Gli scudieri di San Marco

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Bertavianus
00mercoledì 14 ottobre 2009 11:15
BC 5.1 vh/vh
Nell'anno del Signore 1155 i domini della repubblica lagunare non si estendevano oltre Pola e Zara.
Il concilio cittadino sollecitava Domenico Morosini ad avanzare sulla costa adriatica orientale, ma il Doge era tutt'altro che propenso a distendere i confini della Serenissima in quella direzione.
Ei scelse, invece, di impossessarsi al più presto del castello indipendente di Verona, onde non avessero ad insediarvisi più scomodi vicini; armata condotta dal Consiglier Vitale riuscì a fatica nell'impresa, precedendo di poco un esercito milanese che, per non aver a tornare con pive nel sacco, tosto rivolse le sue attenzioni contro Bologna.
Seguirono anni di tranquillità in cui non vi fu lavor d'armi, ma di badile e di cazzuola; venne inaugurato il Banco della Serenissima, ed inviate ambascerie in ogni dove
Nell'inverno del 1160, quando al Morosini successe Vitale, la sicurezza della repubblica era già garantita da trattati di alleanza con l'Impero, i Magiari ed i Normanni: or vi si aggiunse quella col Pontefice, compiaciuto dall'erezione di luoghi di culto e dall'assenza di conflitti con altri fratelli in Cristo, e infine quella con la Francia. Quest'ultima entrò in guerra con Milano, e furono osservati diversi scontri inconcludenti nell'alta valle del Po.
Ancor cinque anni trascorsero pria che i lagunari fossero indotti a riprender l'armi, in risposta all'appello del Santo Padre. Il doge stesso vestì la croce per combattere per Urfa, imbarcandosi con buon numero di armati e le prime baliste uscite dalle officine di Pola.
Dapprima non andò lontano, poiché colse l'occasione per sottomettere il borgo eretico di Ancona.
Riprese il mare con rinnovate forze sol sul finire del 1167, ma tosto seppe che Urfa era caduta. Pensò allora di costeggiare la costa orientale adriatica, in cerca di ulteriori borghi da sottomettere, finendo per sbarcare presso il castello bizantino di Nafpaktos; vi colse una facile vittoria.
Il Doge restò lì con poche forze, iniziandovi l'arruolamento di truppe locali, e affidando il grosso e l'artiglieria al comando di Jacopo de Rosa, Marchese di Ancona; costui fece vela su Monamvassia, ed anche questo castello fu espugnato senza la minima difficoltà.
Nel 1173 le truppe partite dai due castelli investirono Atene; si trovò la città più guarnita delle rocche, ma il tiro a lunga distanza dei pavesi fece strage dei difensori prima ancora che si arrivasse al combattimento serrato.
L'anno seguente fu preparato e portato a termine lo sbarco su Creta, difesa solo dalla guardia personale di Giovanni Ducas; i bizantini non ebbero la menoma speranza. Vitale vi si insediò trionfalmente, ma il Signore lo chiamò a sé pochi mesi dopo.
Le ultime gesta di Vitale si sovrapposero alle prime del Consigliere Prelato.
Ei aveva predisposto una forza di intervento nel castello di Verona, in attesa di occasione propizia per intervenire nella guerra franco milanese, e distaccato tre compagnie a presidio del vicino ponte. Il casus belli scoppiò quando questi uomini vennero chiamati in soccorso da una pattuglia di arcieri francesi in ritirata; sostenendo una scaramuccia difensiva da cui uscirono inaspettatamente vincitori.
A quel punto l'esercito di Prelato varcò fulmineo i due fiumi e assalì Bologna; i milanesi del luogo opposero fiera resistenza, ma dovettero soccombere di fronte a forze soverchianti. Fu proprio in quella città che Prelato assunse la Dogatura, pria di tornare a Verona per ricostituire i ranghi.
Il nuovo Doge decise di congedare parte dell'armata di Grecia, onde concentrare le risorse della Serenissima nella nuova campagna italiana; Creta ed il Peloponneso or interessavano solo per i proficui monopoli commerciali che vi erano stati avviati.
Nel periodo fra l'inverno 1177 e l'estate 1182 Prelato combatté con successo le quattro battaglie dei colli bolognesi; in luogo dei bei voli di vespa cantati dai menestrelli locali, vi si assistette sempre alla fuga disperata dei balestrieri meneghini all'incalzar dei sergenti a cavallo, che ne facean macello prima di dar manforte ai commilitoni appiedati. I milanesi nulla ottennero, salvo la scomunica.
Nell'inverno del 1183 il Doge riuscì a portarsi sotto le mura di Milano con una forza di trenta compagnie, in parte mercenarie. Lo attendea Vitellozzo da Pirovano, con circa 1200 uomini.
Prelato preferì concentrare l'attacco sulla porta settentrionale, meglio raggiungibile dal capitano dei rinforzi, anche a costo di ritardare il posizionamento ottimale delle baliste e dei balestrieri pavesi; trattenne i suoi dopo il crollo del portone, affinché i lancieri dei due contingenti potessero attaccare in unica massa compatta avversari già falcidiati dai quadrelli di balestra: la città e le sue ricchezze furon sue al prezzo di settecento caduti.
La conquista di Milano coincise con la perdita della maggior parte delle provincie elleniche e di Creta, troppo sguarnite per opporsi alla calata simultanea di cinque eserciti bizantini; resistette solo Monamvassia, ove avea trovato rifugio anche la guarnigione evacuata da Atene. Il nemico non osò attaccare quei bastioni, forse perché scosso dall'eroica resistenza della guarnigione di Nafpaktos, che era giunta ad un passo dal ricacciare assalitori cinque volte più numerosi.
Nell'anno 1185 si ottennero notizie precise sulla situazione delle vicine provincie italiane; i Milanesi presidiavano con forze imponenti Firenze e Lugano, gli alleati Siciliani occupavano Genova e Pisa, Asti era riuscita a conservare la propria indipendenza grazie alle guerra endemica fra questi e quelli, in cui si erano occasionalmente intromessi anche gli Aragonesi .
L'attacco a Lugano fu possibile solo tre anni dopo, quando si seppe che l'esercito sino allora pronto a dar manforte alla guarnigione del Duca si era allontanato un poco verso nord. Il Doge profittò del momento riversando sul castello ogni uomo disponibile in Lombardia, attaccandolo con un lieve vantaggio numerico che sarebbe stato impensabile poche settimane prima. I milanesi ressero il passaggio del cancello infranto sino alla morte del loro signore, poi rifluirono disordinatamente in piazza d'armi. Qui furono inesorabilmente stritolati ma, poco prima dalla capitolazione, uno degli ultimi cavalieri loro colse un varco che gli consentì di trafiggere a morte Prelato. La vittoria di quel giorno ebbe sapore amaro, che fra modeste perdite se ne dovette piangere una eccelsa.
Altri due anni dovettero trascorrere prima di giungere alla resa dei conti finale coi milanesi, ancor forti a Firenze e negli immediati paraggi.
Luigi de Meo, legato di Romagna, ne ebbe ragione attuando la manovra del doppio ingaggio: inviò una forza modesta ad assediare la città da nordovest, prendendo posizione proprio a fianco della forza nemica in campo aperto; contro di questa si scagliò lui col grosso delle truppe, provocandone il ritiro oltre Arno. A quel punto potè scatenare in tutta sicurezza l'attacco contro la città, facendo scomparire dalla storia il gonfalone di Milano; poco tempo dopo spazzò via da terra di Toscana le residue truppe lombarde, ormai datesi al brigantaggio.
Circa tre anni dopo, senza tante sottigliezze, furono ancor le baliste di De Meo a suonare il requiem per l'indipendenza di Asti.
Bertavianus
00venerdì 16 ottobre 2009 13:45
Entro il 1195 venne aggiunta una seconda cerchia di mura a Lugano e a Pola, e tutti i confini italici della repubblica risultarono vigilati da una rete di punti di osservazione; ulteriore garanzia di sicurezza veniva dalle vecchie alleanze con tutti i confinanti, che peraltro inibivano ogni decente possibilità di ulteriore espansione. Fu questa la ragione che indusse a ricercare anche l'alleanza con i Castigliani, che avrebbe potuto portare ad onorevole rottura dei trattati con i Francesi o i Normanni.
In attesa che si verificasse l'incidente sperato, si ricominciò a pensare al nemico bizantino.
Dapprima vi furon solo azioni di disturbo ai suoi traffici marittimi, condotte dalla flottiglia di Monamvassia, che con poco sforzo compiacquero i desideri del Concilio; poi, nel 1197, dal porto di Pola partì la spedizione di Blasio Calzo, Marchese di Verona, e del Consigliere Pietro l'Afflitto, che si era spogliato del titolo di Marchese d'Istria contando di assumerne altro nei futuri possedimenti; costui però, per acciacchi e bizzarria di carattere volea navigar come colui che non ha fretta, per cui venne poi convinto a trasbordare su altra nave per proceder da solo coi ritmi suoi.
Blasio decise di ignorare la facile, ma irrilevante, preda di Durazzo per sferrare nuovamente il primo colpo a Nafpaktos, che espugnò all'inizio del 1200; non volendo correre il rischio di restarvi bloccato, vi lasciò solo modestissima guarnigione e fece vela prima per Monamvassia, ove reintegrò i ranghi, e poi per Creta, che riconquisto al prezzo di soli dieci caduti. Il nemico riprese il castello appena perduto, ma lo trovò spogliato di ogni cosa di valore militare.
A Creta Blasio venne infine raggiunto da Pietro l'Afflitto, che vi si installo da Doge, e lo autorizzò a ripartire alla volta di Tessalonica; peraltro, avuta notizia di forte concentrazione di truppe nemiche intorno a quella città, Blasio preferì attaccare i bizantini sull'opposta sponda, togliendo loro la poco guarnita fortezza di Smirne.
Nell'anno 1204 il concilio caldeggiò la riconquista di Atene, ma non era destino che si seguisse il suo volere: un esercito bizantino era sbarcato presso Chandax, e minacciava il Doge in persona.
