Cronache di Guerra - Fatti d'arme

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Bertavianus
00lunedì 5 maggio 2008 22:54
Raccolgo a modo mio un'idea del Cavaliere Verde, aprendo un topic dove ciascuno può dare idee sulle tattiche e strategie da adottare, o evitare, in combattimento.

Olaf difende Praga

Olaf era un generale la cui unica virtù universalmente riconosciuta consisteva nell'assoluta fedeltà alla corona danese.
Si aggregò alla modesta armata del proprio principe all'esclusivo scopo di consentirgli di aderire immediatamente ad una crociata per Gerusalemme, arruolando a basso costo sergenti appiedati e cavalieri che ne completassero i ranghi; in un secondo tempo, se se ne fosse presentata l'opportunità, avrebbe potuto assumere l'autonomo comando di ulteriori truppe mercenarie.
Quella crociata fu presto annullata, perchè altri pii armati avevano liberato la Città Santa; sciolto da ogni obbligo, il Principe volse subito le sue armi contro la città di di Praga, che fu strappata ai Polacchi ed in cui Olaf venne insediato come governatore.
Vi rimase con ben pochi armati, perchè la situazione locale appariva assai tranquilla, le finanze erano scarse, ed il grosso dell'esercito era richiesto altrove.
Pochi anni dopo, un esercito polacco è in vista delle mura; Olaf fa appena in tempo ad arruolare due unità aggiuntive, lancieri e balestrieri della milizia, che già si trova assediato da forze più che doppie.
I Polacchi, consapevoli che i rinforzi danesi sono già in cammino, non esitano a lanciare l'assalto pur disponendo solo di un ariete e di una scala.
Il tiro delle torri manda in fumo l'ariete, i contadini polacchi che tentano la scalata sono massacrati, il duello fra balestrieri porta allo sterminio quelli sotto le mura.
Non ci si preoccupa più di tanto guando tutta la fanteria nemica si ammassa sotto la scala, dovrebbe essere un facile masacro di uomini che vengon su alla spicciolata; ma quelli che salgono sono veterani ben equipaggiati e, pur pagando un prezzo altissimo, mandano in rotta gli inesperti difensori e si impossessano del posto di guardia.
Seguono momenti di caos indescrivibile in cui Olaf, ora caricando gli assalitori che sciamano all'interno, ora chiamando a raccolta i lancieri e bslestrieri superstiti, riesce a volgere in fuga anche l'ultimo fante nemico.
E' ancora presso le porte, e gli restano solo otto uomini della sua guardia personale, quando i popolani atterriti gli comunicano che il generale polacco, evitando la mischia, si è impossessato della piazza con oltre una trentina di cavalieri.
Lo sparuto drappello di Olaf si incammina mesto verso il centro della città per l'impari confronto finale, dicendosi che tutto sarà perduto fuorchè l'onore.
E' ancora a metà del corso principale quando il nemico, reso furioso dalla vista del suo orgoglioso orifiamma, parte alla carica per accelerare il massacro; iniziativa che gli fa perdere il controllo della piazza.
Vedendo ciò, Olaf si ritira in tutta fretta sperando di tirarseli tutti dietro; quelli, però, dopo un poco rinunciano all'inseguimento e riguadagnano la posizione.
Queste manovre si ripetono quattro o cinque volte, con i difensori che ritardano sempre più il momento della ritirata; il risultato finale non cambia, ma intanto la giornata sta volgendo al termine, si sono prese le misure e c'è una tenue speranza di beffare il nemico.
Olaf sceglie con cura il momento; avanza più delle volte precedenti ma, quando i polacchi accennano a muovergli contro, anzichè arretrare gli galoppa incontro; sembra che li voglia caricare, ma invece si infila di gran carriera in una viuzza laterale parallela alla piazza.
Due uomini della sua retroguardia non sono abbastanza lesti, e vengono abbattuti, e questa facile vittoria aumenta la sete di sangue del nemico; prosegue l'inseguimento, e si fa sorprendere dalle tenebre in quell'angusto budello. A quel punto, non potendo acquartierarsi per la notte in una città non ancora soggiogata, l'armata polacca è costretta a ritirarsi.
Così un pugno di irriducibili ebbe alfine ragione di forze cinque volte superiori.
Il Cavaliere Verde
00lunedì 5 maggio 2008 23:12
Grazie Bertavianus,la tua collaborazione è sempre preziosa! [SM=g27811]
In realtà la mia idea era molto più semplice,volevo aprire una discussione sulle strategie di battaglia e sul modo di utilizzare le unità (soprattutto per chi come me non ha grande esperienza in multy e viene regolarmente massacrato le poche volte che gioca) [SM=g27821] [SM=g27821] Ma in ogni caso il tuo è davvero un bell'esempio di vittoria contro la AI stupida! [SM=x535693]
Se devo dirti la verità anche io,avendone la possibilità,tento di difendere obiettivi importanti in modi simili,ma è proprio questo che è il limite più grosso del gioco [SM=x535696] [SM=x535696] !!!!!!!Per esempio ho distrutto l'orda mongola semplicemente stando dietro le mura delle mie fortezze e lasciando che le torri con baliste facessero il tiro al bersaglio contro i nemici:certo massacro migliaia di uomini,ma non ci trovo più gusto dopo 3-4 volte... [SM=g27812] [SM=g27812]

