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Cronache di Guerra - Fatti d'arme

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2009 19:38
05/03/2009 21:03
 
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Spero che Bertavianus non s'offenda, ma penso che questo sia il 3D adatto.

Prologo

Berna, anno dominii 1155

Quando Adolf [SM=g27828] , guardia semplice su una delle molteplici torri difensive del castello, vide in lontananza un grosso esercito pensò che dovessero essere le armate del Signore che si dirigevano verso la Terra Santa, nell'ennesima crociata indetta dal Papa imperiale.
Quando poi quella massa s'avvicino Adolf [SM=g27828] [SM=g27828] s'accorse che quella non era un'armata di Dio, ma bensì del Demonio.
Essa vestiva il giglio di Francia, simbolo del Delfino, acerrimo nemico dell'Impero, che più volte aveva tentato di prendere le terre d'Italia, senza riuscirci.
Adolf [SM=g27828] [SM=g27828] [SM=g27828] corse immediatamente dal suo superiore, per riferire dell'imminente pericolo, poi torno sugli spalti, per suonare con tutta la forza che aveva in corpo la campana d'allarme, per avvisare i contadini ad affrettarsi verso i cancelli, lasciando le loro case, al di fuori della cittadella, in mano al nemico sempre più vicino.
Il suono della campana svegliò Ugo, messaggero e araldo del vassallo. Costui, Ugo, era un poltrone, ma adempiva con gran volontà ai suoi doveri, tanto che nemmeno pagò la prostituta con la quale giaceva, ma subito corse alle stalle, balzò in sella ad Argo, suo fidato destriero, e con gran celerità partì di gran carriera verso Stauffen, vicina roccaforte imperiale, per chiedere aiuto.
Berna era quasi sguarnita, poteva contare su due reparti di balestrieri pavesi, altrettanti di Zweihander e sulla guardia di Otto Bassen, uno dei molti discendenti della famiglia reale.
Il destino del feudo svizzero era nelle mani di un semplice messaggero, che doveva avvisare a tutti i costi del pericolo, e guidare i rinforzi tra le incantevoli valli del posto.

La corte di Stauffen (una divagazione, nulla d'importante)

Ugo scese da cavallo, aveva le gambe indolenzite dal viaggio, che aveva percorso a rotta di collo senza sostare a nessuna stazione di cambio, sempre e solo sul proprio destriero, Argo.
Arrancando fino alle porte del palazzo signorile, notò che il castello era zeppo di soldati dell'Impero, ma non aveva tempo per soffermarsi a mirare le splendide armature ricche di elaborate decorazioni in stile gotico, o i minacciosi spadoni a due mani degli Zweihander o ancora i fieri stalloni cavalcati dai migliori cavalieri di Germania. Ebbe però il tempo di pensare che Argo non avrebbe sfigurato tra quei cavalli, anche se di stazza inferiore. Lo aveva comprato da un ricco mercante d'Oriente, costui racconto a Ugo dei popoli della steppa, che cavalcavano questi cavalli bassi e veloci, discendenti degli Unni e degli Avari.
Giunto in fronte ai portoni del palazzo, Ugo venne accompagnato da un paggio di corte, che lo condusse in fronte all'Imperatore in persona, Wolkmir.
L'imperatore era ormai anziano, s'avvicinava ai 50 anni e aveva lo sguardo spento di chi aveva troppe volte incrociato la morte, che fosse sui campi di battaglia o a tavola, tra vivande avvelenate e complotti di corte.
Tanta era la sua autorità, che con un gesto del capo fece intendere al proprio ciambellano di occuparsi del messaggero, e rimase seduto sul proprio trono a scrutare il nuovo venuto.
Ugo ormai a corto di fiato, fece appello a tutte le sue forze, ma riuscì soltanto a proferire le parole "Berna, Francesi", poi gettò il viso in un catino d'acqua piovana e bevve finchè questo non conteneva più alcuna goccia. I cavalieri presenti alla scena si misero a ridere, ma il re li interrupè, si alzò dal suo seggio, avanzò con passo marziale fino al messaggero e gli tese il proprio calice.
Tutti i presenti erano stupiti di ciò, un semplice messaggero che beveva dal calice dell'imperato? Nulla del genere s'era mai visto.
Anche Ugo rimase stupito ma tanta era la sete che bevve ancora, e questa volta nessuno si mise a ridere.
L'imperatore aveva compreso il grande sforzo compiuto da Ugo, si era dimostrato molto più cortese e umano dei suoi stessi cavalieri, portatori degli ideali di giustizia e amor cortese.
Dopo un breve colloquio tra Ugo, l'imperatore e la sua corte, si decise che la celerità era essenziale, pertanto da Stauffen sarebbero partiti soltanto uomini a cavallo, per velocizzare gli spostamenti fino a Berna, assediata ormai da qualche giorno.
Ugo pensava di aver adempiuto a gran parte del proprio compito, ora restava il ritorno a Berna, dove avrebbe assistito al massacro dell'armata francese da parte dei molti cavalieri gotici che aveva intravisto nel castello.
Ma quando tutto era pronto,, vide che avrebbe fatto da guida a ben pochi dei molti cavalieri che già immaginava caricare i francesi.
Precisamente lasciarono Stauffen 78 uomini, l'imperatore con la sua guardia, mentre il resto dell'esercito stava di guarnigione al castello.
Ugo era incredulo, ma tacque, nessuno osava mettere in discussione il volere dell'imperatore, tantomeno un semplice messaggero come lui.
Le nuvole del Destino gravavano su Berna, ed erano nubi nere come la notte...

