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Histoire d'Outremer (BC5)

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2009 23:06
20/03/2009 22:07
 
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Il ritorno del Saladino, e la cacciata dei Veneziani, sconvolsero gli equilibri di quella tormentata regione.
In breve volgere di tempo, gli egiziani ripresero possesso di Alessandria e iniziarono a stringere una morsa implacabile intorno a di Damietta.
Prima che il cerchio si chiudesse definitivamente, Gauchier riuscì a raggiungere il Cairo. La città era totalmente impreparata e, se l’armata cristiana avesse avuto con sé una balista, avrebbe posto termine ai giorni del sultano; purtroppo non l’aveva, ed il suo tentativo venne frustrato da agguerrite truppe mercenarie mobilitate in tutta fretta.
Il buon generale gerosolimitano perse la vita nel 1188, nell’estrema difesa del suo castello.
Questi rovesci fecero crollare a picco il prestigio del re, che finì per perdere anche il controllo di Antiochia a seguito di una rivolta popolare.
In quei frangenti così drammatici venne in soccorso il Pontefice, acconsentendo di indire nuovamente una crociata contro Il Cairo; Baldovino, purtroppo, era entrato in agonia poco dopo l’inoltro della petizione.
La prima risposta all’appello papale fu quella di un esercito polacco che, giunto in ritardo per la crociata precedente, era rimasto per anni a girovagare in Terrasanta sotto il pretesto del pellegrinaggio; i gerosolimitani accolsero con una certa indifferenza la successiva notizia del suo totale steminio.
Sul finire del 1191 l’esercito di Re Almarico, già governatore di Antiochia, fu pronto a muovere per la via costiera; nella primavera successiva ebbe luogo la memorabile “battaglia delle colonne sepolte” che, grazie all’annientamento dei rinforzi egiziani accorsi da Damietta, consentì di riprendere possesso del castello senza ulteriori combattimenti.
Facendo tesoro delle disgrazie altrui, Almarico non mosse oltre prima di essere stato raggiunto via mare da un contingente di rinforzo che includeva anche tre preziose baliste. A quel punto, avendo lasciato nel castello un presidio simbolico (purtroppo destinato all’annientamento), mosse nuovamente contro il nemico. Vari contingenti egiziani gli sbarravano la via per la capitale; uno di questi fu ingaggiato e costretto ad indietreggiare, gli altri vennero semplicemente ignorati ed aggirati. Il tonfo dei grossi dardi che schiantavano le porte della città intonò la marcia funebre per il Saladino.
Il saccheggio della capitale nemica non fruttò una fortuna, ma consentì di realizzare il primo degli edifici reclamati a gran voce dai sudditi del regno; il prestigio della corona rimase, peraltro, attestato su livelli sconfortanti.
Le già scarse possibilità di investimento per le opere civili erano ulteriormente limitate dalle spese militari occorrenti per garantire la sicurezza del regno. Nel 1195 di dovette combattere sui monti di Kerak, per liberare il castello da forze assedianti; poi si dovette pensare alla sicurezza di Gerusalemme e Acri, minacciate da altri eserciti in marcia.

La bataille de la rive gauche
Nella primavera del 1196 il re lasciò Il Cairo con un contingente di quattrocento uomini, oltre gli artiglieri, per muovere alla riconquista di Alessandria, che sapeva scarsamente difesa. Un esercito egiziano di novecento uomini accorse dalle zone desertiche ad occidente per sbarrargli la strada.
Non volendo tornare sui propri passi, rinunciando ad un’occasione forse irripetibile, Almarico ridusse lo svantaggio numerico facendosi raggiungere da altri duecento fanti rimasti a presidio del Cairo, ed ingaggiò il combattimento.
Era un azzardo, ma non una follia. Le forze cristiane erano composte da una congerie di piccole unità a ranghi ridotti, con una novantina di uomini a cavallo che includeva la guardia reale; il nemico non disponeva di truppe montate, aveva una compagnia di artiglieri, e quasi due terzi dei suoi uomini erano armati di arco.
Gli egiziani si erano attestati su una duna dominante, ma non fu difficile manovrare in modo da minimizzare lo svantaggio del dislivello. Ottenuto lo spiegamento voluto, la cavalleria guidata dal re ebbe buon gioco nel disperdere e massacrare i tiratori nemici, esponendosi con indifferenza al tiro di balista. Dopo di ciò si fecero avanti i combattenti a piedi, fra cui una quarantina di arcieri che iniziarono a bersagliare senza fretta le tre compagnie di lancieri ancora sul campo. Costoro formavano la schiera più temuta, ed i cavalieri se ne erano tenuti prudentemente alla larga; rimasti sgomenti e senza guida, non tardarono a cercare vanamente scampo nella fuga. La via per Alessandria era stata sgomberata, al prezzo di trentacinque caduti.

La settimana successiva il contingente iniziale del Re raggiunse la città e gli artiglieri, lasciati inoperosi durante lo scontro precedente, dimostrarono la propria perizia infrangendone rapidamente le porte. Malgrado l’arrivo di rinforzi, gli islamici restarono in leggero svantaggio numerico. Cento valorosi persero la vita per piegarne la resistenza.
Ad Alessandria rimasero duecento volontari di varie etnie, che ne conservarono il possesso per un anno circa, mentre il Re tornava con gli altri nella vecchia capitale egiziana.
Il 1197 si aprì con la perdita dell’isola di Cipro, ad opera di baroni sediziosi che ne massacrarono la guarnigione, mentre su Gerusalemme ed Acri gravava la minaccia di due eserciti egiziani.
In barba a tali invasori, dal porto della capitale si allontanò una galera con un piccolo corpo di spedizione ben equipaggiato che, all’inizio dell’anno seguente, espugnò per la terza volta il castello di Damietta.
Gli eserciti islamici fecero poi l’errore di dividersi e, come da tradizione, uno di questi andò ad assediare il quasi indifeso castello di Kerak; a questo punto, il loro totale annientamento non comportò altra difficoltà che l’opportuna suddivisione delle truppe fra Lucas Sorel e Thomas di Gerusalemme.




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