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Gli scudieri di San Marco

Ultimo Aggiornamento: 13/11/2009 14:55
14/10/2009 11:15
 
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Nell'anno del Signore 1155 i domini della repubblica lagunare non si estendevano oltre Pola e Zara.
Il concilio cittadino sollecitava Domenico Morosini ad avanzare sulla costa adriatica orientale, ma il Doge era tutt'altro che propenso a distendere i confini della Serenissima in quella direzione.
Ei scelse, invece, di impossessarsi al più presto del castello indipendente di Verona, onde non avessero ad insediarvisi più scomodi vicini; armata condotta dal Consiglier Vitale riuscì a fatica nell'impresa, precedendo di poco un esercito milanese che, per non aver a tornare con pive nel sacco, tosto rivolse le sue attenzioni contro Bologna.
Seguirono anni di tranquillità in cui non vi fu lavor d'armi, ma di badile e di cazzuola; venne inaugurato il Banco della Serenissima, ed inviate ambascerie in ogni dove
Nell'inverno del 1160, quando al Morosini successe Vitale, la sicurezza della repubblica era già garantita da trattati di alleanza con l'Impero, i Magiari ed i Normanni: or vi si aggiunse quella col Pontefice, compiaciuto dall'erezione di luoghi di culto e dall'assenza di conflitti con altri fratelli in Cristo, e infine quella con la Francia. Quest'ultima entrò in guerra con Milano, e furono osservati diversi scontri inconcludenti nell'alta valle del Po.
Ancor cinque anni trascorsero pria che i lagunari fossero indotti a riprender l'armi, in risposta all'appello del Santo Padre. Il doge stesso vestì la croce per combattere per Urfa, imbarcandosi con buon numero di armati e le prime baliste uscite dalle officine di Pola.
Dapprima non andò lontano, poiché colse l'occasione per sottomettere il borgo eretico di Ancona.
Riprese il mare con rinnovate forze sol sul finire del 1167, ma tosto seppe che Urfa era caduta. Pensò allora di costeggiare la costa orientale adriatica, in cerca di ulteriori borghi da sottomettere, finendo per sbarcare presso il castello bizantino di Nafpaktos; vi colse una facile vittoria.
Il Doge restò lì con poche forze, iniziandovi l'arruolamento di truppe locali, e affidando il grosso e l'artiglieria al comando di Jacopo de Rosa, Marchese di Ancona; costui fece vela su Monamvassia, ed anche questo castello fu espugnato senza la minima difficoltà.
Nel 1173 le truppe partite dai due castelli investirono Atene; si trovò la città più guarnita delle rocche, ma il tiro a lunga distanza dei pavesi fece strage dei difensori prima ancora che si arrivasse al combattimento serrato.
L'anno seguente fu preparato e portato a termine lo sbarco su Creta, difesa solo dalla guardia personale di Giovanni Ducas; i bizantini non ebbero la menoma speranza. Vitale vi si insediò trionfalmente, ma il Signore lo chiamò a sé pochi mesi dopo.
Le ultime gesta di Vitale si sovrapposero alle prime del Consigliere Prelato.
Ei aveva predisposto una forza di intervento nel castello di Verona, in attesa di occasione propizia per intervenire nella guerra franco milanese, e distaccato tre compagnie a presidio del vicino ponte. Il casus belli scoppiò quando questi uomini vennero chiamati in soccorso da una pattuglia di arcieri francesi in ritirata; sostenendo una scaramuccia difensiva da cui uscirono inaspettatamente vincitori.
A quel punto l'esercito di Prelato varcò fulmineo i due fiumi e assalì Bologna; i milanesi del luogo opposero fiera resistenza, ma dovettero soccombere di fronte a forze soverchianti. Fu proprio in quella città che Prelato assunse la Dogatura, pria di tornare a Verona per ricostituire i ranghi.