Cmq davvero ottima soluzione! [SM=x535694]
Jean de Avallon
00martedì 6 maggio 2008 17:32
Nobile condottiero complimenti sia per la tattica da me sconusciuta, sia per i dettagli del racconto.
Quello che non riesco a capire e se hai vinto perchè i nemici hanno perso la piazza o se si sono ritirati perchè diciamo "ridicolizzati".
Grazie ciao
Bertavianus
00martedì 6 maggio 2008 20:38
In stretti termini di meccanismi di gioco, l'invasore ha perso perchè non è riuscito a realizzare una delle due condizioni alternative di vittoria:
A) conservare il controllo della piazza per tre minuti consecutivi;
B) massacrare fino all'ultimo uomo i difensori.

Se fosse rimasto sul posto avrebbe vinto di sicuro, perchè non avevo nesuna speranza di sloggiarlo; fortunatamente per me, è rimasto indeciso fra le due opzioni, comportandosi come il somaro di Buridano.

Jean de Avallon
00martedì 6 maggio 2008 22:43
Grazie nnobile,vista la risposta domanda da principiante.
Non pensavo ai tre minuti per mantenere la piazza.
Ciao
Bertavianus
00giovedì 8 maggio 2008 00:30
Ingebor corre il palio

Nella prima decade del XIII secolo il modesto castello danese di Amburgo viene posto sotto assedio da un'armata inglese, mentre un'altra ancora la segue a sola mezza giornata di marcia.
La situazione è critica, perchè ciascuno di questi eserciti - per quanto se ne sa - dispone di catapulte e baliste, vari arcieri e balestrieri, ed una gran massa di cavalieri appiedati.
Il generale Svenson non può permettersi una sortita, perchè quelli si riunirebbero e farebbero polpette dei suoi razziatori ed arcieri sommariamente equipaggiati; ma anche i bastioni offrono una sicurezza assai relativa, posto che quel parco di artiglieria non tarderebbe ad aprire brecce in quantità.
L'unico che possa prestar soccorso è l'inesperto generale Ingebor, che può muovere dai paraggi di Magdeburgo al comando di due squadroni di esploratori a cavallo; riesce a reclutare uno squadrone di cavalieri mercenari, e con queste sole forze raggiunge a briglia sciolta le mura orientali, dove si ferma spossato. Ha la triste consapevolezza di esser votato al macello, quando i due eserciti inglesi si decideranno ad attaccare il castello.
Gli inglesi, però, decidono altrimenti; gli assedianti mantengono semplicemente l'assedio, la seconda armata attacca lui.
Quando duecento uomini se ne vedono venir incontro novecento sarebbe comprensibile la ritirata, ma Ingebor non vuole cedere il campo.
Sperando di cogliere la sua opportunità per infliggere il maggior danno possibile con carica travolgente, scruta ansioso le colline; poi scoppia in una gran risata, e dice "rinfoderate le spade, la giornata è nostra".
Quella moltitudine di nemici non schierava neppure un cavallo, gli bastò farla correre in cerchio fino al tramonto per costringerla ad abbandonare il campo esausta ed umiliata.
Se questa non fu gran battaglia, lo fu quella del giorno dopo; con l'aiuto di una cavalleria intatta, e senza più l'incubo dei rinforzi inglesi, la sortita della guarnigione di Amburgo annientò totalmente l'esercito assediante.
Jean de Avallon
00giovedì 8 maggio 2008 15:42
Geniale, c' è sempre da imparare.
Come ho già scritto da qualche parte, i racconti delle varie campagne danno stimolo per chi le fa, rendono vivo il forum e cosa molto importante aiutano coloro che in difficoltà sanno che tutto è possibile.
Buona strategia a tutti e avanti cavalieri.
Bertavianus
00venerdì 9 maggio 2008 16:34
La campagnna di Innsbruck