Blasio fu lesto a tornar sull'isola e ad ingaggiare il nemico, che si ritirò sulle alture occidentali; poi egli vestì la croce per la liberazione di Antiochia, ma la prima impresa del suo esercito crociato fu quella di spazzar via la minaccia bizantina.
Nella battaglia della rupe ombrosa trovò il nemico attestato a difesa in una eccellente posizione sopraelevata, ove null'altro avea a temere se non l'assideramento; fosse per quello, o per timore della manovra aggirante iniziata da alcuni cavalleggeri, i bizantini rinunciarono al proprio vantaggio e scesero a combattere ai piedi del pendio, ove furon massacrati quasi sino all'ultimo uomo.
Assicurata la sicurezza del suo Doge, Blasio si affrettò all'imbarco prendendo seco anche le artiglierie che avea preferito lasciare in città, non essendo suo costume utilizzarle in campo aperto.
Essendo salpato da ottima base di partenza Blasio confidava di arrivar per primo nella regione interessata alla crociata, e di avere il tempo per una piccola digressione su Tripoli o su Adana.
Così non fu, perché avvicinandosi alla costa scoprì che gli alleati magiari già cingevano d'assedio Antiochia, a rischio di restar stritolati fra le sue mura ed un esercito siriano giunto alle loro spalle.
Il marchese di Verona fu lesto a sbarcare e a lanciare l'assalto alle mura meridionali; infranta la porta e neutralizzate le caditoie del posto di guardia, travolse la guarnigione cittadina senza altro aiuto dagli alleati che una breccia sulle mura settentrionali, di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
Il fatto che Antiochia conservasse ancora una forte impronta cristiana, ed una casa minore degli ospitalieri, lo indusse ad autorizzare il sacco ma a vietare il massacro degli inermi, onde conservarla il più possibile intatta alla vera fede.
Senza il minimo indugio distaccò poi la propria cavalleria per ingaggiare l'esercito siriano in avvicinamento; quegli uomini combatterono con grande valore, facendo strage di arcieri ed artiglieri, e col sopraggiungere delle truppe magiare sopraffecero una forza numericamente superiore a quella messa in campo dell'alleanza. Di lì a poco i magiari si dileguarono, e Blasio ricevette un emissario turco col quale accettò di stipulare una alleanza.
Due anni dopo, nell'estate del 1209, Uberto Camerlenghi raggiunse via mare Costantinopoli con truppe reclutate nell'Egeo; a seguito di vicissitudini non note la storica capitale bizantina si era proclamata grande città indipendente; il Camerlenghi la sottomise senza difficoltà, e ne divenne il primo Eparkos veneziano.
Passò ancor un anno ed Antiochia, che pareva avviata a nuova prosperità, piombò nel caos allorchè mano assassina armata dai siriani stroncò la vita del carismatico marchese di Verona. I capitani del suo seguito, temendo di non poter sedare i tumulti, decisero espugnare la fortezza Siriana di Adana, onde disporre di più solide difese e di più valide installazioni militari. Lo stesso Blasio aveva concepito un progetto similare, ma ne avea differito l'esecuzione per cogliere occasione propizia a catturare quei bastioni senza rinunciare al controllo di Antiochia. L'urgenza del momento impose, invece, sia una evacuazione quasi totale della città, sia di tentar l'assalto contro forze superiori al desiderabile; un unico lancio di dadi contro il demonio avrebbe deciso tutto.
Disponendo di buone baliste e catapulte, non fu problema forzare il passaggio del cancello esterno orientale ma, una volta dentro, i veneziani dovettero affannarsi a quello meridionale, per contrastare l'afflusso di rinforzi che da lì tentavano di raggiungere i commilitoni arroccati nel mastio. I fanti ed i cavalieri della Serenissima ne ebbero alfine ragione, ma a costo di perdite devastanti. Tutto rischiò di andare letteralmente in fumo quando il tiro delle torri interne riuscì ad attingere le artiglierie in avvicinamento; come Dio volle, il fuoco risparmiò una balista ed una catapulta; quei due pezzi bastarono a schiantare l'ultima grata, ma non le difese del posto di guardia.
Ancora una volta fu ordalia per cavalieri e fanti, che dovettero aprirsi il passaggio contro lance e pioggia ustionante; uno sforzo che esaurì le ultime energie di quegli ardimentosi, or tormentati dal tiro incessante di arcieri a cavallo che correvano in circolo. Di questi ultimi ebbero ragione solo gli arcieri appiedati di Venezia, che si eran faticosamente guadagnati il controllo dei bastioni interni, resistendo caparbiamente ad ogni tentativo che il nemico fece sloggiarli; non vinsero però col tiro ma col pugnale, sostenuti dagli artiglieri, perché fu necessario invadere in massa la piazza d'armi per sottrarne il possesso in tempo utile agli ultimi difensori.
Questo successo pel rotto della cuffia procurò ai superstiti della pugna sia i benefici sperati che le conseguenze temute; Antiochia si ribellò, e anche il suo presidio si rifugiò nella fortezza.
Bertavianus
00sabato 17 ottobre 2009 23:42
Il 1213 iniziò col pubblico lutto per la scomparsa del Doge Pietro l'Afflitto ma, in verità, l'intima afflizione dei più non fu gran cosa; gli eventi che realmente turbarono i cuori furon altri.
I Regni di Sicilia e di Francia erano entrati in guerra, e ciò imponeva rapida scelta fra quale alleato serbare e quale lasciare al suo destino. Il primo, l'aggressore, era reputato il più forte, e vi era remora a scontentarlo; il secondo parea quello più sincero o, almeno, il più rispettoso dei confini.
Nel corso di un tumultuoso concilio Blasio de Rosa, signore d'Asti, prese la parola dicendo: “Il mio esercito è pronto. Volete uno scomodo avamposto in Francia fra un anno, o due porti sul Tirreno entro poche settimane?'” Dopo ancor breve discussione vinse il partito filofrancese: l'armata astigiana si mise in marcia pochi giorni dopo la partenza degli araldi che avrebbero comunicato ai vecchi alleati la decisione della repubblica.
Blasio sapeva di poter lanciare un attacco inesorabile; la presa Genova gli costò solo trentatre caduti.
L'attacco immediato a Pisa era un azzardo che meritava di esser corso. Il solo a poterlo tentare era Barnaba de Nigro, con arcieri, lancieri e milizie di stanza a Bologna e Firenze (ove si trovavano anche le uniche baliste disponibili) oltre a balestrieri pavesi e cavalieri mercenari appiedati reclutati all'ultimo momento; una forza che avrebbe dovuto confrontarsi con quella di un signore che, al riparo delle mura di pietra, schierava una guarnigione rinforzata da tre compagnie di armigeri, una di cavalieri appiedati, ed una di sergenti a cavallo.
Gli artiglieri ebbero ragione del portone, ma non delle altre difese; i tiratori fecero il possibile per sfoltire i ranghi nemici, ma il loro tiro era poco efficace contro quelli che si erano schierati a protezione del varco; l'attacco delle fanterie si svolse sotto scrosci bollenti, e degenerò in una zuffa caotica in cui il posto di guardia fu più volte conquistato e perduto; Barnaba ed il suo antagonista erano a poca distanza l'uno dall'altro, ma separati dalle mura, a sostenere i propri uomini; alla lunga i fanti di Venezia, raggiunti dai balestrieri senza quadrelli, riuscirono ad abbattere tutti quelli nemici, solo per esser spazzati via dalla carica dei cavalieri normanni. Era ormai il tardo meriggio, e raramente s'era visto il confronto fra due schieramenti sì malconci; fuori stava Barnaba, coi suoi superstiti arcieri, padrone della porta era il normanno, cui restava qualcuno sulle mura, oltre ad una trentina di sergenti a cavallo ed una manciata di uomini della guardia. Contro quest'ultimo gruppetto si concentrò il tiro delle saette infocate, che infine abbatté anche il loro signore, per poi tormentare la cavalleria di minor rango. Or non si poteva più tardare l'ingresso, o la giornata sarebbe stata persa, e c'era un sol modo. Barnaba diede il segnale, si lanciò nell'antro a vivace andatura, e scroscio dall'alto fé di lui frittura. I suoi cavalieri, semiaccecati dai vapori e dagli schizzi non se ne accorsero nemmeno; galopparono dritti fino alla piazza, poi si volsero per abbattere uno ad uno i cavalleggeri nemici che accorrevano trafelati, con gli arcieri veneziani nella scia.
Fu così che Pisa divenne terra della Serenissima.
Bertavianus
00venerdì 23 ottobre 2009 16:58
Avuta conferma della presa di Genova e Pisa il buon Martino Martinengo, Rettore di Ancona, improvvisò, con sole forze mercenarie, le opere di assedio contro la fortezza di Chieti; Re Romano vi fu sorpreso senza seguito di truppe, sicché quel concitato anno 1213 poté chiudersi con tre conquiste strategiche in danno dei normanni.
Or dovremo dire partitamente di quanto accadde poi, onde non perdere il filo di eventi quasi simultanei che si svolsero in teatri lontanissimi.
1) della ulteriore espansione nelle provincie italiche.
La morte in battaglia di Re Romano indusse il Santo Padre ad invocare perentoriamente la cessazione dello spargimento di sangue cristiano. Malgrado ciò il nuovo re normanno, accecato dal rancore, insistette in velleitarie spedizioni punitive da cui ricavò solo la scomunica.
Nell'anno 1218 Martino Martinengo, ora alla guida di un esercito dotato di artiglierie e cavalieri feudali appiedati reclutati a Chieti, aggirò via mare le forze nemiche e catturò a sorpresa Bari.
Nella primavera del 1220 i Siciliani tentarono la riconquista di Bari e di Chieti, fallendo miseramente entrambe gli obiettivi. I difensori della fortezza ressero l'urto limitandosi a difendere i bastioni. Le mura di Bari non furono neppure sfiorate, perchè il Martinengo intercettò le forze nemiche in avvicinamento e le sbaragliò nella prima battaglia del tavoliere. Subito dopo questa vittoria si imbarcò nel golfo di Taranto, chiamando a sé anche le artiglierie lasciate in città.
