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Histoire d'Outremer (BC5)

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2009 23:06
17/03/2009 19:26
 
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I cristiani giunti in Terrasanta con la crociata godettero di alcuni anni di tranquillità, durante i quali poterono rendere gloria a Dio con la propria preghiera ed il proprio onesto lavoro.
La pace era benvenuta, per un giovane regno attorniato da popoli che la diversa fede rendeva tendenzialmente ostili, e Baldovino III si adoperò in ogni modo per conservarla il più a lungo possibile; una politica che non avrebbe mai entusiasmato i consiglieri della corona, ma che lo rese assai benvoluto alla massa dei sudditi.
Accolse con ogni onore gli ambasciatori siriani, con i quali riuscì a stipulare una alleanza militare; accettò con piacere i diritti commerciali concessigli dagli emissari egiziani; organizzò una missione diplomatica che, attraversando l’Anatolia, sarebbe giunta sino a Roma. L’incarico fu affidato a Vincent de Montfort, che nel corso del tempo acquisì come alleati i Turchi, i Magiari, i vari signori d’Italia ed il Santo Padre; naturalmente il suo viaggio attraversò anche i territori bizantini ma, ad evitare possibili ragioni di attrito con i turchi, le trattative con gli ortodossi non toccarono argomenti militari.
Minor fortuna arrise alle iniziative mercantili patrocinate dal re; riuscirono si e no a recuperare i costi di investimento iniziale, perché furono presto soffocate dalla smaliziata concorrenza islamica.
Per la maggior sicurezza del regno, Baldovino ordinò di vigilarne i confini orientali e meridionali mediante torrette di osservazione; questa rete fu completata in breve tempo ma il castellano di Kerak, evidentemente scontento per la poca gloria procuratagli dall’incarico, abbandonò la croce per la mezzaluna e iniziò una nuova vita da beduino.
Gli equilibri diplomatici dell’epoca potevano lasciar spazio a tre sole possibilità di espansione.
Il sultanato indipendente di Adana fu lasciato in pace perché pareva un vicino anche migliore degli alleati; in ogni caso, controllava il castello meglio presidiato in tutto il medio oriente.
Il progetto di occupare il sultanato indipendente di Medina venne accantonato perché avrebbe potuto scatenare le ire dell’intero mondo islamico; in ogni caso, avrebbe richiesto una marcia estenuante nel deserto.
Cipro, infine, era un’incognita, e non si poteva investigare sulla situazione senza allestire una flotta.
Visto che nessuno sollecitava azioni armate oltre i confini, il re concentrò la propria attenzione sulle grandi opere a beneficio del regno, inclusi alcuni opifici destinati alla produzione di equipaggiamenti militari.
La situazione iniziò a prendere una piega ben diversa nell’inverno del 1164, allorché furono avvistati movimenti sospetti di truppe egiziane appena oltre il confine. Venne subito avviata una grande mobilitazione, al duplice scopo di assicurare alla Città Santa una difesa impenetrabile e di punire sul suolo nemico un eventuale sconfinamento.
Un anno e mezzo dopo, quando l’armata del sultano pose le tende in vista di Gerusalemme, il regno aveva le casse esauste ma due eserciti pieni di vigore. Uno di questi sbarcò a sorpresa presso il castello di Dumyat e, infranti i suoi cancelli con pochi tiri di balista, non tardò a sopraffare le tre compagnie di cavalieri agli ordini del principe.
Visto questo rovescio, il Sultano rinunciò all’assedio affrettandosi a tornare sui propri passi, ma Baldovino non gli diede tregua; uscì in forze dalla città, facendogli convergere intorno anche alcuni uomini di Kerak ed i cavalleggeri che potevano raggiungerlo dal nuovo feudo di Damietta..
La battaglia di Dun Almar (inverno 1166)
Il grande esercito del sultano d’Egitto era formato essenzialmente da arcieri a piedi, scortati da due compagnie di cavalleggeri; il separato contingente di truppe da mischia che avrebbe dovuto rinforzarlo aveva preferito disertare.
Baldovino aveva sotto il proprio comando una fanteria eterogenea composta da miliziani, sergenti e pellegrini, supportata da sei compagnie di arcieri e tre di sergenti a cavallo. Altri trecento uomini, fra cavalieri e fanti, formavano due piccoli contingenti autonomi; avevano ricevuto ordini contraddittori, e non presero parte alla battaglia.
Il re cristiano realizzò subito che i suoi non potevano competere nel tiro a distanza, ma che erano meglio equipaggiati del nemico per il corpo a corpo: ordinò, dunque, l’avanzata generale a passo lento, tenendo gli arcieri in seconda linea.
Le opposte cavallerie giunsero per prime allo scontro diretto, e quella egiziana si ritrovò presto in crisi; la carica condotta dal sultano parve in grado di ribaltare l’esito del confronto, sino a che l’intervento della guardia di Baldovino non fece pendere nuovamente la bilancia in favore delle armi cristiane. La mischia fra gli uomini a cavallo si protrasse furibonda sino a che il capo islamico non giacque nella polvere.
Quello fu l’inizio dello sfacelo per il resto dell’armata sua. Sino a quel momento gli arcieri egiziani avevano ondeggiato, fra rapide corse per mantenere la distanza di tiro e brevi zuffe con i reparti cristiani più avanzati; ora pensarono solo a salvarsi la vita, col risultato di morire a centinaia.
La vittoria dei cristiani fu netta. Il riscatto dei prigionieri fruttò solo 1200 fiorini, perché il sultano non sopravvisse alle ferite riportate in combattimento.






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