Il nuovo Doge decise di congedare parte dell'armata di Grecia, onde concentrare le risorse della Serenissima nella nuova campagna italiana; Creta ed il Peloponneso or interessavano solo per i proficui monopoli commerciali che vi erano stati avviati.
Nel periodo fra l'inverno 1177 e l'estate 1182 Prelato combatté con successo le quattro battaglie dei colli bolognesi; in luogo dei bei voli di vespa cantati dai menestrelli locali, vi si assistette sempre alla fuga disperata dei balestrieri meneghini all'incalzar dei sergenti a cavallo, che ne facean macello prima di dar manforte ai commilitoni appiedati. I milanesi nulla ottennero, salvo la scomunica.
Nell'inverno del 1183 il Doge riuscì a portarsi sotto le mura di Milano con una forza di trenta compagnie, in parte mercenarie. Lo attendea Vitellozzo da Pirovano, con circa 1200 uomini.
Prelato preferì concentrare l'attacco sulla porta settentrionale, meglio raggiungibile dal capitano dei rinforzi, anche a costo di ritardare il posizionamento ottimale delle baliste e dei balestrieri pavesi; trattenne i suoi dopo il crollo del portone, affinché i lancieri dei due contingenti potessero attaccare in unica massa compatta avversari già falcidiati dai quadrelli di balestra: la città e le sue ricchezze furon sue al prezzo di settecento caduti.
La conquista di Milano coincise con la perdita della maggior parte delle provincie elleniche e di Creta, troppo sguarnite per opporsi alla calata simultanea di cinque eserciti bizantini; resistette solo Monamvassia, ove avea trovato rifugio anche la guarnigione evacuata da Atene. Il nemico non osò attaccare quei bastioni, forse perché scosso dall'eroica resistenza della guarnigione di Nafpaktos, che era giunta ad un passo dal ricacciare assalitori cinque volte più numerosi.
Nell'anno 1185 si ottennero notizie precise sulla situazione delle vicine provincie italiane; i Milanesi presidiavano con forze imponenti Firenze e Lugano, gli alleati Siciliani occupavano Genova e Pisa, Asti era riuscita a conservare la propria indipendenza grazie alle guerra endemica fra questi e quelli, in cui si erano occasionalmente intromessi anche gli Aragonesi .
L'attacco a Lugano fu possibile solo tre anni dopo, quando si seppe che l'esercito sino allora pronto a dar manforte alla guarnigione del Duca si era allontanato un poco verso nord. Il Doge profittò del momento riversando sul castello ogni uomo disponibile in Lombardia, attaccandolo con un lieve vantaggio numerico che sarebbe stato impensabile poche settimane prima. I milanesi ressero il passaggio del cancello infranto sino alla morte del loro signore, poi rifluirono disordinatamente in piazza d'armi. Qui furono inesorabilmente stritolati ma, poco prima dalla capitolazione, uno degli ultimi cavalieri loro colse un varco che gli consentì di trafiggere a morte Prelato. La vittoria di quel giorno ebbe sapore amaro, che fra modeste perdite se ne dovette piangere una eccelsa.
Altri due anni dovettero trascorrere prima di giungere alla resa dei conti finale coi milanesi, ancor forti a Firenze e negli immediati paraggi.
Luigi de Meo, legato di Romagna, ne ebbe ragione attuando la manovra del doppio ingaggio: inviò una forza modesta ad assediare la città da nordovest, prendendo posizione proprio a fianco della forza nemica in campo aperto; contro di questa si scagliò lui col grosso delle truppe, provocandone il ritiro oltre Arno. A quel punto potè scatenare in tutta sicurezza l'attacco contro la città, facendo scomparire dalla storia il gonfalone di Milano; poco tempo dopo spazzò via da terra di Toscana le residue truppe lombarde, ormai datesi al brigantaggio.
Circa tre anni dopo, senza tante sottigliezze, furono ancor le baliste di De Meo a suonare il requiem per l'indipendenza di Asti.




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