Quando il sedicenne principe Ulrik udì gli ordini di suo padre gli venne in mente che, forse, il monarca non era ben certo della propria linea di discendenza.
"Prendi con te la bombarda, centoottanta miliziani spadieri, e quel poco di arcieri contadini ed esploratori che ci restano qui, e conquistami la cittadella di Innsbruck".
Poi Frederick il Malevolo spiegò: "Il buon don Annund di Vardi mi ha fatto sapere che il Duca di Milano vi è rimasto da solo con la sua guardia; riceverai rinforzi da Norimberga e potrai attingere al tesoro per reclutare qualsiasi mercenario disposto a seguirti".
Lasciò, dunque, Vienna nell'estate del 1380, volgendo in fuga senza combattere una modesta colonna di miliziani che gli sbarrava la via.
I rinforzi scesi da Norimberga ebbero cammino men facile; contavano una bombarda, un cannone ad organo, novanta miliziani spadieri, novanta balestrieri, guidati da un capitano dei chierici guerrieri.
Dovettero far tappa al ponte sul Danubio, e qui vennero assaliti da 270 cavalieri appiedati guidati da un capitano delle guardie ducali.
Ressero l'urto schierando in prima linea le artiglierie, con i fanti frammisiti agli artiglieri; il tiro fu così preciso che l'intera schiera attaccante volse in fuga dopo brevissimo cozzar di lame, e fu poi massacrata sino all'ultimo uomo.
Ricongiunte le forze, Ulrik sostenne senza gravi perdite una breve battaglia sui passi alpini; giunse comunque in vista della cittadella con forze ridotte dai due scontri, non avendo trovato fra i diffidenti montanari della zona alcun uomo disposto a seguirlo.
Lo sforzo finale si presentò subito più gravoso del previsto; ora il Duca disponeva di tre formazioni di cavalieri appiedati all'interno della piazzaforte, e di altre due nei pressi delle mura occidentali; contro un totale di cinquecento combattenti di prim'ordine, supportati dalle artiglierie fisse della triplice cinta di mura, il vantaggio del numero era più apparente che reale.
Passare la porta meridionale fu il meno; i difensori si ritirarono in tutta fretta quando l'artiglieria mobile zittì quella del posto di guardia, così tutti i Danesi sciamarono oltre il cancello infranto.
Seconda tappa fu la neutralizzazione dei rinforzi in arrivo, che avrebbero potuto prenderli in mezzo come macine di mulino.
Il compito fu lasciato agli arcieri che, correndo a perdifiato fra i caseggiati del borgo ed i proietti delle torri, si impadronirono del posto di guardia occidentale prima che il nemico potesse varcarne i cancelli.
Il resto dell'armata progredì verso il cuore della rocca, ed il suo tragitto fu un autentico calvario; troppi valenti cavalieri e fanti persero la vita sotto il fuoco implacabile delle torri, senza nemmeno veder l'ombra di un avversario.
I primi combattenti nenici si mostrarono sui bastioni dell'ultimo posto di guardia, che evacuarono sol dopo che le sue torri furono zittite, e li si fece segno di dardi e di stoppacci infuocati.
Quando i Danesi entrarono, la guarnigione Milanese presidiava la piazza d'arme con forze sostanzialmente intatte; situazione che mutò poco o nulla quando i balestrieri iniziarono a bersgliarli dall'alto dei bastioni, prontamente occupati.
L'ora si stava facendo tarda, ed occorreva affrettare la decisione.
L'avanzata di cavalieri e fanti si e no fece vacillare la compatta schiera dei difensori; si gettarono nella mischia anche gli artiglieri, portando al nemico poca morte ma molto scompiglio; si lanciò, infine, Ulrik stesso, e da quel momento i milanesi caddero come mosche.
Se grande fu la gloria del generale e degli altri superstiti del carnaio in piazza d'arme, la prima benedizione di don Annund fu per il pugno di arcieri che aveva interdetto la via ai rinforzi nemici; quelli che avrebbero potuto ribaltare l'esito della battaglia si ritirarono senza nulla aver poruto fare, salvo perdere un sol uomo.
Jean de Avallon
00sabato 10 maggio 2008 12:14
Certo che il Suo acume strategico nelle situzioni cittadine è enorme Signore. Come farà Sua ecellenza a fare tutto ciò, esperienza o audacia ??
Il muoversi in città così audacemente è da vero condottiero, ma come fa sua il gestir gruppi così lontan tra loro ???
Grazie nobile
Bertavianus
00sabato 10 maggio 2008 18:04
Direi che si tratta di esperimenti diventati esperienza.

Ho iniziato con Rome, dove c'era il problema delle torri nemiche che ti tirano addosso, anche verso l'interno, senza che nessuno le presidi; lì ho inaugurato la prassi di mandare qualche arciere, o fante fante leggero, a correre lungo i bastioni per disattivarle tutte. Facendolo appariva un messaggio tipo "struttura conquistata - torre", e la torre in questione non mi tormentava più.

In questo caso ho riflettuto sul senso dell'avviso "struttura conquistata - posto di guardia"; mi sono detto che chi controlla il posto di guardia dovrebbe essere in grado di controllare il cancello sottostante. Ho provato una volta, ed ho visto che funzionava.

In effetti, il controllo delle unità che si distaccano per questi compiti può risultare problematico ma, visto che operano ai margini dell'area di scontro, raramente devono ingaggiare combattimento; il più delle volte basta dargli un'occhiata di tanto in tanto, giusto per assicurarsi che abbiano raggiunto e occupato la posizione voluta.
Il Cavaliere Verde
00sabato 10 maggio 2008 20:58
E' anche un ottimo sistema per bloccare fuori eventuali rinforzi nemici in avvicinamento...
Jean de Avallon
00domenica 11 maggio 2008 11:35
Grazie per avrci fatto parte delle tue esperienze, oltretutto ottime, a buon rendere.
Ciao Nobile
Bertavianus
00martedì 3 giugno 2008 23:27
La mossa di Nicea.

Strappata Nicea ai Bizantini, durante la sua marcia verso Antiochia, l'armata crociata del Principe di Polonia si trovò impossibilitata ad uscirne, perchè subito assediata da una forte armata di quelli.