Corse il rischio di lasciare Bari esposta all'attacco di un ulteriore esercito normanno partitosi da Napoli per sorprendere la fortezza di Rossano, al momento poco difesa. Non gli fu necessario accorrere in difesa della città perché i siciliani, avendo appena ottenuto la revoca della scomunica, tornarono sui propri passi per non incorrere nuovamente nelle papali ire.
Ovviamente quelli si ripresentarono puntualmente appena scaduto il veto, raccogliendo altra cocente batosta nella seconda battaglia del tavoliere; fu fatale, per loro, la modesta qualità delle fanterie che or potevano mettere in campo, ed il tiro preciso dei balestrieri pavesi di Venezia.
Nell'anno del Signore 1226 Martino Martinengo traversò rapidamente la Sila, travolgendo le modeste difese di Reggio; ivi rese onore alle spoglie del valoroso nemico Iacopo d'Altavilla, straziato dai lancieri saraceni della serenissima nel corso di una carica disperata. Da Reggio iniziò subito a pianificare l'attacco alla possente cittadella di Siracusa, da attuarsi secondo la consueta tattica dello sbarco a sorpresa. L'intenso traffico navale nello stretto di Messina impose numerosi rinvii dell'operazione, che poté essere effettuata solo nella tarda primavera del 1229; l'unica vera difficoltà fu il preservare le munizioni e l'integrità dei pezzi sino all'abbattimento dell'ultima grata.
L'anno seguente il nemico tentò di riprendersela, ma perse oltre settecento uomini senza neppur riuscire a superare la seconda cerchia di mura; Venezia pianse quattordici caduti fra i suoi balestrieri.
Dopo gli armati giunse un emissario, che si rassegnò a rivelare informazioni geografiche pur di ottenere una tregua, anche perché il suo re era stato nuovamente colpito da scomunica Le notizie ottenute da quel tale confermarono quanto già si sospettava: i normanni tenevano ancora saldamente Napoli e Palermo, erano deboli in Sardegna e Corsica, e null'altro gli restava.
Nel 1232 scoppiò la rivolta filosiciliana di Reggio, volutamente provocata dal locale Giustiziere onde lavar via col sangue l'attitudine riottosa dei residenti. La città venne riconquistata entro poche settimane ma, sfortunatamente, andò distrutto il suo bel cantiere navale.
Nella primavera del 1234 Alessandro il Cavalleresco, Potestà di Pisa, iniziò i preparativi per l'attacco ad Ajaccio, imbarcando truppe a Genova. Il suo primo tentativo abortì sul nascere perché, avvedutosi che il Principe Tancredi lo attendeva sulla spiaggia con esercito più nutrito del suo, dovette tornare indietro per infoltire i ranghi. Fece ritorno pochi mesi dopo con Giorgio Molin, Potestà di Asti, oltre a balestrieri e cavalleggeri che pria gli facevan difetto: una forza bastante ad annientare il nemico in campo aperto, e a prender possesso della fortezza senza altri combattimenti.
2)delle vicende negli antichi territori bizantini
Sino al 1215 nulla di interessante accadde a Chandax, salvo l'elezione a Doge di Taddeo e l'erezione delle mura in pietra. In quell'anno, però, la città venne posta sotto assedio dai suoi vecchi padroni, mentre altre forze continuavano ad affluire. Il primo assalto venne scatenato circa un anno dopo, e fu autentico incubo notturno. Il doge schierò la maggior parte delle sue truppe a difesa del posto di guardia maggiormente minacciato, con alcuni cavalieri crociati appiedati sulle mura ad esso adiacenti ed una riserva di arcieri e miliziani a centro città; la riserva entrò in azione solo quando si ebbe ragionevole certezza che l'avversario non aveva trovato altro ingresso che il portone sfondato.
Nel tentativo di forzare quel varco i bizantini persero un migliaio di uomini e due generali, fra cui il Principe Manuele; uno dei loro eserciti non prese parte alla pugna perché smarrì la strada nelle tenebre impenetrabili. Ma restavano loro sufficienti forze per organizzare subito un secondo assedio, senza dar tempo a Taddeo di colmare le perdite. Il nuovo attacco lo scatenarono di giorno, e non gli andò meglio; ne morirono a centinaia, chi trafitto e chi ustionato.
Seguirono circa quindici anni di pace, durante i quali gran parte della nobiltà veneziana iniziò a covare un sordo rancore nei confronti del proprio lontano Doge; è questa, probabilmente, la ragione per cui non venne organizzata una spedizione di soccorso quando ripresero gli sbarchi. Taddeo profittò di uno scontro fra normanni e bizantini per rompere un primo assedio con una eroica sortita in cui, malauguratamente, perse la vita. Gli uomini della guarnigione ressero un anno ancora, ma nessuno di loro sopravvisse quando i bizantini irruppero con forze soverchianti.
Nel 1235 la Serenissima ancora controllava Monamvassia, Smirne e Costantinopoli: Purtroppo la metropoli, priva di autorevole guida, stava divenendo sempre più ingovernabile; il capitano della guarnigione, non disponendo di migliori argomenti, si risolse ad esasperare ulteriormente la popolazione, sperando di poterla ricondurre a ragione con l'eloquenza delle armi.
3) dell'Oriente e dell'Islam
Il presidio di Adana rimase indisturbato sino al 1219, quando dovette battersi con un esercito siriano intenzionato a riprendersi la fortezza; il nemico venne umiliato dai difensori, che riuscirono persino ad arricchirsi col riscatto dei prigionieri.
L'anno successivo venne indetta una crociata contro Tripoli; per tale impresa fu allestito un nuovo contingente di artiglieria e investito un cavaliere atto a condurre le truppe in battaglia.
Oliviero di Iasi lasciò la fortezza con la sua armata crociata nella primavera del 1221, ben intenzionato a procedere direttamente verso la meta. Il disegno originario si rivelò quasi subito inattuabile, troppe essendo le forze crociate e siriane che precludevano l'accesso a Tripoli da nord.
Facendo di necessità virtù, decise di tentare l'attacco da meridione, compiendo una digressione che gli fruttò, in rapida successione, la cattura di Homs e di Damasco.
Altro non fu possibile fare perché la crociata fu vinta dagli imperiali e, a quel tempo, la guerra coi normanni assorbiva ogni risorsa della repubblica. Damasco cristiana si segnalò per le vocazioni ecclesiastiche ed il talento delle spie e sicari locali, che ebbero il loro bel daffare per contrastare l'opera delle loro controparti islamiche. La fortezza di Homs e le vicine città di Halab ed Antiochia passarono più volte di mano, perché gli uni si premuravano di sottrarle agli altri e metterle a sacco, ma nessuno tentò mai di presidiarle in forze.
Questo andazzo proseguì sino al mese di novembre 1227, quando un poderoso esercito fatimide venne avvistato a meridione di Damasco; vista la mala parata, il Muhafaz Giuliano Moro ne ordinò l'evacuazione per catturare nuovamente Homs, ove si barricò con forze sostanzialmente integre.
A quel tempo i siriani erano nuovamente padroni di Antiochia e, contrariamente al solito, vi si erano installati in gran numero. Papa Alessandro, primo pontefice veneziano, scelse proprio quel frangente così poco propizio per invocarne la liberazione.
Al momento dell'appello l'impresa appariva disperata ma, per grazia di Dio, pochi mesi dopo gran parte dei guerrieri islamici lasciarono la città per baruffare gli imperiali di Tripoli.
Il Moro colse al volo l'occasione, vestì la croce e si precipitò all'assalto con ogni uomo disponibile; fece mettere fuori uso le caditoie, e poi lanciò i suoi attraverso una porta miracolosamente non serrata; il combattimento fu brevissimo, perché l'intera guarnigione maomettana andò in rotta al primo urto. Questo trionfo istantaneo, nella calura primaverile del 1230, mise in ombra la contemporanea morte di Taddeo a Cipro.
Oliviero e Giuliano stimarono necessario concentrarsi a difesa di Antiochia ed Adana, onde meglio resistere alla montante marea islamica; Homs venne spogliata di tutto e lasciata ai corvi.
Nell'estate del 1235 il clero locale ebbe l'onore di dare alla cristianità il secondo pontefice veneziano consecutivo; papa Silvestro, già parroco di Antiochia.
the eorl
00lunedì 26 ottobre 2009 21:17
Re:
bella e avvincente narrazione magari però aggiungi anche qualche immagine della mappa per far seguire meglio gli avvenimenti
[SM=g27811] [SM=g27811]
Bertavianus
00lunedì 26 ottobre 2009 23:08
@ the earl
Purtroppo gli inserti grafici non sono mai stati il mio forte, cercherò di supplire con un riepilogo in coda
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L'inverno del 1235 fu caratterizzato dalla patetica rivolta di Costantinopli; la popolazione greca cacciò l'unica compagnia di arcieri rimasta in città ma, non essendo riuscita ad armare un sol uomo a difesa, nulla poté fare per contrastare il rientro in città dell'intero esercito. Ai dissidenti, in fondo, andò anche bene, perché Venezia aveva necessità immediata di fondi e ordinò alle truppe di darsi al saccheggio ma non al massacro.
La stagione sul Bosforo stava, comunque, volgendo al termine. La Serenissima aveva troppi problemi per concedersi ancora il lusso di stipendiarvi una armata per soli compiti di presidio; di lì a poco avrebbe provocato nuovamente i facinorosi ma, non essendosi ripresentata l'occasione per saccheggiare una metropoli inerme, le sue truppe andarono a cercare facile bottino ad Adrianopoli.
Questa città fu tenuta sino al 1241, quando i suoi vecchi padroni la cinsero d'assedio; a quel punto venne spogliata di ogni ricchezza, preparandosi ad eroica ma vana resistenza.
Fra questi due episodi si collocò la caduta di Smirne, investita da un poderoso esercito siriano; anche in quel caso si badò esclusivamente a che le sue ricchezze non passassero al nemico.
La politica rinunciataria nelle terre bizantine fu naturale frutto dello straordinario impegno militare profuso nel conflitto coi Siciliani.
