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    00 06/03/2009 00:36
    Manfredi me fa' na pippa! [SM=g27828]

    Grazie Bertavianus!



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    the eorl
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    Servo della gleba
    00 05/11/2009 19:38
    Re:
    questa tattica è ottima la uso sempre soprattutto se il nemico ha carenza di mezzi d'assedio;risulta ancora più fatale nelle fortezze quando ci si asserrraglia dietro al terzo strato di mura rendendo poi l'inseguimento dei nemici in rotta una vera carneficina e oltretutto la vicinanza con il cento città praticamente annulla le rotte delle truppe.
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