Rinforzi dall'Italia

Steffen Bergen aveva appena lasciato Milano, diretto ad una stretta valle alpina, dove avrebbe dovuto edificare un forte e stare a guardia del passo, per impedire che le canaglie francesi tentassero ancora di scendere in Italia.
Era furente, aveva appena 21 anni, era nel pieno delle sue forze e aveva voglia di combattere, di versare sangue, di massacrare, non di certo di stare a fare la guardia ad un passo freddo e inospitale sulle Alpi.
Al suo seguito c'erano 4 compagnie mercenarie di lancieri e 3 compagnie di balestrieri, anch'essi mercenari.
Secondo Steffen, era un esercito di fuorilegge e possibili disertori, che non avrebbero esitato a tagliargli la gola nel sonno, o ancora peggio ad abbandonarlo sul campo di battaglia, sempre che ci fosse stata una battaglia tra le vette innevate su cui facevano marcia.

Una speranza

Adolf guardava l'accampamento francese, dove le truppe del Delfino stavano facendo baldoria con i rifornimenti catturati.
Mentre quei figli di cane bevevano vino, mangiavano selvaggina e giacevano con le loro sgualdrine, lui, semplice guardia, era costretto a mangiare un misero tozzo di pane, razione giornaliera per via dell'assedio.
Si stava assopendo nel proprio mantello quando sentì un gran tumulto nella piazza del castello.
Si sporse dagli spalti e vide un grande calca attorno a un contadinotto, simile a tutti gli altri che vedeva ogni giorno varcare i cancelli per andare a lavorare le terre circostanti la fortezza.
Non potendo abbandonare il posto di guardia, cercò di cogliere qualcosa dal gran vociare sottostante, ma non comprese parola alcuna, finchè d'improvviso non si levò un urlo che spezzo le tenebre.Erano urla di gioia, un esercito dell'Impero era stato avvistato a un giorno di marcia da Berna, arrivavano i rinforzi tanto sperati!
Confortato dalla notizia, Adolf tornò di guardia e si lascio prendere dal sonno, sicuro che i Francesi non avrebbero attaccato.

La battaglia (finalmente direte voi [SM=g27824] )