Nell'estate del 1237 questi misero contemporaneamente sotto assedio Ajaccio e Siracusa, con forze bastanti a mettere in seria difficoltà le guarnigioni allora disponibili sulle isole.
Siracusa resse l'urto da sola, ma dovette sostenere perdite rilevanti. I siciliani rifiutarono di lasciarsi attrarre al cancello laterale della seconda cerchia di mura, dominato dal tiro di arcieri e balestrieri appostati su un camminamento accessibile solo dal mastio, e puntarono risolutamente su quello centrale. Si scatenarono furibondi combattimenti di fanteria per il possesso di quell'altro posto di guardia, e la pressione del nemico crollò sol quando due membri della famiglia d'Altavilla, penetrati all'interno, vennero travolti dalla carica dei cavalieri feudali e del signore della piazza.
Quanto ad Ajaccio, che non disponeva di abbastanza armati per resistere, se la cavò per un colpo di fortuna:; i normanni iniziarono l'assedio proprio mentre da Genova salpava la forza destinata ad assalire Alghero, che venne immediatamente dirottata per una missione di soccorso. Gli attaccanti furono attaccati, battuti, e costretti a cercar la salvezza sulle navi; una volta reimbarcati furono perfettamente al sicuro, perché i loro legni soverchiavano la piccola flotta veneziana del tirreno.
Risolta questa crisi, nel giro di un anno e mezzo Venezia fu padrona della Sardegna; ad Alessandro il Cavalleresco andò il merito della cattura di Alghero e ad Alessandro Nichetti, nuovo Giudice di Arborea, quello della presa di Cagliari.
Il nemico replicò immediatamente, assediando sia Bari che Ajaccio. In Puglia non ottenne nulla, se non di essere sconfitto, da truppe meno numerose ma più solide, in nuova battaglia del tavoliere.
La situazione di Ajaccio divenne, invece, assai preoccupante, perché qui i normanni soverchiavano per numero e qualità i difensori, disponendo di numerosi armigeri feudali oltre a catapulte, trabucchi, tiratori e di un contingente di cavalleria franca. Forse li si sarebbe potuti contenere se avessero lanciato un attacco immediato, ma quelli si contentavano di mantenere l'assedio lasciando che la fame combattesse per loro.
Dopo due anni di questa agonia, nell'inverno del 1241 Gregorio Molin raggiunse la fortezza dalla Sardegna con un contingente di rinforzo comprendente duecento sergenti lancieri, una compagnia di arcieri ed una di sergenti a cavallo. La speranza era che, come altre volte accaduto, il nemico allentasse l'assedio per attaccare lui, che si sarebbe ritirato in gran fretta, ma i normanni non si curarono né poco né tanto della sua presenza. Visto ciò Gerardo da Rovigo, signore della fortezza, gli segnalò che avrebbe tentato una sortita, cedendogli la propria scarsa cavalleria in cambio dei suoi combattenti appiedati. L'azione si sviluppò con la lentezza occorrente a far entrare gli uomini a piedi e a raggruppare fuori le mura quelli a cavallo, utilizzando un cancello lontano dal nemico.
Quando tutti furono in posizione, il contingente a cavallo affidato al Molin iniziò ad avvicinarsi alla cavalleria franca che teneva il fianco destro dello schieramento normanno, mentre i tiratori di Gerardo, spalleggiati da una linea di combattenti da mischia, iniziarono lo scambio di tiri con gli avversari. Mentre iniziavano a piovere le gran palle infuocate delle artiglierie, la carica della cavalleria veneziana portò a sterminio quella normanna; poi la carica degli armigeri siculi disperse i tiratori e sopraffece le fanterie della Serenissima; lo scontro degenerò in una mischia caotica che lasciò a terra circa cinquecento uomini per parte. La giornata terminò senza vincitori né vinti, ma Venezia aveva comunque raggiunto un risultato incoraggiante; i temibili armigeri del nemico non avevano più cavalieri, tiratori o artiglieri in grado di sostenerli. Pochi mesi dopo, una seconda sortita li spazzò via, benché ancora godessero di buon vantaggio numerico..
I fatti di Corsica si sovrapposero a quelli di Sicilia. Qui vi fu un nuovo tentativo di attacco a Siracusa, respinto senza grandi difficoltà. Poi Vitale Martinengo raggiunse in due tappe Palermo, rimasta poco guarnita sia per via delle sconfitte patite nell'isola, sia per aver disperso truppe per andare a cercar successi in nordafrica. Nel 1241 cadeva la capitale normanna, il cui sacco consentì di erigere a Venezia la sede del consiglio che il volgo reclamava da tempo. Giuliano Martinengo, protagonista assoluto della prima calata a meridione, fu vinto dall'età prima di vedere il suo figlio terzogenito installarsi a Palermo da Emiro cittadino e Conte isolano; in ogni caso, aveva avuto la soddisfazione di veder gli altri due nominati signori di Reggio e di Siracusa.
Nell'estate 1242 divenne doge Alberto, Duca di Puglia, un veterano delle battaglie del tavoliere che subentrava ad uno scialbo personaggio mai mossosi da Pola; la carica di consigliere fu assegnata a suo figlio Luigi, un giovane che stava terminando il proprio addestramento a Rossano..
Da combattente qual era, il doge iniziò subito a formulare piani per la conquista di Napoli.
Ventura volle che il suo governo ottenesse subito un prestigioso successo, peraltro frutto della lungimiranza altrui.
I presidi veneziani di Adana ed Antiochia erano rimasti inoperosi per oltre un decennio, nell'attesa di un attacco islamico che non li raggiunse mai; avevano solo osservato la cattura di Homs, pria ad opera dei fatimidi e poscia degli imperiali, nonché il rafforzamento di Halab da parte dei siriani.
Proprio nei giorni in cui Alberto veniva eletto doge, i siriani mossero in forze per assediare Homs.
L'alleanza cogli imperiali era da tempo decaduta per via della fedeltà alle ragioni dei francesi, che con questi erano in guerra, sicché del loro destino poco importava; ma per condurre quell'attacco gli islamici avean sguarnito Halab, e questa era occasione che non si dovea trascurare.
Subito Giuliano Moro fu sotto le mura della città con buon numero di armati, ed artiglierie bastanti ad infrangerne i portoni: trovò ad attenderlo Hajai – sul nome di questo condottiero in seguito potè fare facile ironia – che ben poco poco poteva opporgli; i fanti schierati sulle mura restarono isolati e circondati subito dopo l'ingresso dei cristiani in città, sugli arcieri a cavallo ed i cavalieri della guardia incalzò una siepe di lance ed una pioggia di saette che li sterminò senza fretta.
Halab era nuovamente cristiana, ed era anche in condizione per restar tale.

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A.D. 1242
Venezia domina la penisola italiana (escluse Roma e Napoli) con Pola, Sicila, Sardegna e Corsica; Monamvessia in Grecia; Adana, Antiochia ed Halab in medio oriente. L'unico insediamento iniziale perduto è Zara, su cui non aveva mai investito nulla e che si è ribellata nei primi anni del secolo
Bertavianus
00mercoledì 28 ottobre 2009 19:54
La perdita di Halab sconvolse i piani dei Siriani, che allentarono la morsa su Homs con l'apparente proposito di riconquistarla; il loro esercito, però, non osò tentarne l'assedio e, dopo aver girovagato per qualche tempo nella regione, avrebbe finito per ripiegare verso oriente.
Nell'inverno del 1243 la principessa Fiorenza convinse l'inglese Sibel Fowler a sposare suo fratello Luigi, che in tal modo divenne legittimo pretendente ad una seconda corona. Quella dogale, purtroppo, era non poco sbilenca; il volgo esigeva una monarchia costituzionale, e il Doge stesso sarebbe stato esiliato di lì a qualche mese; questo proditorio bando lui lo avrebbe apertamente sfidato, stimando preferibile restar formalmente prigioniero a Bari al vagar esule nelle campagne.
Le ragioni della congiura dei consiglieri vanno ricercate nella profonda insoddisfazione suscitata dalla sua politica verso Bisanzio; egli avea sdegnosamente respinto il suggerimento di porre sotto blocco navale il vecchio nemico, e financo ordinato la totale smobilitazione di Monamvassia.
Queste decisioni così impopolari erano, peraltro, ben motivate: si era prossimi al confronto finale col regno di Sicilia, e saria stato follia disperdere energie per bisogne marginali.
La preparazione dell'attacco a Napoli era andata per le lunghe perché, con la flotta normanna padrona del Tirreno, le artiglierie impiegate a Palermo dovettero rientrare per via di terra.
Alla fine di ottobre 1245 tutto fu pronto, e Luigi varcò i confini napoletani alla testa di un esercito forte di ventisei compagnie, fra le quali tre di cavalieri feudali appiedati e due di montati, per un totale di oltre duemilacento armati. Ancor non si sapeva che Re Boemondo ne aveva poco meno della metà, e per di più malamente equipaggiati. Un assalto rapido e quasi incruento cancellò la dinastia normanna dalla storia, e procurò il primo blasone effettivo all'erede di due regni.
I festeggiamenti si protrassero per un mese, e terminarono con la cerimonia della posa della prima pietra nel cantiere del parlamento veneziano.
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Con la perdita di Monamvassia e la presa di Napoli l'estensione dei domini veneziani resta invariata (25 territori); il gettito economico è in crescita, le spese militari in calo.
Venezia è un faro della cristianità, ma Impero e Magiari sono i veri beniamini del Papa
Alleati: Inglesi, Francesi, Russi, Magiari, Crociati, Pontefice, Turchi.
Nemici: Bizantini e Siriani

the eorl
00giovedì 29 ottobre 2009 13:49
Re:
grazie per i riepiloghi di fine narrazione [SM=g27811] e trovo molto interessante la tattiva che stai usando [SM=x535693]
Bertavianus
00sabato 31 ottobre 2009 00:40
@ the earl
Grazie a te per l'incoraggiamento, e per avermi dato una buona idea.
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Dopo l'unificazione dell'Italia – con l'ovvia eccezione di Roma – restavano da fare gli italiani, il che avrebbe comportato una laboriosa opera di lotta all'eresia, evangelizzazione della Sicilia, e migliorie cittadine atte ad eliminare le sacche di malcontento radicatesi qua e là.
