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Gli scudieri di San Marco

Ultimo Aggiornamento: 13/11/2009 14:55
26/10/2009 23:08
 
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@ the earl
Purtroppo gli inserti grafici non sono mai stati il mio forte, cercherò di supplire con un riepilogo in coda
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L'inverno del 1235 fu caratterizzato dalla patetica rivolta di Costantinopli; la popolazione greca cacciò l'unica compagnia di arcieri rimasta in città ma, non essendo riuscita ad armare un sol uomo a difesa, nulla poté fare per contrastare il rientro in città dell'intero esercito. Ai dissidenti, in fondo, andò anche bene, perché Venezia aveva necessità immediata di fondi e ordinò alle truppe di darsi al saccheggio ma non al massacro.
La stagione sul Bosforo stava, comunque, volgendo al termine. La Serenissima aveva troppi problemi per concedersi ancora il lusso di stipendiarvi una armata per soli compiti di presidio; di lì a poco avrebbe provocato nuovamente i facinorosi ma, non essendosi ripresentata l'occasione per saccheggiare una metropoli inerme, le sue truppe andarono a cercare facile bottino ad Adrianopoli.
Questa città fu tenuta sino al 1241, quando i suoi vecchi padroni la cinsero d'assedio; a quel punto venne spogliata di ogni ricchezza, preparandosi ad eroica ma vana resistenza.
Fra questi due episodi si collocò la caduta di Smirne, investita da un poderoso esercito siriano; anche in quel caso si badò esclusivamente a che le sue ricchezze non passassero al nemico.
La politica rinunciataria nelle terre bizantine fu naturale frutto dello straordinario impegno militare profuso nel conflitto coi Siciliani.
Nell'estate del 1237 questi misero contemporaneamente sotto assedio Ajaccio e Siracusa, con forze bastanti a mettere in seria difficoltà le guarnigioni allora disponibili sulle isole.
Siracusa resse l'urto da sola, ma dovette sostenere perdite rilevanti. I siciliani rifiutarono di lasciarsi attrarre al cancello laterale della seconda cerchia di mura, dominato dal tiro di arcieri e balestrieri appostati su un camminamento accessibile solo dal mastio, e puntarono risolutamente su quello centrale. Si scatenarono furibondi combattimenti di fanteria per il possesso di quell'altro posto di guardia, e la pressione del nemico crollò sol quando due membri della famiglia d'Altavilla, penetrati all'interno, vennero travolti dalla carica dei cavalieri feudali e del signore della piazza.
Quanto ad Ajaccio, che non disponeva di abbastanza armati per resistere, se la cavò per un colpo di fortuna:; i normanni iniziarono l'assedio proprio mentre da Genova salpava la forza destinata ad assalire Alghero, che venne immediatamente dirottata per una missione di soccorso. Gli attaccanti furono attaccati, battuti, e costretti a cercar la salvezza sulle navi; una volta reimbarcati furono perfettamente al sicuro, perché i loro legni soverchiavano la piccola flotta veneziana del tirreno.
Risolta questa crisi, nel giro di un anno e mezzo Venezia fu padrona della Sardegna; ad Alessandro il Cavalleresco andò il merito della cattura di Alghero e ad Alessandro Nichetti, nuovo Giudice di Arborea, quello della presa di Cagliari.
Il nemico replicò immediatamente, assediando sia Bari che Ajaccio. In Puglia non ottenne nulla, se non di essere sconfitto, da truppe meno numerose ma più solide, in nuova battaglia del tavoliere.
La situazione di Ajaccio divenne, invece, assai preoccupante, perché qui i normanni soverchiavano per numero e qualità i difensori, disponendo di numerosi armigeri feudali oltre a catapulte, trabucchi, tiratori e di un contingente di cavalleria franca. Forse li si sarebbe potuti contenere se avessero lanciato un attacco immediato, ma quelli si contentavano di mantenere l'assedio lasciando che la fame combattesse per loro.
Dopo due anni di questa agonia, nell'inverno del 1241 Gregorio Molin raggiunse la fortezza dalla Sardegna con un contingente di rinforzo comprendente duecento sergenti lancieri, una compagnia di arcieri ed una di sergenti a cavallo. La speranza era che, come altre volte accaduto, il nemico allentasse l'assedio per attaccare lui, che si sarebbe ritirato in gran fretta, ma i normanni non si curarono né poco né tanto della sua presenza. Visto ciò Gerardo da Rovigo, signore della fortezza, gli segnalò che avrebbe tentato una sortita, cedendogli la propria scarsa cavalleria in cambio dei suoi combattenti appiedati. L'azione si sviluppò con la lentezza occorrente a far entrare gli uomini a piedi e a raggruppare fuori le mura quelli a cavallo, utilizzando un cancello lontano dal nemico.