Va detto che, per il fragile regno di Polonia, il sacco di quella bella città era ben più vitale del successo della crociata; si era anche messo in conto il possibile malcontento degli armati, pensando che eventuali defezioni avrebbero potuto esser facilmente colmate spendendo parte dell'immenso bottino. Non si era previsto, però, di dover subire questo assedio, e di dover assistere senza rimedio ad una vera e propria ondata di diserzioni.

Ai Polacchi non restavano che alcuni gruppi di fanatici religiosi ed una modesta forza di cavalleria, quando di lì a poco i Bizantini decisero di romper gli indugi ed iniziare l'assalto con larga superiorità di forze.

Il Principe valutò che le sue truppe non fossero in grado di reggere alcuna posizione, se non per breve tempo; per questo, scartate le usuali tattiche di difesa dei bastioni o del centro cittadino, si risolse ad un tentativo disperato.

Quella specie di fanteria venne schierata come muro umano dietro al cancello che sarebbe stato inevitabilmente schiantato; il Principe e gli altri armati a cavallo si sfilarono per una curiosa postierla laterale (la prima di questo tipo che vedessero) sita poco oltre l'angolo del settore minacciato.

Quando i bizantini fecero massa per sfondare la miserevole folla di pezzenti che gli sbarrava il passo, ricevettero possente carica di cavalleria da tergo, e l'effetto fu superiore ad ogni apettativa; molti caddero al primo impatto, tantissimi si scoraggiarono e fuggirono il campo, il loro imperatore venne diarcionato e preso.

Pochi minuti di zuffa furibonda avean smentito l'esito infausto da tutti preannunciato.

Jean de Avallon
00mercoledì 4 giugno 2008 17:06
A questo punto penso che la tattica di mettere il nemico tra "incudine e martello" sia efficacie in tante occasioni visto, anche la mia esperienza !!!!!
Bertavianus
00venerdì 19 dicembre 2008 09:44
Athenry e Dublino – difese disperate (1)

A cavallo dell’anno 1300 il regno d’Inghilterra, duramente impegnato a contrastare le incursioni scozzesi, poteva destinare scarse risorse umane e finanziarie alla questione irlandese. Soverchiate dal numero degli avversari, le forze militari impegnate in questo teatro erano ovunque costrette alla difensiva.
La guarnigione del castello di Athenry, strappato al nemico alcuni anni prima, rischiava di essere schiacciata dalla morsa di tre formazioni irlandesi in avvicinamento; una di queste era un forte distaccamento di artiglieria non scortata, che due squadroni di hobilar annientarono al termine di un lungo inseguimento.
Il maniero venne assediato subito dopo, con forze relativamente modeste ma supportate da una grande armata pronta ad intervenire al momento dell’attacco; entrambe queste formazioni erano ben dotate di artiglieria.
Il capitano James disponeva solo di quattro compagnie di arcieri contadini ed altrettante di lancieri assortiti, oltre agli hobilar del proprio contingente; in più, poteva contare sull’appoggio esterno della sessantina di cavalleggeri sopravvissuti all’azione precedente.
Le prospettive erano funeree; il nemico avrebbe potuto, a suo piacimento, prendere i difensori per fame ovvero abbattere vasti settori di mura ed irrompere in massa. I pronostici per una eventuale sortita erano anche peggiori ma, non rassegnandosi a scomparire di scena secondo un copione scritto da altri, James optò proprio per questa estrema soluzione.
Gli arcieri vennero lasciati a difesa dei bastioni, perché non vi sarebbe stato tempo per schermaglie in quanto l’unica speranza era quella di battere il nemico in velocità.
Fanti e cavalleggeri si lanciarono di corsa verso i primi pezzi irlandesi, difesi da alcuni guerrieri montati e appiedati; dovettero pagar pedaggio al fitto tiro, ma riuscirono a raggiungerli e a travolgerli.
La grande armata di supporto, purtroppo, non rimase a lungo inerte; si presentò sul campo proprio quando i suoi loschi compari volgevano in rotta.
I pochi hobilar superstiti riuscirono a riguadagnare la relativa sicurezza delle mura, ma i fantaccini non furono altrettanto fortunati; furono raggiunti e decimati da una gran massa di cavalieri, ed i pochi che scamparono alla carica trovarono i cancelli sbarrati ad evitare che il nemico irrompesse nella loro scia.
Mentre si consumava la tragedia di quei valorosi, persi a pochi passi dalla salvezza, arcieri e torri iniziarono a tirare nel mucchio sulla gran colonna che si era formata alle loro spalle; in questo modo venne lentamente decimato il fior fiore dei guerrieri d’Irlanda, sino ad esaurimento delle munizioni.
L’esito nominale della giornata fu quello di parità ma, sostanzialmente, gli inglesi avevano ottenuto un risultato strategico; l’assedio era stato rotto con l’annientamento della sola formazione assediante, la guarnigione aveva modo di colmare le dolorose perdite subite, la grande armata irlandese si allontanò in cerca di rimpiazzi.
Antonio II Piccolomini
00venerdì 19 dicembre 2008 18:47
ottime tattiche, complimenti! belle anche le descrizioni
Bertavianus
00domenica 21 dicembre 2008 23:43
Grazie per l'apprezzamento. La seconda puntata illustra una situazione che non avevo mai sperimentato sino a pochi giorni fa.