Tutto ciò non sarebbe stato sufficiente se il Doge, avvedendosi della diffusa ostilità nobiliare verso la sua persona, non avesse dato un luminoso esempio di abnegazione affrontando da solo in battaglia una masnada di briganti calabresi; le sue esequie solenni, celebrate presso Rossano nella primavera del 1250, furono l'autentico sigillo dell'unità nazionale.
Poco prima di scomparire da eroe, Alberto aveva ottenuto dal Santo Padre la mobilitazione di una crociata contro Urfa; un buon modo per tagliar le paghe ai veterani della presa di Napoli, e avviarli rapidamente dove avrebbero potuto combattere senza alterare gli equilibri della cristianità.
La crociata del quarantanove fu guidata da Angelo Aglietti e Giovanni Cestini, avvalendosi di quelle truppe ora in esubero e di qualche mercenario; i condottieri residenti in medio oriente ebbero il divieto di parteciparvi, perchè alla Serenissima premeva assai più la sicurezza della preziosa testa di ponte che l'impresa in sè.
Come da consolidata tradizione, la pia armata fece un primo scalo a Creta, ora dominata da ribelli siciliani che disponevano di un esercito curiosamente assortito; vi figuravano lancieri sudanesi, berberi e bizantini, cavalleria bizantina e crociata, fanatici religiosi e milizie italiane. Questa babele risultò più pittoresca che efficace, e Chandax venne riconquistata a modico prezzo.
Non era ancora stato ultimato il conteggio delle perdite quando un trafelato messaggero portò ad Angelo Aglietti notizia sconvolgente: il Doge Alberto era morto, il Doge Luigi aveva designato lui come suo Consigliere. Saputo ciò rese un veloce omaggio ai tre sepolcri dogali della città, fece un gesto di scongiuro che qui si tace per decenza, e si reimbarcò il giorno stesso. Il Cestini, che vi rimase come Dux con una modesta guarnigione, si sarebbe premurato di riaprire quanto prima il mercato isolano per ripristinare il commercio dello zucchero.
La partecipazione di Angelo alla crociata terminò con l'inutile marcia dell'estate 1251; Urfa era ormai totalmente circondata da eserciti cristiani, e fu espugnata da quello imperiale. Lui sarebbe presto divenuto Principe di Antiochia e le sue truppe, dopo aver combattuto e vinto sotto il comando dell'anziano Oliviero il Degno presso Halab, andarono ad ingrossare le guarnigioni della zona.
Nel 1255 iniziò presso Antiochia l'oscuro capitolo della lotta per la supremazia nei commerci; fu affar di sicari ancor prima che di mercanti, perché senza l'opera di questi l'opera di quelli non avrebbe avuto speranza. Si poté rinunciare a siffatti metodi sol quando, grazie ai crescenti introiti, fu possibile fortificare in modo permanente le stazioni commerciali della Serenissima.
Le armi più onorevoli restarono totalmente a riposo sino al 1257 quando, a seguito dell'inaspettato tradimento de' turchi, vi fu una modesta scaramuccia nei pressi di Halab. In quello stesso anno era iniziata la Jihad per togliere Damasco ai ribelli, ma non è certo che il voltafaccia dei Selgiuchidi avesse a che fare con quella loro guerra santa.
Nell'estate del 1259 i cardinali veneziani contribuirono all'elezione di Lotario, un pontefice magiaro che per ragioni sue si affrettò a scomunicare gli imperiali; ciò costò loro la ribellione di Tripoli, e iniziarono a trovarsi a mal partito anche ad Homs, ripetutamente assediata da questi o quegli islamici. Venezia non si intromise, limitandosi a riallacciare le relazioni commerciali con i Fatimidi per incamerare un prestito di diecimila fiorini promesso dal Banco.
Nell'anno del Signore 1260 un esercito mongolo si spinse sotto le mura di Aleppo (nome imposto ad Halab per cancellare il suo retaggio islamico): la visione dei nomadi era tutt'altro che rassicurante, ma le baliste che spuntavano da ogni torre li tenne in rispetto.
Visto che quelli non assumevano iniziative, e che le difese cittadine ispiravano fiducia, il Principe di Antiochia impartì un ordine che aveva del temerario: “ignorate quei vagabondi e prendete Homs”.
L'azione richiese solo un modesto prelievo di truppe ed artiglierie da Antiochia ed Aleppo, oltre al reclutamento strada facendo di qualche mercenario; fu capitanata dal Cestini, che aveva lasciato Creta dopo averne organizzato difesa e commerci, e trovò risibile opposizione da parte dei pochi scomunicati che ancora la tenevano. Con scarso sacrificio Venezia ottenne un ulteriore baluardo contro nemici vecchi e nuovi. Qualche tempo dopo i mongoli si dileguarono verso oriente.
L'Impero mal digerì la faccenda di Homs e, nel 1262, un grande esercito feudale prese la strada del Brennero; Venezia corse ai ripari mobilitando o trasferendo truppe in difesa della capitale e delle zone limitrofe.
Sul finire del 1263 i teutonici scelsero di attaccare il castello di Verona e, non contenti delle proprie artiglierie, si attardarono per allestire opere di assedio. Questo indugio fu per loro fatale; ebbero addosso le truppe di Venezia, guidate da Orso Molin, quelle di Milano e Bologna, condotte da Vitaliano il Santo, ed i duecento veronesi a disposizione di Benastuto Polani, che li annientarono nella “battaglia degli arzilli”, così chiamata per la veneranda età dei comandanti veneziani.
Il 1266, anno della tregua coi bizantini, fu anche quello in cui i siriani posero sotto assedio Aleppo; i difensori effettuarono una sortita cruenta ed inconcludente, salvo per il fatto che le forze nemiche furono ridotte a misera cosa; il pericolo era quello del congiungimento con un secondo esercito in avvicinamento, ma Giovanni Costini ne fece completa strage uscendo da Homs.
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A.D. 1266
Con la riconquista di Creta ed Homs, Venezia domina 27 territori (compresa Monamvassia, erroneamente data per persa)
Rapporti idilliaci col Soglio di Pietro, su cui siede nuovamente un veneziano, Niccolò
Prestigio molto basso, ma l'effetto è compensato dalla maggioranza in consiglio e dal Parlamento.
Il commercio dei mercanti (presenti solo sulle isole e outremer) frutta circa 8700 fiorini a stagione
Alleati: Inglesi, Francesi, Magiari, Crociati, Pontefice.
Nemici: Impero, Siria e Turchia
the eorl
00sabato 31 ottobre 2009 15:11
Re:
figurati e poi mi sto ispirando alla tua campagna per la mia con i milanesi e devo ammettere che mi è di gande aiuto
Bertavianus
00domenica 1 novembre 2009 01:49
Dopo la vittoriosa “battaglia degli arzilli” si ripropose quel problema di eccedenza di armati già verificatosi dopo l'annientamento dei normanni; il Doge, pertanto, fu ben lieto di accogliere un suggerimento del Principe di Antiochia, e di richiedere al Pontefice una crociata contro Tripoli.
L'accoglimento della proposta consentì di avviare outremer un esercito condotto da Donato Cestini, marchese di Verona; egli non aveva potuto partecipare allo scontro con gli imperiali, e fu ben lieto di vedersi offerta un'occasione di gloria ancora maggiore.
Ma, a differenza dal passato, i veneziani d'oriente – pur non partecipando alla crociata - non si sarebbero limitati ad attendere il suo arrivo.
Nell'inverno 1268, ignorando volutamente l'esercito selgiuchide che minacciava da nord la fortezza, un corpo di spedizione partitosi da Adana raggiunse via mare la cittadella di Acri e la strappò al principe fatimide, con la tattica usata per la cattura di Siracusa.
I turchi credettero fosse la buona occasione per iniziare le opere di assedio ad Adana, ma bastò l'arrivo di modesti rinforzi da Antiochia perché mutassero avviso e si dileguassero verso settentrione.
Le navi del marchese di Verona raggiusero Tripoli nella primavera del 1271, in tempo per assistere alla capitolazione degli islamici innanzi ai crociati portoghesi; più o meno nello stesso periodo una armata castigliana aveva raggiunto Genova con intenzioni sospette, ma sol per esservi annientata.
Dopo breve sosta nei paraggi di Acri, Donato Cestini effettuò uno sbarco a sorpresa presso la cittadella di Dumyat (poi ribattezzata Damietta); l'esito dell'assalto, sferrato nel dicembre 1272, era scontato in partenza, perché le forze a disposizione del Sultano erano a malapena un decimo di quelle veneziane.
La cattura di Damietta consenti di effettuare, nella primavera seguente, una rapida puntata contro Alessandria; l'incursione, finalizzata al saccheggio e non alla conquista, fruttò un bottino di circa 30000 fiorini, che furono impiegati per finanziare – fra altre cose – i cantieri della banca mercantile di Antiochia e della ronda cittadina di Aleppo; non un sol uomo fu lasciato a presidio, sicché gli egiziani poterono agevolmente riprendere possesso delle macerie.
A contraltare di tali successi, vi fu la perdita della Sardegna e della Corsica, invase dai mori con implacabile efficienza. Le guarnigioni veneziane furono soverchiate dal numero degli invasori, e le solide fortezze isolane crollarono come castelli di carte.
Vero è che la Serenissima poco si curò di tale affare, tenendosi fedele al criterio di concentrare le sue energie su quelli che le parevano più urgenti ed interessanti.
Il regno crociato era allo stremo, e si dubitava potesse contrastare ancora a lungo i fatimidi; in altre circostanze lo si sarebbe aiutato, ma or era tempo di prepararsi a rimpiazzarlo.
La sua capitolazione definitiva innanzi alle forze islamiche avvenne nell'estate del 1274.
Poche settimane dopo Andrea Zen, Visconte di Acri, assalì la città con ogni uomo disponibile; la sua armata, tartassata dalle baliste cittadine e da tiri di trabucco, riuscì ad aprirsi faticosamente la strada sino al cuore della città, ma vi giunse talmente decimata da non reggere l'urto con le riserve fresche del nemico. Dovette ordinare la ritirata.