Quando Adolf aprì gli occhi vidè le truppe del nemico già schierate, ma non in formazione d'assedio, ma bensì da battaglia.
Non comprendeva il perchè, ma ciò lo rallegrava.
Mentre anche la misera guarnigione di Berna si allineava davanti ai cancelli, una guardia vicina ad Adolf lo informò che i rinforzi giungevano da Est, e che comprendevano un gran numero di fanti e balestrieri, capitanati dall'imperatore.
Le truppe francesi sembravano non essersi accorte del pericolo che giungeva da Est, i rinforzi infatti si erano allineati tra le file d'alberi che scendevano dalle montagne, protetti da sguardi indiscreti.
Solo il generale di quella armata si era posizionato in un corridoi di terra che correva dalle montagne fino alla posizione del nemico, corridoio di terra piano e fiancheggiato ai lati dalle abitazioni dei contadini e da un bosco, un ottimo punto da cui prendere la rincorsa per una carica di cavalleria.
Ma i cavalieri erano troppo pochi, tant'è che il nemico non si curò di loro, e rimase stabile in fronte alle mura di Berna.
Adolf guardava le fila nemiche, tra di loro vi erano contadini e cavalieri appiedati, picchieri con lunghe picche e molti balestrieri.
Ma il vero pericolo, almeno per la fortezza, erano le tremende macchine d'assedio.
I francesi avevano abbandonato arieti e torri su un lato dello schieramento, e ora stavano lì a fissare Berna, pronti a distruggere le sue mura con catapulte, trabocchi e qualche balista.Una potenza di fuoco terrificante.
D'un tratto i cancelli s'alzarono, e Adolf vide con stupore il signore del castello, con il suo seguito di cavallerizzi, puntare dritto al cuore di quell'armata.
La guardia era scioccata da ciò, caricare con cinquanta uomini più di mille avversari, un'impresa suicida!
Poi d'un tratto la guardia del generale compì un giro su se stessa di 90 gradi, e puntò su quei cavalieri che attendevano ai piedi delle montagne.
A quanto pare il vassallo andava a dar man forte ai rinforzi e a guadagnarsi l'onore di fronte agli occhi dell'imperatore.
Ma il vassallo ebbe una sorpresa quando abbastanza vicino ai rinforzi non vide svettare le araldiche di Wolkmir, suo imperatore, ma bensì quelle imperiali, assegnate ai generali dell'impero che non facevan parte dell'albero genealogico della famiglia reale.
E si stupì ancor più quando vide in lontananza, giungere da Sud, proprio lo stemma dell'imperatore tanto atteso.
Quando anche Adolf s'avvide di tutto ciò comprese che le sorti della battaglia si erano rovesciate, ora l'impero poteva contare su 3 generali, e su più di duemila uomini, mentre i francesi, i miseri francesi, fin'ora temuti nelle loro corazze e alle loro macchine infernali, erano in inferiorità numerica di quasi un migliaio di uomini.
Ciò nonostante rimanevano dei nemici ardui, forse poco addestrati e arditi, ma sicuramente ben equipaggiati e dotati di quei maledetti picchieri che avrebbero potuto infilzare la cavalleria come un porco sullo spiedo.
Quei 200 uomini a cavallo erano nati per combattere, erano la guardia di 3 uomini di potere, protetti dalle migliore armature, addestrati nella migliore accademia, la guerra!
Ma erano pur sempre 200 uomini, contro 1500...
Quando questi impavidi eroi partirono alla carica del fianco destro francese, sugli spalti di Berna calò il silenzio.
Quegli uomini andavano a morire, e lo sapevano, ma ciò non li fermava, anzi dava loro un impeto da invasati che li spingeva a spronare i loro cavalli.
Quando i francesi tentarono di fermare la carica spostando i picchieri sul lato, fu troppo tardi, i cavalieri dell'impero caricarono con una ferocia inaudita il fianco scoperto, entrarono tra la formazione del nemico e la aprirono come un mollusco svuotato dalle abili mani di un cuoco.
Fecero scempio dei serventi alle macchine d'assedio e dei balestrieri nelle retrovie, poi si ritirarono nei boschi a lato e scamparono al tiro dei balestrieri posti in prima linea.
L'azione era stata rapidissima, tanto che i fanti francesi non ebbero nemmeno il tempo di ingaggiare le truppe dell'impero.
Le cariche si ripeterono più volte, il nemico sembrava imbambolato di fronte all'audacia di quel manipolo di cavalieri che a ogni affondo perivano sempre più.I soppravvisuti lasciavano i compagni a terra e ripiegavano per poi tornare e cadere al loro fianco.
Quando tutti i tiratori francesi perirono o fuggirono, i cavalieri si ritirarono all'interno del castello, ma proprio mentre Steffen s'attardava indietro, bloccato dai cavallieri appiedati di Francia, egli venne ferocemente ucciso.
Colui che aveva disobbedito agli ordini dell'imperatore, che era andato in cerca di battaglia e infine aveva trovato la morte a pochi metri dallo stesso imperatore di cui avevo ignorato i comandi, venne celebrato in seguito ed ottenne da tutti l'appellativo di "Disobbediente".
Steffen il Disobbediente, un semplice generale, aveva salvato Berna assieme al suo imperatore e ad un secondo familiare reale.
Dopo che i francesi rimasero senza tiratori, l'Impero schierò i balestrieri di Berna, quelli portati da Steffen e i pochi reclutati dall'imperatore tra le valli svizzere.
Essi a distanza di sicurezza scatenarono un tiro straordinario, che osservai dall'alto degli spalti, spossato dalla battaglia a cui avevo appena preso parte, a cavallo del mio fiero Argo.
Ebbene sì, io, Ugo il messaggero, dopo aver guidato da Stauffen a Berna l'imperatore e i suoi uomini, mi son gettato nella mischia, pronto a dar la mia vita per i miei concittadini.
Quest'oggi, noi pochi che abbiam preso parte a quella che ancor oggi viene ricordata come la "carica dei 200", siamo onorati e ricordati da tutti ad ogni occasione, le voci delle nostre gesta sono arrivate fino alle terre di Danimarca, e vengono tutt'oggi raccontate alle corti di Palermo e Costantinopoli.

Ugo il Messaggero

Berna

Anno Dominii 1198

[SM=x535728] vado a farmi una birra



Siente 'o documento ca te piace o t'allamiente
'o documento nun to voglio da'
Me ne passa p'o cazzo da Digos
to voglio dicere to voglio canta'

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