Athenry e Dublino – difese disperate (2)
Sino alla fine del secolo XIII le forze inglesi dislocate a Trim e a Dublino erano state in grado di prestarsi mutua assistenza, ma le moltitudini irlandesi avevano infine sopraffatto la guarnigione del castello con un poderoso assalto su più lati; ora la città era isolata, e il suo destino pareva segnato.
Dublino disponeva di una solida cinta muraria, ma difettava di valide strutture di reclutamento truppe; quanto a questo, era sempre stata dipendente da Trim e Caernaforn.
Quando gli irlandesi la cinsero d’assedio e preparano le piazzole per l’artiglieria, Jack il tirchio si avvide subito che non sarebbe stato possibile difendere le mura; i pezzi del nemico avevano gittata superiore alle baliste delle torri e, salvo un singolo cavaliere feudale, non vi era una cavalleria in grado di neutralizzarli. La fanteria contava poco più di quattrocento uomini, incluse due unità decimate di cavalieri appiedati e di sergenti corazzati; quanto a tiratori, vi erano tre squadre di archi lunghi quasi al completo, ed uno sparuto manipolo di arcieri contadini.
Il generale strutturò il proprio piano difensivo a misura di queste forze.
Ordinò ai longbows di disporsi ad L sul lato più esposto della piazza, e di disselciarla per infiggervi una barriera di pali acuminati; chiuse lo sbocco di un secondo vicolo con uno schiltron rinforzato da alcuni uomini della milizia cittadina; lasciò all’unico uomo montato e ai tiratori contadini il compito di tener attive alcune baliste, sino a che fosse possibile.
Iniziato l’attacco, gli archi lunghi si ritirarono al centro della piazza e si disposero a lanciare a pié fermo saette infuocate; il grosso dei fanti prese il loro posto a difesa della barriera di pali.
L’effetto fu superiore ad ogni aspettativa; la carica della cavalleria nemica si dissolse come neve al sole; la sua fanteria si mostrò più determinata, sforzandosi quanto meno di superare l’ostacolo, ma finì per scoraggiarsi quando alla pioggia di dardi si unirono gli affondi delle lame; le squadre di tiratori conservarono il campo più a lungo ma, essendo equipaggiate con armi di modesta gittata, fecero poco danno. Quando anche queste decisero di averne avuto abbastanza e volsero le spalle al combattimento, la guardia di Jack ne fece macello.
Jean de Avallon
00lunedì 29 dicembre 2008 17:50
Una sola parola: continua.

Ciao
Bertavianus
00lunedì 29 dicembre 2008 18:59
Raccolgo l'invito del nostro nobile amico aggiungendo un nuovo episodio alla rassegna.

La dottrina di Athenry

L’esito dei fatti accaduti nel remoto avamposto occidentale del suo regno venne lungamente meditato da Alan, impressionato dall’efficacia del tiro delle vetuste torri del castello in una azione offensiva. Il vecchio rapporto del capitano James evidenziava anche un' altra informazione preziosa; concentrati nel compito di respingere la sortita, gli artiglieri nemici avevano insistito nell’usare munizioni incendiarie, che avevano prodotto danni del tutto irrilevanti alle difese in muratura.
Sulla scorta di tali riflessioni, il monarca affrettò l’installazione di artiglierie fisse più o meno evolute in ogni centro nevralgico, incoraggiando i suoi baroni a sfruttare appieno la tattica degli “attacchi di torre”.
La prima occasione si presentò a Davy Robinson, signore di Perth, quando una piccola formazione norvegese cinse l’assedio da nord ed un grande esercito si attendò sotto le mura meridionali.
Davy destinò alla sortita solo tre compagnie di arcieri, protette dalla cavalleria dei mercanti, schierando la maggior parte dei suoi in modo da attivare tutte le baliste utili. Gli assedianti si affrettarono a portarsi fuori tiro, salvo poi tornare ad esporsi per contrattaccare gli arcieri; a quel punto vennero trasformati in puntaspilli.
La seconda armata norvegese, forte di numerosi pezzi di artiglieria assortita, reagì come si sperava; non tentò di far breccia nelle mura, ma di raggiungere in tutta fretta i commilitoni in difficoltà. Solo il contingente di cavalleria riuscì, più o meno, nell’intento; ma giunse talmente decimato che fuggì il campo non appena i cavalleggeri inglesi gli mossero incontro. Il grosso dell’armata restò bloccato presso l’angolo delle mura, ove tentò di rispondere al tiro che pioveva dall’alto; riuscì a mettere in fuga una compagnia di ronconieri, ma non a zittire le torri, che seminarono orrida strage e finirono per distruggergli tutti i pezzi.
Neutralizzata la minaccia principale, Davy stesso uscì alla testa dei suoi, volgendo rapidamente in rotta il contingente assediante; poi si avvicinò ai resti della grande armata inchiodata dal tiro delle baliste, ed anche quella se la diede a gambe.
Morris il Degno si trovò assediato a Dublino dal Re d’Irlanda in persona.
Il monarca nemico aveva scelto bene il momento, attendendo che la città restasse sguarnita delle sue truppe migliori (duramente provate dalla riconquista della fortezza di Trim), ed impedendo ai rinforzi inviati da Caernaforn di farvi ingresso; avrebbe addirittura gradito un attacco alle spalle, che gli avrebbe fornito l’occasione perfetta per annientare sia i soccorsi che la guarnigione cittadina.
Morris lo sorprese ordinando una sortita.
Fece uscire solo una linea di ronconieri pesanti della milizia e pochi cavalleggeri, a protezione di una compagnia di arcieri cittadini; il minimo indispensabile per ingaggiare l’armata d’Irlanda attraendola sotto il campo di tiro delle postazioni fisse. I ronconieri sopportarono stoicamente il fuoco nemico in formazione allargata, godendosi lo spettacolo di qualche avversario avvolto dalle fiamme e di gruppi più numerosi scagliati in aria dai colpi di artiglieria. Nel frattempo, presso l’angolo sinistro delle mura, prendevano comodamente posizione i rinforzi giunti da Caernaforn; due compagnie di spadieri, due di archi lunghi e due di cavalieri feudali. Quando il tiro di precisione dei nuovi arrivati iniziò a bersagliare la tartassata ala destra del suo esercito, il re irlandese ordinò alla propria cavalleria di spazzarli via dal campo; questa ci provò ma, decimata dal tiro cittadino durante la galoppata, si diede alla fuga appena la sua controparte inglese accennò sbarrargli il passo. Non essendovi più chi potesse efficacemente contrastarli, i due cunei di cavalieri inglesi non tardarono ad isolare ed assalire la guardia reale, già sfoltita dai colpi alla distanza, riuscendo persino a catturare il sovrano.
Nei giorni precedenti il pagamento del riscatto, il nobile prigioniero mugugnò che i suoi spadieri dell’Ulster ed i suoi moire avrebbero potuto fare a fette chiunque in un leale scontro in campo aperto. Morris alzò un sopracciglio replicando: “insegnategli ad affettare le nostre torri”.
Jean de Avallon
00venerdì 2 gennaio 2009 23:19
Quanta poca esperienza ho delle vere battaglie !!!!

