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IL SOLE

Ultimo Aggiornamento: 12/12/2006 16:28
12/12/2006 16:28
 
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...film non proprio leggerissimo, ma se visto in stato ottimale bello...almeno a me è piaciuto [SM=g27823]
(noleggiabile e/o acquistabile da blockbuster)

Recensione presa da CineClick
Il sole

Prima ancora che cineasta, Sokurov ha studiato storia. Ma nell'approcciarsi ai personaggi storici della sua trilogia sul potere (Moloch, su Hitler, Taurus, su Lenin e Il sole, su Hirohito) non mira al documentario storico. Né si giova dell'approccio classico del genere storico/biografico, così come si è canonizzato nella tradizione cinematografica – un excursus sull'intera vita dell'individuo in questione, dall'infanzia all'età adulta, gli avvenimenti salienti della sua vita, etc. Lo sguardo del regista russo si concentra invece su un segmento temporale assai limitato e va alla ricerca non già del personaggio pubblico – quello che i libri di storia, più o meno convenzionalmente, trasmettono – ma quello privato, così come risulta dai diari o dalle lettere (come nel caso dell'ipocondriaco Hitler di Moloch). Tutto il resto, tutto ciò che non si sa, viene lasciato all'immaginazione dell'artista, che più che la psicologia, cerca di rintracciare, attraverso una serie di atteggiamenti – o addiritturqa di tic – le cause recondite di decisioni che hanno cambiato il corso della storia. Decisioni che, nel caso di Hirohito (interpretato da Issei Ogata), si rivelano atrocemente difficili, con effetti anche psicosomatici: per quasi tutto il film, l'imperatore giapponese accusa un fastidio alla bocca, un sapore cattivo, come confessa al suo ciambellano (Shiro Sano).
Sokurov va a stanare Hirohito nel suo bunker, mentre la guerra con gli americani è ormai agli sgoccioli ma gli ufficiali nipponici e il paese tutto rifiutano ancora la resa, ad ogni costo. E Hirohito, che conosce il suo popolo, sa bene che ciò dipende dalla devozione assoluta che essi hanno nei confronti della divinità della sua persona. Egli del resto non ha mai tenuto al potere, e il suo più grave errore è stato quello di lasciare le decisioni effettive nelle mani dei militari, rifugiandosi nello studio, in particolare l'ittiologia. Solo nel 1945 si fa avanti per sollecitare la resa incondizionata del Giappone, ponendo fine a una guerra ormai persa ma che continua a mietere vittime.
É la prima delle sue grandi decisioni. La seconda, ancora più eclatante, consiste nel negare pubblicamente la divinità della sua persona e quella dei suoi discendenti (1 gennaio 1946): idea secolare, di matrice shintoista, che impreganva profondamente la vita e il pensiero di tutti i Giapponesi. Tutto in nome della pace.
Esplorando dunque la figura di Hirohito, Sokurov ne mette in rilievo il profondo disagio, l'inadeguatezza del corpo (un corpicino gracile e ridicolo, come quello di Adolf Hitler che porta su di sé il peso della storia) e soprattutto la profonda solitudine di chi non ha nessuno al suo stesso livello con cui dialogare, poiché laddove c'è deferenza, non può esserci una reale reciprocità. Questa asfissia della comunicazione è ben resa dall'assenza di finestre del bunker, illuminato da una luce grigiastra, non dissimile dalla luce naturale e dal cielo delle poche scene che si svolgono fuori.
Ma sotto lo sguardo distaccato del cineasta si avverte questa volta un moto di profonda compassione verso quest'uomo che "sembra un bambino", come nota il paternalistico generale MacArthur (Robert Dawson); il suo unico contatto attuale col mondo esterno (ché egli fu anzi il primo principe giapponese a viaggiare all'estero, prima di ereditare il titolo imperiale) sono la radio e le fotografie (della sua famiglia, ma anche di attori e attrici americani) e la cui unica guida spirituale è il busto di Darwin sulla sua scrivania, accanto al busto – molto più piccolo, e alla fine relegato in un cassetto – di Napoleone (ce n'è un terzo che sembrerebbe raffigurare Lincoln). E l'incontro finale e il dialogo fra l'imperatore e il generale americano è un momento altissimo di cinema, in cui tutto viene detto tra le righe e la comunicazione cela in realtà lo studio reciproco e lo sforzo di comprendersi di due uomini appartenenti a culture ancora lontanissime fra loro.
La stessa attenzione rivolta al visivo, Sokurov la pone poi, come sempre, nei suoni, che, anziché essere semplicemente subordinati o consequenziali all'immagine, vivono di vita propria, rivelando – in un modo molto simile al cinema di Lynch, come notò qualcuno ai tempi di Moloch – tutta l'angoscia e l'inquietudine dell'implosione di un uomo costretto a dettare le sue leggi a un intero paese. Memorabile la sequenza onirica in cui l'imperatore sogna i bombardamenti sul suo paese, confondendo i contorni di aerei e bombe con le immagini dei pesci che si mangiano fra loro: la guerra è assimilabile alla catena alimentare? É una forma di selezione naturale? L'imperatore, da bravo scienziato, non conosce risposte a una domanda così vasta. Può concentrarsi solo sugli effetti immediati che il suo agire provocherà. E contro secoli di mitologia, sceglie la razionalità attraverso la rinuncia, salvando ciò che ancora resta da salvare del suo Giappone.
Scegliendo l'exemplum dell'imperatore Hirohito, un uomo che si riappropira del potere al solo scopo di portare la pace, Sokurov conclude la sua trilogia con un ritratto profondamente umano che invoglia alla speranza, anche in questi tempi oscuri.







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