Quando tutti furono in posizione, il contingente a cavallo affidato al Molin iniziò ad avvicinarsi alla cavalleria franca che teneva il fianco destro dello schieramento normanno, mentre i tiratori di Gerardo, spalleggiati da una linea di combattenti da mischia, iniziarono lo scambio di tiri con gli avversari. Mentre iniziavano a piovere le gran palle infuocate delle artiglierie, la carica della cavalleria veneziana portò a sterminio quella normanna; poi la carica degli armigeri siculi disperse i tiratori e sopraffece le fanterie della Serenissima; lo scontro degenerò in una mischia caotica che lasciò a terra circa cinquecento uomini per parte. La giornata terminò senza vincitori né vinti, ma Venezia aveva comunque raggiunto un risultato incoraggiante; i temibili armigeri del nemico non avevano più cavalieri, tiratori o artiglieri in grado di sostenerli. Pochi mesi dopo, una seconda sortita li spazzò via, benché ancora godessero di buon vantaggio numerico..
I fatti di Corsica si sovrapposero a quelli di Sicilia. Qui vi fu un nuovo tentativo di attacco a Siracusa, respinto senza grandi difficoltà. Poi Vitale Martinengo raggiunse in due tappe Palermo, rimasta poco guarnita sia per via delle sconfitte patite nell'isola, sia per aver disperso truppe per andare a cercar successi in nordafrica. Nel 1241 cadeva la capitale normanna, il cui sacco consentì di erigere a Venezia la sede del consiglio che il volgo reclamava da tempo. Giuliano Martinengo, protagonista assoluto della prima calata a meridione, fu vinto dall'età prima di vedere il suo figlio terzogenito installarsi a Palermo da Emiro cittadino e Conte isolano; in ogni caso, aveva avuto la soddisfazione di veder gli altri due nominati signori di Reggio e di Siracusa.
Nell'estate 1242 divenne doge Alberto, Duca di Puglia, un veterano delle battaglie del tavoliere che subentrava ad uno scialbo personaggio mai mossosi da Pola; la carica di consigliere fu assegnata a suo figlio Luigi, un giovane che stava terminando il proprio addestramento a Rossano..
Da combattente qual era, il doge iniziò subito a formulare piani per la conquista di Napoli.
Ventura volle che il suo governo ottenesse subito un prestigioso successo, peraltro frutto della lungimiranza altrui.
I presidi veneziani di Adana ed Antiochia erano rimasti inoperosi per oltre un decennio, nell'attesa di un attacco islamico che non li raggiunse mai; avevano solo osservato la cattura di Homs, pria ad opera dei fatimidi e poscia degli imperiali, nonché il rafforzamento di Halab da parte dei siriani.
Proprio nei giorni in cui Alberto veniva eletto doge, i siriani mossero in forze per assediare Homs.
L'alleanza cogli imperiali era da tempo decaduta per via della fedeltà alle ragioni dei francesi, che con questi erano in guerra, sicché del loro destino poco importava; ma per condurre quell'attacco gli islamici avean sguarnito Halab, e questa era occasione che non si dovea trascurare.
Subito Giuliano Moro fu sotto le mura della città con buon numero di armati, ed artiglierie bastanti ad infrangerne i portoni: trovò ad attenderlo Hajai – sul nome di questo condottiero in seguito potè fare facile ironia – che ben poco poco poteva opporgli; i fanti schierati sulle mura restarono isolati e circondati subito dopo l'ingresso dei cristiani in città, sugli arcieri a cavallo ed i cavalieri della guardia incalzò una siepe di lance ed una pioggia di saette che li sterminò senza fretta.
Halab era nuovamente cristiana, ed era anche in condizione per restar tale.

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A.D. 1242
Venezia domina la penisola italiana (escluse Roma e Napoli) con Pola, Sicila, Sardegna e Corsica; Monamvessia in Grecia; Adana, Antiochia ed Halab in medio oriente. L'unico insediamento iniziale perduto è Zara, su cui non aveva mai investito nulla e che si è ribellata nei primi anni del secolo




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