A testa bassa ti saluto o nobile condottiero.

[SM=g27813]
Bokk@Roll
00lunedì 12 gennaio 2009 16:18
Veramente bravo!!!!
Ottime narrazioni...
Mai pensato di scrivere un libro?!!! :) [SM=x535679]
Bertavianus
00lunedì 12 gennaio 2009 22:24
Qualche volta ci ho pensato, ma senza metterci molto impegno; se mai ne verrà fuori qualcosa, sarete i primi a saperlo.

Per ora, è in preparazioe solo la prossima puntata di questa rassegna.
Bertavianus
00sabato 17 gennaio 2009 01:03
Danze Ilrlandesi
Re O’ Connor desiderava rinvigorire lo spirito indipendentista della sua gente con un risultato sensazionale: liberare Derry simultaneamente alla dichiarazione di guerra all’Inghilterra.
Aveva forze sufficienti per riuscire nell’impresa, ma doveva risolvere un altro problema.
Le due compagnie di catapulte, necessarie per infrangere le mura lignee della città, appesantivano molto l’incedere dell’armata; l’intero esercito poteva giungere immediatamente in vista del nemico, ma poi gli sarebbe mancato il tempo per approntare l’assedio e lanciarsi all’assalto.
Non tollerando alcun genere di ritardi, il sovrano inaugurò quella che poi sarebbe stata la sua prassi costante nella rapida campagna di liberazione dell’isola: la marcia scaglionata.
Un singolo contingente di fanteria corse a mettere Derry sotto assedio, senza curarsi di allestire arieti o altro; il grosso ne seguì il percorso, raggiungendolo di lì a poco. Aggregandosi ad un assedio già in atto, le pur lente catapulte riuscirono a mettersi rapidamente in posizione e a svolgere il proprio ruolo di distruzione.
Anche il castello di Trim fu preso a questo modo, ma alla logistica degli spostamenti si aggiunse un’altra sottigliezza.
Il castello era difeso da un’esile guarnigione, oltre ad un esercito inglese poco fuori le mura. Dopo aver infranto i cancelli con le catapulte, e aver travolto i difensori con una possente carica di cavalleria, O’ Connor si guardò bene dall’innalzare il suo orifiamma in segno di vittoria; si apprestò a sbaragliare i rinforzi nemici.
Messa al sicuro l’artiglieria, e schierati gli arcieri sugli spalti, dispose tutti i suoi fanti nei pressi della soglia; le schiere dell’invasore tentarono vanamente di forzare il passaggio, e man mano che si sbandavano andarono incontro a sorte orrenda; i fuggiaschi cercavano scampo proprio in quella piazza d’armi saldamente tenuta dal Re. Al termine della giornata, si contarono oltre settecento inglesi morti, al costo di una quarantina di perdite.
Vi fu appena il tempo per riorganizzare i ranghi prima che Dublino cadesse in mano agli insorti e due eserciti inglesi si affacciassero alla vista; uno, proveniente dall’interno dell’isola, minacciava il castello; l’altro, più numeroso, era sbarcato sulla costa e pareva intenzionato a riprendersi la città.
Un accenno di sortita bastò a far retrocedere i primi verso ovest, e fu chiaro che non sarebbe stato difficile sbaragliarli del tutto; ma non era questo che aveva in mente O’ Connor, lui voleva Dublino, senza perdere Trim.
Fu ancora questione di accurata pianificazione degli spostamenti. Il Re prese con sé tutta la cavalleria e appena quel tanto di giavellottisti deisi e fanti ceitherne necessari ad ingaggiare il nemico che ancora minacciava il castello; gli diede una sonora batosta, contentandosi di vederlo ritirarsi malconcio in un vicino fortino.
A quel punto fece rientrare a Trim gli uomini appiedati coinvolti nella battaglia, mandando ad assediare Dublino quelli che erano rimasti a presidio del castello. In questo caso si trattò di una doppia marcia scaglionata, perché ai primi arrivati dovettero aggregarsi sia le catapulte che gli uomini al seguito del Re. I ranghi vennero completati con alcune compagnie di mercenari, e questa improvvisata forza d’assalto fece sua la città.
Gli inglesi sbarcati sulla costa ritennero prudente reimbarcarsi in tutta fretta.
Più tardi il re avrebbe commentato ridendo: “ho liberato l’Irlanda combattendo coi piedi”