Fu per lui salutare lezione di umiltà, e per gli egiziani l'esatto contrario.
Un anno e mezzo dopo, aggirando un esercito fatimide in marcia verso Acri, Zen si ripresentò sotto le mura di Gerusalemme con armata più poderosa e meglio fornita di artiglierie; vi trovò un'opposizione del tutto trascurabile, ed ebbe l'onore di restituirla alla cristianità.
La sicurezza di Acri fu garantita da truppe che, nel frattempo, la raggiunsero via mare. Pochi mesi dopo, le navi impiegate in questa operazione annientarono una flotta moresca: un intero esercito di invasione scomparve fra i flutti.
Ultima impresa di quel memorabile anno 1276 fu la presa di Kerak, ad opera di contingente guidato da uno dei capitani del visconte di Acri.
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AD 1276
Conquistate Acri, Damietta, Gerusalemme e Kerak; perse di Cagliari, Alghero ed Ajaccio.
in totale 28 territori (saldo +1)
Alleati: Inghilterra, Francia, Magiari, Papa
Nemici: Cumani e tutti gli islamici

Bertavianus
00lunedì 2 novembre 2009 23:28
Nell'estate del 1277 la repubblica di San Marco iniziò a potenziare le difese di Palermo, unico centro realmente vulnerabile ad eventuali ulteriori aggressioni moresche.
Assurse al pontificato Ugo, un cardinale magiaro eletto col concorso del clero veneziano.. Fu costui ad indire una nuova crociata contro Urfa, esaudendo una richiesta del Doge. Questa volta la Serenissima mirava solo ad un intervento altrui atto ad alleggerire la pressione islamica gravante sul suo intero regno crociato, ma il Santo Padre volle anche la sua partecipazione all'impresa.
I turchi avevano appena riportato una schiacciante vittoria navale, restando padroni delle acque palestinesi, e gli egiziani avevano posto sotto assedio Kerak.
L'assalto alla piazzaforte fu lanciato nella primavera del 1278, da un esercito ben provvisto di tutto.
I veneziani si ritirarono all'interno, lasciando una dozzina di balestrieri mercenari a custodia del primo posto di guardia ed affidando ad una compagnia di sergenti a cavallo le azioni di disturbo durante la fase di avvicinamento. Quei sergenti svolsero egregiamente il proprio lavoro; non solo annientarono vari gruppetti di artiglieri, fra cui quello del capitano, ma riuscirono persino a provocare l'abbandono di due arieti. Svariati fanti nemici penetrarono all'interno con le scale ma, visto che nessuno li raggiunse con le attrezzature necessarie a proseguire l'assalto, finirono per divenire bersagli inermi. Caddero 33 cristiani e 495 islamici.
L'anno seguente la croce fu presa da Taddeo Drogo; costui aveva ricevuto l'onore della signoria su Gerusalemme, ma a governare in concreto la città santa era l'esperto marchese di Verona.
Il piano di marcia iniziale del Drogo prevedeva di avvicinarsi ad Urfa investendo Damasco, ma quella via risultava quasi impraticabile e vi erano altre emergenze da risolvere: un esercito fatimide assediava Damietta con gran parco di artiglieria, un secondo si stava avvicinando a Gerusalemme, un terzo assediava Kerak, ed una formazione minore assediava il fortino nei suoi paraggi.
Per prima cosa salvò Damietta, anche se sarebbe più corretto dire che la guarnigione di Damietta salvò lui da una cocente sconfitta quando i suoi fanti ed artiglieri eran già stati spazzati via dal campo di battaglia. In quello scontro subì perdite del 60% contro un nemico in inferiorità numerica, distinguendosi forse come comandante di cavalleria ma non certo come stratega; ebbe però la fortuna di vedersi pagare 3500 fiorini per il riscatto dei prigionieri, e ciò gli valse l'adozione.
Con quell'armata malconcia tornò in palestina ove, ricostituiti i ranghi con mercenari e rinforzi inviatigli dalla città, affrontò il secondo esercito nemico; questa volta, favorito da buona posizione in altura, trionfò attendendo a piè fermo l'avversario esasperato dal tiro dei suoi; incassò un altro buon riscatto, con perdite limitate ad un centinaio di uomini.
Il terzo scontro, quello per salvare Kerak ed il suo fortino, fu il più duro di tutti perché, avendo mal valutato la situazione, lo dovette affrontare in inferiorità numerica, senza il contributo degli assediati su cui aveva fatto conto. Riuscì a spuntarla solo quando già si allungavano le ombre della sera, e solo perché i fanti nemici ne ebbero abbastanza di dardi e cariche di cavalleria.
La crociata di Drogo iniziò e finì con queste tre vittorie strappate in una sola stagione, poiché poco dopo si seppe che Urfa era stata espugnata dai francesi.
Il 1279 iniziò con gli inconcludenti assedi siriani ad Homs e ad Aleppo, e terminò con la miglior campagna del discusso condottiero già crociato. In primavera Drogo si era acquartierato in attesa di eventi presso il ponte sul giordano, con una armata rinforzata da fanterie templari e artiglierie; ad ottobre riuscì a sbaragliare l'esercito egiziano che sbarrava la via di Damaso, poi si avventò sulla città quasi indifesa e se ne impadronì senza difficoltà, compiendo un gran massacro di maomettani.
Nel 1281 si celebrarono a Chieti le nozze fra il consigliere Giorgio ed una principessa inglese; il giovane, figlio di madre inglese, non ebbe imbarazzi linguistici.
In quell'anno fu evacuata quasi totalmente la cittadella di Damietta, in quanto troppo isolata e scarsamente interessante per potenzialità di reclutamento; era una buona base di appoggio per eventuali attacchi nel delta del Nilo, ma i tempi non erano maturi per tali imprese. Vi rimase una piccola guarnigione, che due anni dopo avrebbe strappato un'improbabile vittoria difensiva.
Vittorio Farinelli, Muhafaz di Damietta, si spostò in Palestina con un seguito di armati che qui si sarebbe ingrossato di balestrieri pavesi e fanterie templari; con questa forza, nell'estate del 1282 andò in soccorso di Kerak ottenendo, in un primo tempo, solo di far retrocedere l'esercito nemico, Non sarebbe riuscito ad ingaggiare battaglia coi fatimidi se lo scontro non fosse stato provocato dalla temeraria sortita di due compagnie di balestrieri mercenari; l'iniziativa di costoro rianimò i suoi uomini stremati dalla marcia, che riportarono una vittoria schiacciante. Per il coraggio dimostrato in questa azione il capitano dei balestrieri, Federico da Creta, ricevette gli speroni ed il comando di Kerak. In capo ad un anno, la collaborazione fra Farinelli e Da Creta avrebbe stroncato sul nascere anche un ulteriore tentativo di assedio.
In tutto questo periodo le regioni settentrionali del regno crociato di San Marco non conobbero pace. Fra i vari scontri ne ricorderò solo due: la sortita dell'anziano Cestini da Homs, che annientò le ultime forze siriane presenti nella regione, ma poi fu vinto dall'età; una scaramuccia presso Antiochia, che valse gli speroni al capitano Pietro da Concordia, futuro governatore di Aleppo.
Nell'estate del 1284 l'esercito del Farinelli prese posizione a mezza via fra Homs, Damasco e Tripoli in attesa di capire cosa avrebbe fatto l'esercito fatimide avvistato presso Damasco; quando questo piegò risolutamente verso oriente, scattò un'operazione da lungo meditata.
Tre spie si insinuarono nella città in mano ai portoghesi, provvedendo a neutralizzare le difese dei posti guardia; Farinelli vi si avventò contro, con le truppe che già aveva con sé ed altri uomini a piedi ed a cavallo inviatigli da Homs e Damasco. Il re straniero cadde nel disperato tentativo di ritardare l'avanzata sino all'ingresso dei rinforzi acquartierati fuori città; quelli infine arrivarono, ma solo per farsi massacrare con gli altri commilitoni.
La cattura di Tripoli fruttò un buon bottino, ma questo era solo un beneficio secondario: precipua ragione di questa breve lotta con cristiani fu la necessità di meglio unificare quelle riottose terre, e di aver libero transito sulla comoda via costiera. I portoghesi se l'erano cercata, rifiutando ogni onorevole soluzione diplomatica, e ben difficilmente avrebbero potuto ottener rivalsa.
Si affacciò, a quel punto, un'idea rivoluzionaria: perché non far di Tripoli la capitale?
I tradizionalisti erano fermamente contrari, e trovavano facile sponda fra quei mercanti che ne avrebbero avuto danno; i nobili d'oltremare erano incondizionatamente favorevoli, ravvisando necessità di un miglior controllo su quelle terre circondate da infedeli; alcuni studiosi individuarono nell'isola di Creta il vero centro geografico della repubblica, ma le loro dotte dissertazioni non riscossero grandi consensi.

A.D. 1286
Territori 30 (+2 grazie a Damasco e Tripoli; Damietta e Monamvassia sono lasciate a sé stesse).
Alleati Inglesi, Francesi, Magiari, Castigliani, Papa
Nemici: Portoghesi e Islam
the eorl
00martedì 3 novembre 2009 21:05
Re:
sempre più emmozionanti le tue cronache ma non capisco se vuoi spostare la capitale perchè non metterla a creta che è comunque una buona via di mezzo e ti evita di riscontrare gli stessi problemi di disordini causati dalla distanza dalla capitale in italia.
Bertavianus
00mercoledì 4 novembre 2009 20:11
Il motivo per cui ho escluso Creta è che mi ritroverei con una capitale indifendibile (non a caso è passata più volte di mano), che cadrebbe al primo serio sbarco nemico; tutte le coste anatoliche sono ostili, ed il vicino castello greco di Monamvassia, ridotto ad una sorta di fortino con cappella, non è più in grado di fornire appoggio militare.

A queste considerazioni aggiungo un fattore "psicologico" che, per quanto estraneo alle dinamiche del gioco, mi sembra coerente con la storia di questa campagna: Chandax non piace ai dogi, perchè chi si è fermato è morto poco dopo.