Jean de Avallon
00sabato 17 gennaio 2009 15:25
Si, coi piedi ma sempre collegati alla massa contenuta nella scatola cranica !!!
Bertavianus
00lunedì 23 febbraio 2009 00:04
L’agonia di Gerusalemme

Dopo la cattura di Antiochia, gli eredi dei crociati veneziani erano riusciti a costituire una vasta colonia che, pur con inevitabili scontri con turchi ed egiziani, aveva prosperato per oltre un secolo; ma, nell’ultima decade del secolo tredicesimo, le cose volsero al peggio per questo mirabile avamposto cristiano.
La modesta guarnigione di Nicea era stata costretta a capitolare per fame sotto l’impietoso assedio bizantino, Antiochia e Damasco dovettero essere evacuate in tutta fretta per salvare gente e beni dall’immensa orda mongola, i difensori di Acri abbatterono due generali nomadi, ma nessuno di loro sopravvisse al secondo assalto..
Blasio Selvo aveva preparato al meglio le difese della città santa; le baliste delle torri erano ben provviste di munizioni e i sergenti lanceri di Gaza avevano sostituito le fanterie miliziane, i numerosi balestrieri pavesi e la compagnia di artiglieri addetti alla catapulta erano veterani di molte battaglie, così come il piccolo nucleo di cavalieri crociati appiedati; la casa maggiore degli ospitalieri aveva fornito due compagnie di cavalieri montati; altri centoventi cavalieri di Gaza si disposero a sud della città, quando l’armata di Hulegu pose l’assedio alla sua porta settentrionale.
Il tiro delle torri rallentò a malapena l’assalto nemico, ma Blasio aveva previsto questa eventualità: il grosso dei suoi era schierato in piazza, dove una impenetrabile linea di schiltron bloccava la via sfociante presso la chiesa proteggendo i pavesi, gli artiglieri e gli ospitalieri disposti alle sue spalle. Contro questo dispositivo si infranse la marea di cavalieri nomadi, mentre il tiro della catapulta e delle balestre ne sfoltiva i ranghi; e fu proprio un quadrello ben diretto a spegnere la vita del loro condottiero. Notando la sua caduta, Blasio lanciò una carica di cavalleria, che non tardò ad espellere ogni nemico dalle vie cittadine; non prese, invece, nessuna misura per espellere i duecento fanti mongoli rimasti padroni di un settore delle mura, bastandogli che sgattaiolassero via di soppiatto al calar delle tenebre. La lotta aveva impegnato, approssimativamente, milleseicento guerrieri cristiani e millequattrocento nomadi; gli uni piansero 472 commilitoni, gli altri ne lasciarono sul campo 977.
Non vi fu tempo per festeggiare la vittoria che una seconda armata mongola pose l’assedio a sud; una buona scelta che, estromettendo dal prossimo combattimento gli uomini di Gaza, assicurò ai mongoli un buon vantaggio numerico sugli stanchi difensori.
Blasio attuò fondamentalmente la stessa tattica difensiva, disponendo i suoi schiltron presso il municipio, ma la scarsità di uomini gli consentì di attivare solo le torri del posto di guardia; qui prese posto la superstite compagnia di crociati senza cavallo, e nessuno riuscì a sloggiarla.
Nelle sue prime fasi, questa battaglia somigliò molto a quella precedente; l’unica variante fu dovuta all’iniziativa di un grosso contingente di cavalleria pesante mongola che, eludendo il carnaio e l’attenzione di Blasio, percorse una via laterale; questo gruppo impattò contro il fianco degli ospitalieri, ma non riuscì a sopraffarli. I cristiani riportarono una bella vittoria, ma la loro schiera si era ridotta a soli cinquecentosettanta combattenti.
Anche il terzo assedio iniziò prima che le perdite venissero colmate; questa volta si sarebbe potuto fare affidamento su consistenti rinforzi da Gaza, ma si sarebbero anche affrontate nuova armi micidiali: i lanciarazzi.
Fu ancora questione di arroccamento i piazza, stavolta con fronte ad ovest, e di pochi crociati sul posto di guardia; sola variante fu il posizionamento dei due manipoli di cavalieri superstiti presso le mura, per attivare il tiro di un paio di torri aggiuntive.
La cosa servì a poco, perché pochi minuti di fuoco infernale bastarono ad aprire tre brecce, verso le quali l’intera cavalleria nemica si lanciò subito al galoppo. A questo punto, fra quei prodi cavalieri ai lati dei varchi corse uno sguardo d’intesa; anziché correre verso la piazza, caricarono disperatamente i primi venuti prendendoli in mezzo.