Bertavianus
00giovedì 5 novembre 2009 17:18
Per assecondare le esigenze dei veneziani di Terrasanta, senza indurre alla rivolta i veneziani d'Italia, la capitale venne provvisoriamente trasferita a Bari; un compromesso relativamente funzionale, ma gradito solo al Doge Luigi, che ivi aveva trascorso gli anni spensierati dell'infanzia.
Il 1285 ed il 1286 furono anni concitatissimi.
La guarnigione di Damietta umiliò nuovamente gli sforzi di riconquista degli egiziani, ma prima ancora che si dissipasse la polvere alzata dai nemici in fuga si ritrovò nuovamente sotto assedio; nessuno di quei valorosi sarebbe sopravvissuto al terzo impari scontro.
I fatimidi assediarono pure Kerak con due eserciti e qui, ricorrendo all'astuzia di lanciare l'assalto nottetempo, riuscirono a beffare il distaccamento di cavalleria inviato in soccorso dei difensori. Federico da Creta ed i suoi fecero l'impossibile per tenere la cittadella: riuscirono ad annientare col tiro e con una carica di cavalleria le artiglierie penetrate oltre la prima cerchia; abbandonarono la seconda, con forze ancor quasi integre, quando venne raggiunta dalle prime scale nemiche; tennero a lungo il mastio, contrastando validamente quanti tentarono di dargli la scalata; quando già albeggiava, giunse un ariete tenuto in riserva; questo aprì la via ad una marea di guerrieri a cavallo, fin lì rimasti inoperosi, che travolsero gli esausti cristiani. Federico cadde da prode, duellando col sultano Moussa.
Un attacco non meno terribile fu lanciato dai Turchi contro Adana; questa fortezza poteva contare su un numeroso contingente di lancieri; il tentativo di varcare l'ultimo cancello fu fatale al sultano Muhammad, che vi perse la vita, e ad un nobile del suo seguito, che venne catturato. Fosse accaduto l'inverso, si sarebbe potuto pretendere un riscatto degno di un re; ad ogni modo, i 3000 fiorini incamerati furono ben graditi.
Presso Tripoli fu investito cavaliere Paolo di Damasco, un capitano distintosi nel rastrellamento degli ultimi armati portoghesi.
Pietro da Concordia, che aveva poc'anzi ricevuto pari promozione per meriti analoghi, ebbe il privilegio di diventare consigliere della Repubblica quando il quasi coetaneo Giorgio venne eletto Doge alla morte del padre. Questa sua fulminea carriera colse tutti di sorpresa, ma nessuno ebbe a lamentarsene; Giorgio avrebbe potuto governare anche quarant'anni, il suo consigliere sarebbe stato solo una figura di riferimento per l'oriente veneziano. Uniformandosi alla tradizione instaurata da Angelo Aglietti, Pietro assunse il titolo di Principe di Antiochia.
Suo primo provvedimento fu di sguinzagliare le proprie spie oltre confine: una avrebbe tenuto sotto osservazione Kerak, guatando l'occasione giusta per la sua riconquista, altre andarono ad investigare nelle terre più orientali.
Queste ultime riferirono che i Siriani conservavano due provincie a sudest di Urfa, i Turchi erano stanziati poco più a nord, e che gli Egiziani controllavano Baghdad. Una situazione foriera di sviluppi interessanti, visto che parevano tutti contendersi il dominio su quelle lontane terre.

Territori 28 (-2 a seguito della perdita di Kerak e Damietta)
the eorl
00giovedì 5 novembre 2009 19:22
Re:
giusto compromesso finale per il posizionamento della nuova capitale ora fremo nell'attesa di leggere le tue nuove conquiste in terra santa [SM=g27811]
Bertavianus
00domenica 8 novembre 2009 22:52
Nell'estate del 1287 per fedeltà al Francese si ruppe l'alleanza con i Castigliani, che ne furono ben lieti ed immediatamente sbarcarono in toscana, per assediare Pisa.
Benvenuto, Legato di Romagna, fu rapidissimo a portare soccorso alla guarnigione locale con contingenti bolognesi e fiorentini, integrati da qualche compagnia mercenaria; grazie ad una modesta superiorità numerica, al tiro micidiale dei balestrieri pavesi ed all'ostinazione tutta teutonica della sua cavalleria mercenaria, ebbe ragione della solida fanteria spagnola, mal supportata da giavellottisti a piedi ed a cavallo. Dopo lo scontro si ritirò a Pisa coi malconci superstiti della battaglia, mentre altri rinforzi iniziavano a scendere da Genova per accogliere un secondo corpo di invasione prossimo allo sbarco.
Nell'inverno, come previsto, si ritrovò assediato da un esercito il doppio più numeroso del suo ma, grazie ai trasferimenti già in corso e a qualche mercenario reclutato dal signore di Firenze, ricevette rinforzi sufficienti a ristabilire la parità. Benvenuto comandò una falsa sortita, in modo da prendere il nemico sotto il tiro incrociato degli uomini sugli spalti e di quelli in arrivo; gli unici ad uscire subito dalla città furono i suoi ultimi cavalieri germanici che, spazzando via pochi Jnetes, ottennero sia di eliminare il capitano nemico che di semplificare la vita ai tiratori in campo aperto; lo scontro finale delle fanterie, inizialmente improponibile, portò all'annientamento di varie compagnie di apellidos e cavalieri appiedati.
Mentre si svolgevano tali eventi, i veneziani d'oriente riconquistarono facilmente Kerak, ove dovettero vedersela unicamente con la guardia di Moussa; il Sultano si era privato di ogni protezione lanciando i suoi alla conquista di Damasco.
Damasco riuscì a potenziare per tempo la guarnigione, anche con combattenti affluiti da Homs e da Tripoli, ma era destino che dovesse affrontare da sola l'urto di due eserciti; la difesa di Pisa aveva prosciugato le casse della Serenissima, mancavano i mezzi per allestire una spedizione di soccorso.
I fatimidi scelsero di attaccare nottetempo, Taddeo Drogo scelse di attenderli in piazza lasciando solo due compagnie di arcieri mercenari a difesa degli opposti posti di guardia; una di queste riguadagnò il centro cittadino quando l'esercito schierato su quel lato, avendo fallito l'apertura di una breccia, dovette fare il periplo delle mura per raggiungere il portone sfondato dall'ariete.
Le due ondate che si riversarono sulla piazza trovarono ad attenderli muri di scudi e schiltron, sostenuti da arcieri e balestrieri che tiravano a piè fermo, oltre ad una formazione mobile pronta a tamponare ogni falla. Gli islamici caddero a centinaia, e finirono per rompere i ranghi inseguiti dai sergenti a cavallo; le perdite cristiane furono risibili, in rapporto alla carneficina.
Nell'estate del 1290 i Castigliani, subito dopo aver ottenuto una tregua, fecero sbarcare un esercito che pose le tende presso Pisa; furono anche scomunicati, forse per via di un qualche atto ostile contro il Patrimonio di San Pietro
Per il momento si fece mostra di ignorarli, dando tempo a Gaspare, Giustiziere di Reggio, di giungere a Bologna con truppe scelte delle fortezze meridionali; il suo era un contingente numericamente modesto, in cui però si concentrava la miglior fanteria disponibile al momento.
Venne affrettata, invece, un'operazione militare in tutt'altro teatro.
Spie e sacerdoti avventuratisi in Anatolia avevano acclarato che era possibile colpire il ventre molle dell'impero selgiuchide; Adana, che non correva immediati pericoli, poteva essere sguarnita.
In quell'inverno, alla guida di un piccolo corpo di spedizione, Bianchetti sorprese via mare le sonnacchiose difese di Attaleia; ne ricavò un sacco di ottomila fiorini, ed ancor di più mettendola a ferro e fuoco, poi la evacuò per procedere verso l'interno.
Subito dopo, essendo stata accolta l'istanza per una guerra santa contro la capitale castigliana, non esitò a farsi crociato ben sapendo che non si sarebbe affatto interessato a quella remota impresa. Stava in pieno territorio islamico, ed i suoi guerrieri della fede si sarebbero lanciati con pari ardore verso qualsiasi obiettivo avesse scelto. Nella stagione successiva fu in grado di espugnare consecutivamente la città di Konya (che subì la stessa sorte di Attaleia, ma con maggior profitto; i turchi vi persero anche il parlamento) e le cittadelle di Dorylaion (che spogliò di tutto lasciandovi pochi fanatici ed arcieri a presidio) ed Ankara (dove si attestò soddisfatto).
La galoppata del Bianchini servì a riversare su Bari un fiume di denaro, ma la “vera” crociata restava quella contro gli spagnoli; Giorgio l'aveva richiesta al pontefice a scopo essenzialmente difensivo, per liberarsi con poca spesa di quegli spagnoli empi ed invadenti.
In Italia presero la croce Gaspare il Cavalleresco, il quale mobilitò una potente armata intorno al piccolo nucleo che aveva già con sé, e Vittorio Aglietti, Procuratore Generale di Terraferma, suo secondo in comando. La battaglia che sostennero in toscana non fu troppo diversa da quella combattutavi pochi anni prima; risultò meno cruenta per i crociati, che disponevano di truppe migliori di quelle a suo tempo schierate dal Legato di Romagna, che li supportò con i suoi pisani.
Risolto il problema più urgente, l'armata si diresse verso la meta; la truppa era piena di ardore combattivo, i comandanti però si davano cruccio per il fatto di non aver artiglierie.
Il successivo impegno dell'esercito crociato, che si sarebbe via via ingrossato fino a sdoppiarsi, fu ancora entro i confini italici; sgomberarono il Monferrato dalla presenza di una armata ribelle, che venne annientata in men che non si dica.
Nell'estate del 1292 i crociati furono oltre le Alpi; abbandonarono il proposito di attaccare Ais, dove gli eretici si trovavano in gran numero, e divisero le forze per assediare simultaneamente Perpignà e Tolosa. Nella stagione seguente l'Aglietti si impossessò senza sforzo della città costiera, ove si insediò abbandonando la crociata, mentre il Giustiziere di Reggio fu dissuaso dall'assedio di Tolosa dal sopraggiungere di due eserciti di rinforzo.
Il suo ripiegamento indusse il nemico a farsi avanti, correndo incontro alla propria rovina.
Gaspare affrontò i castigliani a settentrione di Perpignà, col sostegno di parte degli uomini di Aglietti. Teatro della battaglia fu un modesto villaggio, che fu avvolto e percorso dagli armati di entrambe le parti. Gli spagnoli erano leggermente più numerosi, ma l'unica componente realmente pericolosa dei loro eserciti erano gli jnetes; eliminati quelli, gli altri restarono esposti al massacro.
Con la via sgombra, Gaspare si precipitò nuovamente su Tolosa, dove fece preparare scale e arieti.
Pochi mesi dopo, era ormai l'estate del 1293, giunse un terzo esercito spagnolo di rinforzo. Si trattava in prevalenza di truppe cittadine, e furono ignorate; i soliti jnetes vennero annientati mentre tentavano di interferire con l'assalto, qualche cavaliere appiedato perse la vita sulla seconda cerchia, le milizie finirono per provocare la rovina del proprio re, travolto dai crociati che penetrarono in piazza d'armi sulla scia di una moltitudine in rotta. Fu uno dei rari casi in cui una cittadella venne espugnata da un esercito in svantaggio numerico.
Le ottime attrezzature di Tolosa, comprendenti pure una officina d'assedio, avrebbero consentito in breve tempo di riequipaggiare di tutto punto i combattenti veneziani; ma era quasi certo che, morto il sovrano eretico, la crociata sarebbe stata annullata.

A.D. 1293
Regioni 33 (inclusa Dorylaion, che non interessa e cadrà presto; le conquiste effettive sono Kerak, Ankara, Perpignà e Tolosa)
Aleati: Inghilterra, Francia, Magiari e Papa.
Nemici: Castiglia, Egitto, Siria, Turchia (i Mori hanno chiesto tregua)
Notizie dal mondo: sono stati annientati gli Scozzesi ed i Portoghesi
totalwarmagic
00giovedì 12 novembre 2009 19:46
BELLISSIMO [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=x535693] [SM=x535693] [SM=x535719] [SM=x535719]
Bertavianus
00venerdì 13 novembre 2009 11:28
Con stupore di tutti, i fanatici religiosi e gli arcieri rimasti a Dorylaion sventarono il primo tentativo di riconquista della cittadella; vi riuscirono respingendo gli assalitori che tentarono di salire con le scale, facendo strage di akinii col tiro, e incendiando l'unico ariete a disposizione dei nemici.
I turchi commisero anche l'errore di sguarnire Kayseri per vendicare un paio di nobili che si erano fatti sorprendere all'esterno dalla cavalleria cristiana; ottennero una vittoria marginale in campo aperto, perdendo però la loro nuova capitale. La cittadella aveva eccellenti difese, ma non uomini a sufficienza per manovrarle, quando i veterani di Bianchetti eseguirono l'ennesimo fulmineo assalto.
Il fatto più inatteso fu, comunque, la prosecuzione della crociata nonostante la morte del re di Castiglia; in questo il Santo Padre denotò un insolito livore.
Nel corso dell'anno 1296 i veneziani, dopo aver ricostituito una valida forza d'attacco, espugnarono in rapida successione Saragossa, Iruna e Burgos. Nell'assalto alle due cittadelle impiegarono anche la prima bombarda prodotta nelle strutture strappate al nemico; a Burgos trovò inaspettatamente la morte l'anziano Gaspare, sorpreso alle spalle dalla carica del generale nemico mentre era intento ad osservare il lavoro dei suoi artiglieri. Fu così che il compito di portare a termine la crociata passò al Fasanaro, potestà di Pisa, che da poco aveva raggiunto l'armata via mare.

In quei giorni il Doge diffuse un ordine che lasciò interdetti molti dei suoi capitani e generali; “si lascino al nemico o ai ribelli città e castelli di recente o futura conquista in terra iberica ed anatolica, ad eccezione di Cesarea (nuovo nome imposto a Kayseri).
Si stava avverando lo strano fenomeno previsto dall'insigne studioso scozzese Paron de Ca' (noto con questo soprannome solo a Venezia), cui nessuno aveva dato retta per tempo; l'accrescimento dei domini veneziani era stato troppo rapido, lo sforzo di amministrare trentotto provincie stava portando al collasso le casse della Serenissima.

Leòn disponeva di buone truppe ed eccellenti difese, che avevano umiliato le truppe di mezza cristianità; tre eserciti degli alleati magiari le gironzolavano attorno indecisi, non sapendo se onorare la tregua concessa dal loro sovrano, ovvero tener fede all'impegno crociato.
L'attacco sferrato dal potestà di Pisa, dopo essersi aperto la strada menante al fiume, ruppe questa situazione di stallo, costringendo gli spagnoli a difendersi su quattro lati; le artiglierie veneziane non riuscirono a far breccia nelle maestose mura cittadine, ma quelle magiare provocarono due crolli contigui; i magiari entrarono per primi e combatterono con impeto, sino a quando la morte di due generali ed un capitano non li fece vacillare; furono i veneziani, che sino allora poco avevano patito salvo sporadici tiri di balista, ad espugnare la città sfruttando le medesime brecce.
La furia dei lagunari si arrestò solo al cospetto del magnifico Duomo, unico edificio che non fu messo a ferro e fuoco prima di abbandonare quest'ultima, indesiderata, conquista.
Nell'inverno di quel glorioso 1298 ebbero termine due storiche alleanze; quella coi francesi, perché erano entrati in guerra coi magiari, e quella con gli inglesi, perché occuparono la deserta Burgos. Malgrado la perdita di Burgos fosse prevista, e persin gradita, quello degli inglesi restava odioso tradimento, e portò a formale dichiarazione di guerra.. In ogni caso, i veterani della crociata si limitarono ad affrettarsi ai passi dei Pirenei, indifferenti anche alla rivolta di Saragossa.
L'anno seguente iniziò ad addensarsi una nuova nube fatimide a meridione di Gerusalemme, ed il Bianchetti si portò in zona con una armata cavallo. Nel corso dell'anno 1300 lui e i suoi uomini avrebbero sostenuto tre battaglie, in ruolo di supporto all'esercito di stanza nella città santa. Le due forze riunite conseguirono tre splendide vittorie, di cui la seconda funestata dalla perdita del marchese di Verona, fulminato da un tiro di trabucco.
Nel corso del 1301 vennero inaugurate le mura maestose di Gerusalemme, le torri con baliste di Kerak e la bottega degli artisti di Napoli. Alle porte di Perpignà venne combattuta una furiosa battaglia campale che dissuase i Mori dal varcare i Pirenei. Uno stuolo di sicari castigliani circondò Tolosa, riuscendo ad assassinare i nobili Fasanaro e Cestini. A nord di Gerusalemme furono spazzati via gli ultimi due eserciti giunti dal delta del Nilo; durante questa battaglia trovarono la morte sia il principe fatimide che il valoroso Luca Bianchetti.
Le ultime vittorie assicurarono un triennio di tranquillità, durante il quale le volontarie rinunce territoriali sortirono gli effetti sperati, riportando in attivo il bilancio della Serenissima; visto il buon risultato, il Dux Luca il Bastardo sobillò anche la ribellione di Creta, per poi iniziare il viaggio che lo avrebbe portato ad assumere il governo della Città Santa.
Durante questo periodo si giunse pure a rappacificazione con gli Inglesi, suggellata dal rinnovo dei trattati di alleanza; in fondo l'incidente di Burgos era poca cosa, al cospetto delle ancor vive aspettative dinastiche.
Il pontefice magiaro finì per scomunicare i francesi, in guerra con la sua gente, e da qui ad indire una crociata contro la città francese di Urfa il passo fu breve; la notizia suscitò vivo disappunto alla corte di Bari, perché sino allora quella piazza aveva ottimamente tenuto in scacco i siriani, e non era affatto certo che altri cristiani l'avrebbero conservata con pari impegno.
Si sarebbe volentieri ignorato l'appello del Santo Padre se, nell'anno del Signore 1305, i Siriani non avessero profittato della divisione fra cristiani per assediare in gran forze Homs. A quel punto il Badoer dovette prendere la croce per prestare soccorso immediato alla fortezza; riuscito in tale intento, si concesse una digressione per liberare un fortino mercantile dall'incomoda presenza di tanti scampati delle armate egiziane che vi avevano trovato rifugio nel corso degli anni.
Quello fu pure l'anno della ribellione di Asti, che comunque sarebbe stata ripresa quasi subito con un assedio tradizionale senza ausilio di artiglieria.
Questa fu solo la vigilia di un anno assolutamente orribile.
I fatimidi nuovamente dilagarono in Palestina, aggirarono Gerusalemme – dove era in corso l'armamento delle torri con cannoni – e assediarono sia Tripoli che Damasco; una nuova armata siriana si abbattè su Homs. Tripoli fu salvata dalla ribellione dell'esercito nemico, evidentemente a disagio in quelle terre cristianissime. Badoer accorse prima in soccorso di Damasco, ove ottenne bella vittoria, e poi nuovamente di Homs, ove vinse pel rotto della cuffia; qui lo scontro fu terribile, e costò la perdita delle bombarde riposte nella fortezza nonché la vita del Farinelli, suo comandante.
Si erano sventate le minacce più immediate, ma il rischio restava elevato; bisognava ancora fare i conti con ingenti forze egiziane, in grado di investire qualsiasi piazza meridionale.
Non bastando tali ambascie, due eserciti moreschi sbarcarono in Sicilia e strinsero d'assedio Palermo, prostrata da una pestilenza; la difesa della vecchia capitale normanna si profilava quale impresa disperata.

A.D. 1306
Regioni 31 (-7 rispetto alla situazione intermedia del 1296)
Alleati: Inglesi, Magiari, Papa
Nemici: Francia, Bisanzio, Castiglia, Islam
the eorl
00venerdì 13 novembre 2009 14:55
Re:
Riesci sempre a trovare brillanti soluzioni anche nelle situazioni disperate COMPLIMENTI [SM=g27811]
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