Fortuna volle che il primo caduto nel corpo a corpo fosse proprio il capitano nemico, che non prevedeva di correre rischio alcuno prima di raggiungere il centro cittadino. Ciò non fermò l’avanzata dei suoi, ma creò ritardi e scompiglio; quando raggiunsero il centro cittadino, ottocento combattenti freschi si erano schierati a fianco dei difensori.
Anche i mongoli, però, avevano in serbo qualche sorpresa; visto il fallimento della carica, preferirono allungare le distanza e scoccare nubi di frecce. Questa nuova tattica si rivelò molto più pericolosa, perché i cristiani iniziarono a cadere a grappoli. Vista la mala parata, Blasio ordinò l’avanzata dei fanti pesanti veneziani, che iniziarono a scendere inesorabili lungo la strada falciando gli aggressori come spighe con i loro martelli da guerra; recuperarono anche il controllo delle mura, mentre la cavalleria si dedicava allo sterminio dei fuggiaschi.
Solo novanta mongoli scamparono all’eccidio, ma non era ancora finita; già un’altra armata era pronta all’assalto, in vista delle brecce aperte dai loro sfortunati commilitoni,
Bertavianus
00martedì 24 febbraio 2009 10:30
L'agonia di Gerusalemme - parte II
L'armata di Kitbuga l'iracondo, forte di quasi 1500 guerrieri, scattò all'assalto attraverso le brecce con la certezza della vittoria.
Perse solo pochi minuti per sopraffare la cinquantina di balestrieri che, dall'alto delle mura, la infastidiva col tito proprio e delle baliste; poi si avventò contro i centosettantacinque lancieri e cavalieri crociati che tentavano di negarle l'accesso in piazza.
Lo schieramento predisposto da Blasio iniziò subito a vacillare sotto quella spinta incontenibile, sicchè il generale veneziano lo fece subito rinforzare dai superstiti uomini montati; lui stesso ovette impegnarsi nel corpo a corpo contro i cavalieri nemici che, filtrando fra i difensori, minacciavano di mettere a tacere per sempre il tiro della catapulta e degli ultimi arcieri.
Non vi fu tempo per alcuna finezza; man mano che arrivavano i rinforzi, settecento uomini esausti per la corsa a perdifiato, si gettavano tutti nella caotica mischia. Solo agli arcieri venne risparmiata tale ordalia, e poterono svolgere il loro naturale ruolo.
Come Dio volle, le loro saette riuscirono infine a cogliere Kitbuga, e l'impeto del nemico andò scemando; fu colpo provvidenziale, perchè le forze cristiane erano già allo stremo, e non vi era quasi più uomo in grado di impugnare lancia o spada.
Due artiglieri continuarono impavidi il tiro fino a che l'ultimo rimasto si trovò impossibilitato a proseguire; a quel punto, estrasse il pugnale e si gettò nella mischia, dove morì da prode.
Infine non rimasero che Blasio, unico uomo a caallo, e i 130 tiratori superstiti di quattro unità; ma i mongoli non erano messi meglio e, dopo aver tentato un'ultima carica, si diedero alla fuga.
Sopravvissero alla pugna duecentoottantotto cristiani figli della serenissima, cui toccò il triste compito di seppellire i commilitoni e smantellare le opere che sarebbero presto cadute in mano al nemico.
Il quinto assalto li vide cadere tutti sul sagrato della chiesa.
Shivos91
00martedì 24 febbraio 2009 11:59
Mi complimento per l'abilità narrativa, ma...questo topic parla di cronache di diverse campagne?
Bertavianus
00martedì 24 febbraio 2009 12:55
Esatto, è una sorta di antologia di episodi (spero) interessanti verificatisi nel corso di campagne diverse.
Eraclio Imperatore Romano
00martedì 24 febbraio 2009 14:20
veramente bravo bertavianus, straordinario davvero [SM=g27811]

mi hai anche suggerito una buona idea, io spesso inyerrompo cornache perchè quella determinata fazione non mi entusiasma più ma questo "mix di cronache" se così si può chiamare, è davvero una buona idea in quanto risparmia nache molti topic...
Jean de Avallon
00martedì 24 febbraio 2009 16:16
Ciao cavaliere una domanda: " io tra le mura amiche non ho mai adottato l' artiglieria se non nelle torri, ma è efficacie ???"

Complimenti, imparo sempre qualcosa di nuovo visto la mia scarsità nelle battaglie.

[SM=g27811]
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